Inciting a Riot: Pearl Jam’s new album
By Jonathan Cohen
Billboard | 28 Ottobre 2002

Traduzione a cura di Alvaro



Dopo sette album in carriera, i Pearl Jam devono ancora arrendersi all’autocompiacimento musicale che spesso sopraggiunge col passare del tempo. Se è qualcosa, “Riot Act”, atteso per il 12 Novembre tramite Epic, è uno dei dischi più interessanti dal punto di vista compositivo mai scritto dal gruppo. Il segreto? Ogni membro ha fornito il suo contributo di canzoni al progetto, dallo stravagante effetto di chitarra del batterista Matt Cameron su “You Are” alla triste, ampiamente acustica “Thumbing My Way” di Eddie Vedder, fino alla quintessenza rock dei Pearl Jam come “Cropduster”, “Save You” e “Get Right.”

L’album, prodotto dalla band con Adam Kasper, contiene anche importanti contributi del tastierista Kenneth “Boom” Gaspar, conosciuto da Vedder lo scorso anno nel bel mezzo di un viaggio per surfisti su una lontana isola Hawaiana e rapidamente coinvolto nella collaborazione.

“E’ stato tutto molto stimolante,” ammette il chitarrista Stone Gossard. “Proprio come le sperimentazioni con le chitarre e con gli effetti della voce, forse abbiamo abbassato un po’ la guardia e ci siamo detti, ‘Hey, possiamo combinare qualcosa di nuovo, anche se non necessariamente la possiamo riprodurre in seguito.’ Con Boom, ci si è lasciati andare, ‘Hey, ecco un ragazzo con cui non abbiamo mai suonato prima.’ Almeno possiamo essere più aperti verso nuove cose. E’ accaduto tutto molto naturalmente e contemporaneamente.
Quella che segue è la storia delle canzoni di “Riot Act” e una manciata di tracce che non sono state tagliate, direttamente dalla bocca dei membri del gruppo.

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Can’t Keep: Sebbene anticipata in versione ukulele nei due concerti da solista di Vedder la scorsa primavera, il pezzo si è trasformato con l’aggiunta di chitarre lavorate e un ritmo rombante che avrebbe funzionato perfettamente sull’album “No Code” del 1996.

Eddie Vedder: Questa è la cosa bella di quando ci si lascia andare e non si cerca di mantenere il controllo sulle proprie ispirazioni. A volte scrivi una canzone e la senti in testa in un certo modo. Ascoltandola comincia a diventare qualcosa di differente… la versione con ukulele di “Can’t Keep” è molto più veloce. E sicuramente era molto più punk di come è diventata alla fine [ride forte]. E va bene così! Puoi quasi sentire il gruppo estrarre le sensazioni l’uno dall’altro e ricomporle insieme.
Stone Gossard: Credo sia stato il primo pezzo su un nastro di canzoni portato da Eddie. Ho proprio imparato a suonarlo sulla chitarra a sono andato in studio pensando di convincere gli altri a suonarlo, perchè sapevo che questa canzone sarebbe stata fantastica se riarrangiato con il gruppo intero.
Matt Cameron: Una volta imparate le parti, abbiamo dovuto fare una specie di lieve trasformazione. Le abbiamo dato una sorta di approccio acustico ed elettrico, simile a “Poor Tom” dei Led Zeppelin. Questo l’ha portata a un livello diverso, e alla fine Eddie era felice di come il gruppo l’aveva trasformata.
Jeff Ament: Ci sono tre persone che suonano la chitarra, questo la fa assomigliare ai dischi di Jimmy Page, ma noi abbiamo tre chitarristi! E’ così statica, mi ricorda gli insetti o qualcosa del genere.


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Save You: La storia del danno reciproco di una relazione di odio/amore (“F*** me if I say something you don’t want to hear from me / F*** me if you only hear what you want to hear from me”) reso in un implacabile rock tendente al punk.

Mike McCready: Portai in studio quel riff e cominciammo ad improvvisarci sopra. Era esplosivo. La canzone è stata completata proprio lì, a metà del pezzo, Matt ha perso le cuffie. Stava andando fuor tempo. Quella è la parte della canzone che preferisco, il fill pazzesco che ci ha infilato. Mi piace anche il solo, ma i fill di batteria sono pazzeschi per quanto sono buoni. Stava suonando senza le cuffia, solo guardando il basso.
Cameron: Guardavo le dita di Jeff e speravo di stare a tempo. C’è un momento di smarrimento, solo noi due. Ho colpito un piatto, e muovendo la testa ho fatto volare le cuffie. Un momento curioso per l’ascoltatore!


