Il 24 novembre del 1998 veniva pubblicato Single Video Theory, il primo full length video dei Pearl Jam. Il filmato, diretto dal regista Mark Pellington, ritraeva il gruppo intento a incidere Yield, il quinto album in studio. Vent’anni dopo, la nostra Laura Faccenda ce lo racconta tra aneddoti, curiosità e tutto quello che dovreste sapere su questo video.
Sono due le volte in cui i Pearl Jam hanno tentato di evitare qualsiasi scritta sull’artwork di un disco: la prima con Vs e la seconda con Yield. Stesso intento per due casistiche agli estremi opposti. Dalla rabbia, dall’opposizione, dall’urlo di protesta del secondo album, si approda, circa sei anni dopo, ad un atteggiamento più pacato, pacificato. Sì, perché il termine “yield” significa “lasciare andare”, “cedere”. Per gli automobilisti anglofoni, poi, è proprio rappresentato da quel segnale che si staglia al lato della strada deserta che domina il panorama nella foto scattata da Jeff Ament nel suo stato natio, il Montana, e scelta come copertina del quinto lavoro in studio di Vedder e compagni. << È divertente proprio questo, vedere un segnale di precedenza dove non c’è niente a cui dare precedenza >> – dichiara il bassista. Cedere il passo, dunque, a chi? A che cosa? È duplice il punto di vista da adottare per orientarsi lungo tale via: uno interno alle dinamiche della band, l’altro esterno e relativo al contesto storico, sociale, musicale e promozionale. << Penso che il titolo Yield abbia a che fare con l’essere più a nostro agio con noi stessi, con questa band. Siamo tutti più maturi e più rilassati, e forse più disposti a cedere alle ansietà e non cercare di combatterle tanto. Questo è quello che rappresenta per me – cedere, lasciare che qualcos’altro succeda e adeguarsi >>.
Ad una maggiore consapevolezza corrisponde, con sorpresa di tutti, la rinuncia alla “egemonia” di Eddie, il quale chiede espressamente collaborazione, sia per quanto riguarda la composizione dei testi che dei riff. Il dare precedenza si traduce anche in porgere la penna e l’orecchio, lasciar parlare, lasciar fluire idee. In una parola: collaborazione. <<Stavolta è migliorata ancora di più la nostra capacità di essere una band, di lavorare davvero tutti insieme >> – sottolinea Stone Gossard – << Si è sempre trattato di contributi individuali combinati tra loro, questa è sempre stata la base dei Pearl Jam. Ma in questo nuovo lavoro la cosa è stata ancora più intensa e profonda. Abbiamo raggiunto una migliore alchimia. Con Yield abbiamo alzato il livello della nostra intesa comune. Perché quello che ci preme di più, comunque, è sviluppare al meglio le nostre idee, fare buona musica e cercare di migliorare sempre come musicisti >>.
Viene allentata la presa anche nei confronti dei “meccanismi promozionali” del disco. Si torna alla routine “disco-tour” (dopo gli sconvolgimenti organizzativi legati alla battaglia contro Ticket Master), alle interviste, a MTV, ai video. Non solo. Dal 7 al 10 novembre 1997, le telecamere di Mark Pellington, già regista di Jeremy, documentano le prove di Yield (si tratta in realtà delle prove per i quattro concerti con i Rolling Stones) intervallate da racconti e aneddoti individuali, negli X Studios di Seattle. Ad una pellicola di 16 mm è affidata una piccola grande impresa: aprire le porte su un mondo così personale, così intimo per i Pearl Jam. Il microcosmo dello studio di registrazione dove i cinque musicisti entrano solo dopo aver timbrato un cartellino marcatempo. Sulle pareti si intravedono poster di Andy Wood, immagini risalenti al periodo di Vs e un’orgogliosa bandiera dei Ramones. Nasce così Single Video Theory, prima videocassetta ufficiale dei Pearl Jam, pubblicata il 4 agosto 1998 (il 28 novembre dello stesso anno esce in DVD). Protagonista è la musica, per un documentario caratterizzato, appunto, da una vera e propria tracklist che non segue l’ordine di quella di Yield ma si snoda in un viaggio parallelo. Ne ho ripercorso le tappe, rintracciando una linea guida tra la tentazione costante di evadere e godersi il panorama e la necessità di mantenere una direzione, verso l’orizzonte, rispettando dei segnali (o almeno uno).
