Eddie ci ha fregati un’altra volta, fa sempre così

Il live report del concerto di Eddie Vedder a Dusseldorf
Di Luca Monopoli (RECORD AND RECORDS)

Eddie ci ha fregati un’altra volta, fa sempre così. – dico a mia moglie mentre usciamo dall’arena di Dusseldorf.

Insomma, ogni volta che finisce il set, penso che quello appena finito è stato il concerto della vita, ma lui è stato capace di stupirci di nuovo, di portarci con lui in un’altra dimensione densa di emozioni tra dolore, libertà e speranza.
È stata una folgorazione quando l’ho visto la prima volta cantare senza i PJ al teatro di Albany (USA) per il tour solita del 2009, e lo stesso dopo la mitica notte del primo concerto a Firenze il 24 giugno 2017, prima volta con mia moglie. E adesso, 736 giorni dopo eccoci a Dusseldorf ormai quasi in 3, con una piccola rocker pronta a ballare dentro la pancia della mamma.

Appena uscite le date non ci credevo: per noi che viviamo a Colonia, praticamente l’arena è a mezz’ora di auto! Domenica è il gran giorno: biglietti presi, t-shirt dei tour passati ce le abbiamo, mini zaino pronto, si può partire alla volta della Mitsubishi Halle: una bella arena polivalente da 4,500 posti seduti – di quelle che mancano in Italia – dove ho visto Sting e Nick Cave & The Bad Seeds.
I biglietti sono tutti numerati e nominativi, cosa che per altro non pare aver creato problemi: arriviamo alle 19, facciamo 10 minuti di fila, controllo documento e siamo dentro carichi e assetati, quando all’improvviso… mi giro a destra e sinistra e percepisco che manca qualcosa. Scopro che l’unico punto merchandising era quello allestito fuori e quindi il poster del concerto che era sold out là fuori, rimane sold out pure dentro. Dannati poster a edizione limitata comprati da tedeschi arrivati prestissimo!
Decido di ripiegare sul bar per birra e bratwurst, il wurstel locale un pò sottovalutato ma con la senape ci sta sempre.

C’è tanta gente in giro dentro l’arena, quasi tutti con t-shirt dei Pearl Jam o di Eddie, e sembra di stare tra amici anche se non ci si conosce, come sempre ai suoi concerti. Finisco la coda al bar e mi fiondo dentro sui primi accordi della chitarra di Glen Hansard che entra in scena alle 20,00 e incendia l’ambiente come da pronostico: se non lo conosci diresti che fa l’autista di autobus a Dublino e invece conquista tutti in 40 minuti di fuoco. Da solo. Chitarra, voce e un carisma da veterano. Con Way Back In The Way Back When riesce a far cantare tutta l’arena e non è poco in Germania, fidatevi!

Cambio palco. Ci siamo. Manca pochissimo e intanto pensiamo alla possibile scaletta della serata, ai pezzi immancabili, alle sorprese, alle cover; finisco per dire a mia moglie: tranquilla che farà sicuro Crazy Mary e Falling Slowly con Glen! – Le sue canzoni preferite.

Sembra passare un’eternità poi alle 21.23 con le luci ancora accese entra il Red Limo String Quartet, il quartetto d’archi di Amsterdam che accompagna Eddie in questo tour. Si parte con una Even Flow strumentale e gli archi ad accompagnare l’ingresso di Eddie che quasi non vuole disturbare l’esecuzione… un timido saluto, imbraccia l’elettrica ed ecco il primo accordo che arriva al cuore: è Long Road, che spettacolo! La sensazione è di essere in un ambiente molto intimo, un pò diverso dalle date italiane.

Si parte piano, ma è un crescendo di pathos. La voce sembra un pò metallica come se avesse bisogno di un pò di rodaggio. Per la cronaca, anche così rimane un dio ed è bellissimo – dice mia moglie. Concordo. Basta solo un pezzo per capire che questa serata sarà un lungo crescendo di emozioni, come aveva preannunciato Glen Hansard ringraziando Eddie per la tournée fantastica insieme.
Si parlava di pathos e così dal nulla arrivano i brividi sulla schiena e la commozione sulle note di Love Boat Captain, in ricordo della tragedia di Roskilde avvenuta esattamente 19 maledetti anni fa. Saranno passati 10 minuti e siamo già devastati, pensa lui sul palco! Ci riprendiamo dallo shock della doppietta iniziale con Around the Bend, la chicca che non ti aspetti, seguita da Small Town cantata da tutti.

Qui c’è il primo momento vero di scambio col pubblico: Eddie si immagina da vecchio mentre racconta alle figlie dell’estate 2019 quando lui era in tour tra le città europee a 40 gradi. Tutto ciò per scambiare con noi una riflessione sul cambiamento climatico, da sempre un tema a lui caro, lodando Greta Thumberg e chiunque protesti contro chi ci ha portato a questa situazione. A chi si ribella dedica I Won’t Back Down di Tom Petty, che compare con Eddie in una tenera e nostalgica foto insieme sul maxi schermo. Applausi e occhi gonfi in ricordo dell’artista scomparso quasi 2 anni fa.