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Love Boat Captain: Una canzone dalla struttura insolita per qualche verso simile nel suono a “Light Years” di “Binaural”. Vedder ha preso il titolo in prestito da “All you need is love” dei Beatles prima di incanalarsi in un inciso intenso, rafforzato dai possenti accordi dell’organo di Boom. Vedder alla fine saluta i nove fan morti durante il concerto del 30 giugno 2000 al festival danese di Roskilde.

Vedder: Ho cominciato a scomparire nelle zone dove si pratica il surf circa 5-6 anni fa, come per ricaricarmi di tutto ciò che avevo perso stando in giro con tutta quella gente. Andavo semplicemente dove non c’era gente! Il posto dove letteralmente le strade sono… senza semafori. E’ uno stile di vita da piccola città. Incontrai questo tipo stile “Big Kahuna” sull’isola. C’era un suo amico musicista e quest’altro ragazzo che stava registrando con alcuni ragazzi del luogo. Morì: solo un ragazzo, lasciando una moglie e un bambino. Non andrei mai a funzioni religiose, ma andai a questa veglia su una grande veranda. I ragazzi che aveva registrato con lui suonarono tutta la notte. Fu molto intenso e piuttosto triste. Notai questo ragazzo suonare l’Hammond B3, una classe mondiale! Mi imbattei in lui un altro paio di volte e alla fine gli buttai lì che avremmo dovuto suonare insieme qualche volta. Avevo una piccola apparecchiatura per registrare da portare con me quando volevo stare un po’ via per comporre. La sera stessa scrivemmo quella che diventò “Love Boat Captain”. In un’ora, avevamo questa cosa sullo stereo e la sentivamoo ad alto volume. A quel punto era probabilmente una versione lunga circa 11 minuti!
Ament: Suonammo una versione del demo che in quel momento si chiamava “Boom B3”, quindi venne riarrangiato.
Cameron: Non c’erano le parole quando la registrammo, così pensammo potesse essere una buona breve versione strumentale a cui aggiungere il cantato successivamente. Una volta registrata, feci, “Huh? Cos’è questo?” Non aveva senso per me. Ma quando venne aggiunto il cantato, l’intero pezzo prese forma e acquistò valore.

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Cropduster: Uno dei brani di maggior impatto dell’album, specialmente per la progressione molto originale della chitarra e per l’inaspettato cambio armonico del ritornello. Vedder suggerisce un’efficace scappatoia conclusiva mentre considera la casualità della vita: “Everyone is practicing, but this world’s an accident.”

Gossard: Matt Cameron ha scritto la musica, quindi Ed ha scritto il testo, che ritengo sia tra i più belli del disco. E’ davvero un gran pezzo. E’ un pò più diretta di [contributo di Cameron su “Binaural”] “Evacuation.”


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Ghost: Una meditazione musicalmente oscura sui pericoli del compiacimento, supportata da un semplice riff rock, insolite armonie vocali e un devastante solo di McCready.

McCready: E’ uno dei pezzi divertenti da suonare!
Gossard: Quei grandi, semplici groove sono quelli che preferisco suonare. E permettono a Mike McCready e me di scorrazzare sul palco!
Ament: Avevo soltanto quel riff e una melodia vocale in testa. Stavo pensando a una canzone condotta da voci o qualcosa del genere.

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I Am Mine: Si può anche sostenere che il primo singolo dell’album sia anche la sua traccia migliore, con una cadenza del cantato comune a pietre miliari dei Pearl Jam come “Better Man” e “Elderly Woman Behind the Counter in a Small Town.” Le parole sono chiaramente ispirate agli eventi dell’11 settembre (“All the innocence lost at one time” ) e le miriadi di incertezze che seguono.

McCready: Mi ha toccato immediatamente. Le sue parole: “the in-between is mine.”(“ciò che è in mezzo è mio”) è una sorta di affermazione positiva di ciò che va fatto della propria vita. Nasco e muoio, ma in mezzo a queste due cose, posso fare qualsiasi cosa desideri e avere un’opinione su qualsiasi cosa. Ritengo sia molto positivo. Ha significato molto per me e ancora ho quella reazione quando la ascolto.
Cameron: Sembra abbia tutti gli elementi per cui questo gruppo è conosciuto: testi profondi, una forte presa ed un ottimo senso melodico. Non è stata una decisione difficile sceglierla come punto di partenza per il disco.