All Those Yesterdays: È su queste note che i Pearl Jam, nei titoli di testa, approdano agli studi di registrazione. Una ballata, la consueta ballata con cui la band è abituata a concludere i dischi. Ad una melodia dolcemente cadenzata, si accompagna un testo scritto da Stone Gossard che, considerati alla lettera tutti quei giorni trascorsi nella lotta contro il sistema, consiglia di riposarsi, di appoggiare finalmente la testa. Fermarsi. Valutare. Scappare, anche. Perché “non è un crimine scappare” se ci si allontana da certezze marmoree che, nel tempo, hanno contribuito ad un senso di immobilità. << Abbiamo smesso di fare tutte le cose che ci sentivamo obbligati a fare >> – spiega l’autore – << sia in termini di promozione che di tour. Abbiamo iniziato a prendere decisioni secondo la nostra volontà di fare o non fare qualcosa. Più di recente, questo ci ha portati a guardarci in faccia. Tutti i problemi che stavamo avendo come gruppo, a quel punto, ci facevano dire: “Ok, non è soltanto quella roba. C’entriamo anche noi”>>. Per quanto riguarda Eddie Vedder, confessa di aver sostituito all’attacco frontale una tecnica di autodifesa molto utile e rigenerante: << È una mossa delle arti marziali, si chiama Jeet Kune Do. Quando qualche cosa ti viene contro con tanta energia, tu usi quella stessa energia per annientarla. Non cercare di lottare contro cose più grandi di te, devia l’energia e lascia che quella cosa si distrugga da sé >>.
Red Dot: un minuto e poco più di ritmo, ticchettio, tempo scandito, per una “pseudo ghost-track” segnalata sulla lista di brani di Yield con un puntino rosso. Un falsetto ripetuto, un messaggio inquietante legato alla guerra. Red Dot, anche conosciuta tra i fan come The Color Red, è l’unico pezzo che porta la firma di Jack Irons, prova della reale partecipazione di ogni membro del gruppo al progetto. E nella costruzione di una nuova strada di condivisione. Secondo McCready: << Jack è riuscito a farci parlare fra noi molto più di prima, ha reso più semplice la comunicazione. Di solito diceva: “Ehi, questa cosa è un po’strana. Io la vedo così”. Ed ecco che ci sedevamo e ne parlavamo. Sembrava che fossimo diventati veramente una band. Comunicavamo >>.
Faithful: Il demiurgo McCready plasma e lega i due riff che costituiscono la base di una nuova dichiarazione di spossatezza. In Faithful, lo sguardo del viandante che cammina lungo la strada non punta più all’orizzonte, ma al cielo. Ci si chiede se qualcuno, lassù, ascolti davvero le preghiere o se queste siano destinate a dissolversi in un’eco. Ci si chiede, anche, se valga la pena continuare a gridare, raggiunto un tale livello di stanchezza (I’m through with screaming). Tuttavia, alla fine, la prospettiva torna ad essere orizzontale, umana. “Che cosa può fare un ragazzo?”. Essere gentile. Essere empatici, fra uomini (“Faithful to you”). Rimanere fedeli a questo, credere nel valore della fiducia. Una lezione che i nostri musicisti applicano alla lettera: << Ci occupiamo più l’uno dell’altro, ci diamo più fiducia perché per poter durare dovevamo fidarci. E, credo, per la prima volta, stiamo suonando al pieno delle potenzialità >>.
Brain Of J.: La canzone scelta per aprire Yield richiama la matrice più espressamente rock con la quale i Pearl Jam sentono un profondo legame. Eseguita per la prima volta nel 1995 ma esclusa da No Code, Brain Of J. è l’auspicio per la nascita di un nuovo mondo. È presente, in realtà, anche un’ulteriore citazione di John Fitzgerald Kennedy. La prima è contenuta già nel titolo Single Video Theory, un gioco di parole su “Single Bullet Theory” (teoria di un solo proiettile) relativa all’assassinio dello storico presidente degli Stati Uniti.