Sta salendo la temperatura, il pubblico tedesco c’è e si fa sentire: un tipo dalle ultime file urla più volte qualcosa di incomprensibile e Eddie dice che sarebbe bello fare due chiacchiere insieme ma la prossima volta deve stare più vicino al palco. È poi il momento dei regali: un plettro per una bimba nelle prime file e un bicchiere di vino per il papà. Grazie che hai portato tuo padre – le sussurra al microfono.
Seguono alcuni brani targati Pearl Jam con due chicche su tutte: una versione toccante di Off He Goes che aspettavo da una vita, e Soon Forget, introdotta da Eddie spiegando che è la prima vera canzone composta con l’ukulele ai tempi di Binaural contro gli uomini devoti al dio denaro, ma non contro uno solo in particolare.

La liturgia continua con una tripletta tratta da Into the Wild: compaiono scene di natura incontaminata e cieli stellati come coreografia per Far Behind, Long Nights e Rise. Questo è uno dei momenti qualitativamente più alti della serata con i violini ad accompagnare la sua voce divina e la piccoletta nella pancia sembra gradire, salta e balla senza sosta.
Riprendiamo fiato mentre Eddie ci racconta come è nata l’idea del tour, ovvero dal concerto degli Who a Wembley come support (non malissimo eh!), per poi presentare in grande stile l’amico Glen Hansard. C’è tempo per un’intensa Black, un’esecuzione non ottimale di Unthought Known, e Porch a chiudere la prima parte dello show con tutta l’arena in piedi. Si suda e si canta: adesso pare di essere ad un concerto in Italia, era ora!

L’inizio dell’encore è affidato all’improvvisazione degli archi olandesi che sfuma su Alive, cantata da tutti noi a squarciagola. Eddie nel frattempo in versione oste, mesce il vino e regala bicchieri pieni a destra e sinistra del palco – anche se non sono lì sotto, è tutto bellissimo!

Rifiatiamo durante I’m so Tired dei Fugazi suonata all’organo, per buttarci in un grande fraterno karaoke col pubblico in visibilio che accompagna a tempo con le mani su Corduroy e Last Kiss. C’è complicità e si sente. Viene proiettata l’immagine di un’installazione sul muro al confine tra Usa e Messico e Eddie sottolinea come ci si inventa falsi nemici per non affrontare i veri problemi del pianeta. La reazione é non rassegnarsi a un mondo diviso dall’odio perché le cose possono cambiare e possiamo farcela insieme. Ce lo ricorda con le cover di Imagine e Song of Good Hope, la ballata di Glen con un testo da oscar che Eddie canta andando in mezzo al pubblico ( in realtà Glen ha già vinto nel 2007 l’oscar per la migliore canzone originale con quel capolavoro di Falling Slowly – esatto, proprio il pezzo che aspettava mia moglie e che non è in scaletta).

Pioggia di applausi e pelle d’oca sono una costante ormai. Glen rimane sul palco e si torna alle musiche di Into the Wild: Society ci toglie il fiato perchè è bella da far male interpretata da loro due, poi Eddie chiede a Glen un ultimo favore: di spingere il tasto play per far partire l’intro di Hard Sun… movimenti convulsi rapidissimi tra tecnici, violini e Glen per prendere gli strumenti e settarsi in pochi secondi (scoprirò solo a fine serata che il trambusto era dovuto alla scelta di Eddie di tagliare Smile, in scaletta dopo Society).
Io mi sento come un bambino felice e vorrei solo che Hard Sun non finisse mai anche se Eddie preso dall’emozione, scazza alla seconda strofa. Guardo l’orologio, siamo oltre le 2 ore e sta per finire tutta questa bellezza, ma forse ancora no.

Dopo qualche minuto eccolo tornare sul palco con il Red Limo String Quartet, chiede silenzio e dice che vorrebbe condividere con noi un momento delicato e profondo; vorrebbe farlo qui, adesso, se lo teniamo solo per noi come un segreto. Nessuno fa un respiro, l’atmosfera è diventata ancora più intima se possibile e c’è un silenzio assordante. Eddie, visibilmente commosso, racconta di come prima del concerto dei Pearl Jam a Roskilde dove morirono 9 persone, la band era felicissima e su di giri per la notizia della nascita della bimba di un loro grande amico, Chris Cornell – deglutisco a fatica – e proprio a Lily Cornell, nata 19 anni fa vuole dedicare l’ultimo pezzo.
Il Red Limo String Quartet parte con le prime note di quella che si rivela essere Seasons di Chris Cornell… Il tempo si ferma, sono 5 minuti epici. Noi siamo tutti increduli con un groppo alla gola e gli occhi gonfi al pensiero di tutto quello che può provare lui in quel momento. Ultimo giro di ritornello, Eddie è visibilmente devastato, saluta velocemente e quasi scappa dal palco dopo un set di 2 ore e mezzo.

Più che un concerto, è stata una bomba emozionale per cuori forti e per fortuna noi c’eravamo. Alla mia piccola tra qualche anno racconterò le emozioni che abbiamo vissuto in una calda notte di giugno a Dusseldorf. Per ora resto senza parole per descrivere quella perla finale.
Anzi no, Eddie ci ha fregati un’altra volta, fa sempre così.

And I’m lost, behind
The words I’ll never find