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Thumbing My Way: Una ballata ampiamente acustica, con ombre che ricordano l’album Nebraska di Bruce Springsteen, suonata precedentemente dal vivo da Vedder alla chitarra. L’inafferrabile interrogativo del narratore sulla redenzione è espresso da una melodia sfumata di rimpianto, ornata da banjo e organo.

Gossard: E’ una vera performance live con molto riverbero dell’ambiente. Ci siamo noi che cerchiamo di non perdere i cambi di accordi! Ci sono delle buone parti di basso e batteria. L’emozione della canzone è fantastica.
Ament: Stavamo nello studio suonando e imparando la canzone al tempo stesso. Nel frattempo il produttore Adam Kasper è arrivato e ha rimicrofonato tutto furtivamente. Così a un tratto, quando eravamo pronti per suonarla, tutto era già sistemato e lui l’ha catturata. Inchiodata. Per me è stato molto interessante, una sorta di metodo per fare rendere il suono di un disco. Spesso c’è quella sorta di cosa misteriosa quando non conosci la canzone e tutti sono particolarmente concentrati. E’ un momento che dura solo quattro o cinque esecuzioni e poi scompare. Tutto quello che viene dopo è cerebrale, razionale.


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You Are: Una delle canzoni dal suono più strano mai scritte dai Pearl Jam, con una chitarra riffata piena di riverbero e un ritmo funkeggiante e solenne. A metà del brano c’è uno stacco in cui si sente una sovraincisione in falsetto di Vedder che ripete il titolo, mentre la chitarra di McCready emette psichedelici versi di gabbiano sulla coda finale.

Gossard: E’ un pattern di batteria, ma ci attacchi la chitarra. Così invece di usare il suono della batteria, ogni volta che c’è un evento salta fuori il suono della chitarra. Sono tre diversi pattern su tre parti diverse. Matt Cameron se ne uscì con quest’idea e fu sicuramente un momento di ispirazione.
McCready: Traspirazione per me! Mi ha sparato via. Forse mi ha ricordato un po’ i Cure, o qualcosa che questo gruppo non aveva mai sperimentato prima. Ero davvero eccitato e orgoglioso di suonarla a tutti i miei amici, “Senti questa! Questo è davvero un tipo diverso di vibrazione.”
Cameron: L’avevo semplicemente registrata a casa. Avevo scritto un paio di riff, mettendoli insieme come faccio sempre. Avevo acquistato una nuova drum machine che ti permette di creare pattern e di farli suonare con qualsiasi strumento ci attacchi. E’ diventato più che un esperimento usare i parametri di questo aggeggio. E’ uscita fuori molto meglio di quanto non pensassi e ai ragazzi è piaciuta. Ho portato la mia drum machine in studio, l’abbiamo scaricata nel computer, e abbiamo fatto gli arrangiamenti. Eddie ha concluso quelle poche parole che avevo scritto.
Ament: Sai cosa mi ricorda quella canzone, e non solo come quando una canzone è scritta intorno a un effetto? [The Smiths’] “How Soon Is Now.” C’è assolutamente la stessa vibrazione.
Cameron: Sì. Non ci stavo pensando a quello. Ma dopo che l’abbiamo fatta è stato, “Wow. Questa è la mia ‘How Soon is now!’ Sì!” Hanno mantenuto tutte le mie parti di chitarra ritmica. Ho aggiunto un’ulteriore parte di ritmica direttamente in studio. La chitarra e la batteria sono io.


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Get Right: Le acrobatiche linee di basso di Ament e le ronzanti chitarre gemelle guidano questo nonsense brano rock, ancora esaltato da un assolo da ricordare di McCready.

Cameron: Ripetizione! Questa è la chiave!
Ament: Non è anche la firma di quello strano tempo? C’è una spinta in avanti.


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Green Disease: Un veloce, iniziale riff lungo i versi di “MFC” si schianta contro un ritornello esplosivo in maggiore. La melodia principale ha un ottimo impatto grazie al basso incessante di Ament.