Given To Fly: Nel documentario, scorrendo le mani sul manico della chitarra e riproducendo l’incantesimo generato dall’accostarsi di quelle note, Mike dice: << Questa canzone mi ricorda una specie di onda, inizia dal basso e poi cresce sempre più alta, sempre più grande. Viene fuori da un periodo in cui stavo finalmente rimettendo insieme la mia vita, dopo aver attraversato l’oscurità. Musicalmente, rappresenta una specie di risveglio per me, un periodo di rinnovamento, dove ho capito come tornare a vivere la mia vita. Ora che avevo le idee più chiare, mi venivano in mente questi spunto che avevano un che di celebrativo… ecco perché ci sono tutti questi picchi e queste discese >>. A Eddie Vedder è affidata, invece, la stesura del testo, i cui versi emanano la potenza evocativa di un racconto fantastico, di una fiaba, come la definì egli stesso. Tra realtà e fantasia, viene narrata la storia del riscatto di un uomo che, nonostante i colpi ricevuti, è destinato a volare alto, a compiere un’eroica missione d’amore. Tra realtà e fantasia, ciò che conta è il lieto fine. << La musica riesce a darti il senso del volo e mi piace davvero cantare la parte finale che parla del sollevarsi al di sopra di quello che dicono gli altri di te e continuare comunque a dare il tuo amore. Non finire amareggiato e solo, non condannare tutto il mondo per le azioni di pochi >>.
No Way: La semantica della direzione è ripresa in No Way, benché un orientamento venga di fatto negato. Il nichilismo, l’accettazione sarcastica espressi dalle parole del brano non potevano che appartenere a Stone Gossard, l’ago della bilancia dei Pearl Jam. Il suo atteggiamento è, da sempre, speculare a quello di Vedder. È il suo alter ego. Lo sa bene Stone, tanto che, commentando il pezzo, ironizza: << Il ritornello finisce dicendo che forse tu, forse tutti noi avremmo bisogno di vivere la nostra vita e smetterla di voler provare qualche cosa. Per me è divertente il fatto che sia Eddie a cantare questo verso sul non fare la differenza. Credo che se ne chiamerà fuori per non esserne il responsabile >>. Chiamandosene fuori con un “l’ha scritta Stone”, il frontman trova comunque una chiave di lettura affine al suo idealismo, mai abbandonato: << La prospettiva può cambiare leggermente se dico: “Smettere di fare la differenza? Non c’è verso”. Così funziona da entrambi i punti di vista” >>. Interpretare, reinterpretare. Come va fatto con i segnali… e magari, su quel segnale, stavolta c’è scritto Yield.
MFC: Abbreviazione di Many Fast Car o Mini Fast Car. Siamo al cospetto di una delle “car song” per eccellenza. Tema centrale è il tentativo di fuga da una situazione spiacevole, di soffocamento, qui causato dal traffico. Solitamente, si collega questo brano al soggiorno di Eddie Vedder a Roma nel 1996 e allo sgomento provato dinnanzi al caotico traffico della capitale. Proprio a Roma, lo stesso anno, durante lo show segreto al Goa, MFC debutta in scaletta. Al di là dei riferimenti più o meno autobiografici, la traccia si snoda su un crescendo ritmico, spinge sull’acceleratore e lascia intendere una possibilità di condivisione, anche nell’evasione: se prima a lasciarsi alle spalle il passato è una Lei, nella seconda strofa sbuca un Lui, per chiudere con un “fanculo, scompariremo”. Insieme.
Wishlist: Dietro un’apparente semplicità, si cela uno dei brani più riusciti e radiofonicamente diffusi del gruppo. Wishlist è il simbolo per eccellenza dell’intenzione di “lasciare che le cose accadano”. È il risultato di una jam session a cui McCready invita Vedder ed altri suoi amici musicisti: << È stato un esercizio di scrittura in flusso di coscienza. Mike aveva prenotato del tempo in studio con un nostro comune amico in regia e un altro che suonava la batteria. Non avevamo voglia di metterci lì a insegnarci le parti l’un l’altro, e così abbiamo fatto dei cambi d’accordo semplici, che ciascuno avrebbe potuto seguire senza doversi interrompere per impararli. All’inizio probabilmente durava circa otto minuti. Ho dovuto riascoltare la cassetta e scegliere i desideri migliori >>. Da uno sguardo universale (“I wish I was the evidence, I wish I was the grounds / For 50 million hands unpraised and I open toward the sky”) si passa ad uno individuale, persino personale con il rimando al cofano della Camaro, automobile posseduta da Beth Liebling, allora moglie di Eddie. Soprattutto, si passa dal vecchio e urlato “I will”, bandiera idealista della penna vedderiana, ad un ripetuto “I wish” che risuona ancora speranzoso, ma è più consapevole e più realista.
Low Light: Non è un caso, forse, che sia stato Jeff Ament a scrivere Low Light. Sulle note di una fluente ballata, si rincorrono delle nuvole in movimento, il vento che soffia, una luce soffusa, due uccelli che si perdono in volo. Una commistione di elementi naturali che potrebbero comporre alla perfezione l’immagine successiva a quella presente su Yeld, se entrambe facessero parte di un album fotografico. Due frame, uno dopo l’altro. E qui, su un sentiero, cammina un uomo che ha deciso di intraprendere un percorso interiore, la ricerca di una scintilla, della sua scintilla. Una fiaccola o un segnale, stavolta luminoso, che lo riporti finalmente a casa.
Do The Evolution: << Doveva esserci qualcosa di “più rock. Un pezzo tirato, oltre a Brain Of J. >> – dice Stone Gossand, commentando la tracklist del quinto album della band – << Mi ero ripromesso di andare in studio a suonare tutte le sere, finchè non fosse uscito qualche riff da registrare >>. Trovato il riff, la palla passa a Eddie Vedder, per il testo. L’ispirazione proviene da un libro: << Non ho mai consigliato un libro prima durante un’intervista >> – ammette nel maggio 1998 – << Ma vorrei consigliare questo a tutti perché è una specie di mio libro dell’anno, nel senso che ho passato tutto l’ultimo anno con questi pensieri in testa… è una conversazione tra un uomo e una scimmia. E la scimmia ha davvero un quadro preciso di tutto quanto >>. Il volume in questione si intitola Ishmael – The Adventure of Mind and Spirit di Daniel Quinn. Tema centrale è la delusione nei confronti del genere umano, protagonista di un fittizio processo evolutivo, dominato dalla lotta di potere, dalla volontà di controllo, dal mancato rispetto verso la natura e il prossimo. Nel brano in questione, ad essere indossati sono proprio i panni “del cattivo”. Una voce rapace, quasi stridula, racconta in prima persona una serie di scenari apocalittici. Il rovesciamento di prospettiva racchiude una pungente accusa: da secoli, il nostro destino dipende dal mito darwiniano. Una strada lanciata in direzione del progresso, che non prevede ostacoli e non si ferma di fronte a niente a nessuno. Cementifica, rade al suolo. Un’ evoluzione involuzione. Ed era assolutamente necessario che qualcuno, prima o poi, piantasse un cartello di “dare precedenza” per rallentare tutto ciò, prima che fosse troppo tardi. In una scena del documentario di Pellington, viene rivolta a Vedder una domanda: << A che cosa vuoi lasciare il passo, a che cosa vuoi dare spazio? >>. Dopo una breve riflessione, con sguardo assorto, Eddie risponde: << Dare spazio alla natura, perché è tutto ciò di fronte a cui dobbiamo inchinarci >>.
Single Video Theory e Yield sono rispettivamente il cortometraggio e la colonna sonora della crescita dei Pearl Jam. Individuale, personale e come band: << Se vuoi essere onesto come artista, quando diventi adulto non puoi continuare ad esprimere lo stesso genere di emozioni di cui parlavi in gioventù, perché risulteresti falso. Quello che in passato era rabbia, ora è diventata riflessione. Penso che quando diventi adulto devi esprimere la tua energia in un modo diverso, più tranquillo. Questo non significa dimenticare il lato cattivo della vita, perché c’è ancora nelle nostre canzoni. Ma quello che è più eccitante ora, la vera sfida, è affrontarlo da un punto di vista più positivo, cercando un modo di risolverlo >>.
Single Video Theory è disponibile in DVD su Amazon.
LAURA FACCENDA
Dopo aver conseguito la laurea in Lettere Moderne e Contemporanee, prosegue gli studi nell’ambito della comunicazione e del giornalismo. Sulle orme delle sue due grandi passioni, la musica e la scrittura, frequenta il workshop di giornalismo musicale organizzato dalla Rivista Rumore e il corso in Marketing, Management e Comunicazione della Musica presso la Santeria di Milano.
Ha collaborato con il sito web di notizie e media Spazio Rock e con l’agenzia media/stampa Bizzarre Love Triangles. È attualmente collaboratrice e free lancer in webzine e radio (Just Kids Magazine, PearlJamOnLine, Staradio).