Vedder: E’ come, okay, non sto dicendo che il capitalismo è l’errore in tutto questo. E’ più la responsabilità delle multinazionalii. Non mi puoi dire che non c’è altro modo per fare il bene di tutti. E sento che è quanto abbiamo fatto anche con il gruppo. Noi siamo un piccolo business in un certo senso. Diamo lavoro a delle persone. Quelle persone sono diventate come una famiglia e sono trattate davvero bene. Non gli permettiamo di rilasciare interviste [ride]. Scherzo. Sono orgoglioso di come abbiamo fatto nel nostro piccolo.
McCready: Adoro quella canzone, il ritornello è così accattivante.
Gossard: Ha qualcosa di cosa simile a “MFC” [da “Yield” 1998]. La linea melodica della voce è bellissima.
Ament: Pensavo tutto il tempo ai primi due dischi di Joe Jackson. Suonado con un plettro, ma suonando una linea di basso che cambia. Ed ha un suono molto specifico per tutto l’insieme. Voleva che la batteria e il basso avessero quasi un suono più sottile.
Cameron: Stavamo cercando di asciugare ogni cosa sul brano. Ci abbiamo provato tutti assieme, ma non funzionava.
Ament: E’ stato semplicemente immenso.
Cameron: Ognuno praticamente non ha davvero suonato insieme agli altri. Così abbiamo rispogliato tutto fino alla batteria, poi il basso, Eddie e quindi abbiamo aggiunto le altre parti. Abbiamo cercato di mantenerla molto unita. Più piccola, ma più grande.
Ament: Abbiamo ridotto un sacco di bassi, si sente l’attacco di ogni strumento.


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Help Help: Bizzarra nelle sonorità quasi come “You Are,” questa canzone è caratterizzata da riff agitati non melodici e da numerosi passaggi apparentemente scorrelati. Vedder geme “Help me” in una voce disincarnata mentre McCready urla lontano con autorità.

Gossard: Jeff aveva un demo completo che abbiamo quasi completamente ricreato, eccetto il finale divenuto drammaticamente più lungo ed esplorativo, come la voce. Jeff ha scritto parole e musica. La cantava in falsetto sul demo. Ed la stava sperimentando, ma poi hanno portato il vocoder. Tutta quella roba che suona come una tastiera a dire il vero esce fuori cantando e suonando dentro quella piccola scatola. Mi è piaciuto che Ed si sia premesso di sperimentare con suoni vocali così strambi.
McCready: Si fa scuro, Jeff Ament rende scura l’atmosfera, attraverso le parole e la musica. Non penso mai a lui in questo modo, perché non è mai così quando gli parli.
Ament: Sul demo i versi erano cantati in un vero falsetto. Volevo proprio che ci fosse una dicotomia tra il suono del ritornello e della strofa. Ed ha preso possesso del vocoder e l’ha portata al livello successivo. Questo è quando è più facile per me. Se porti una canzone e il gruppo la rende più strana, è sempre un piacere per me. Se il gruppo vuole raddrizzarla è tipicamente quando ho più difficoltà. E’ diventata meno di una canzone per chitarra, che in qualche modo è buono. La parte di chitarra nel ritornello originalmente era molto corposa, ora non lo è più.

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Bu$hleaguer: Un infangante, leggermente ironico schiaffo al presidente George W. Bush, con Vedder che sceglie il parlato per consegnare il suo punto di vista nei versi (“A confidence man, but why so beleaguered? / He’s not a leader, he’s a Texas leaguer”). [“un uomo di fiducia, ma perchè così assediato? / Non è un leader, è un membro della lega del Texas”] Proferisce la parola “change” ripetutamente in un finale dal tono minaccioso.

Gossard: L’ho scritta io. E’ stata scritta nello stesso periodo in cui stavamo mettendo assieme le nuove canzoni per l’edizione 2001 del concerto di beneficenza del Bridge School a San Francisco. Un altro esperimento riuscito. E’ molto satirica. Piacerà alla gente. Matt suona un pattern kick drum che non abbiamo spesso nelle nostre canzoni. Il bellissimo, spettrale finale è qualcosa di totalmente diverso.
Ament: Ogni cosa che Stone ha portato era cupa in qualche modo. Il verso che aveva scritto faceva “blackout weaves its way through the city.” [“il blackout serpeggiava attraverso la città”] Era un verso molto pesante. Il modo in cui Ed ha scritto le parole intorno a questa frase è stato quasi buffo. Questo mi ha fatto venire la pelle d’oca. E’ durato un bel po’, perché originariamente cantava sopra le parole nella canzone e aveva una melodia davvero grande. E’ stato difficile liberarmene.


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1/2 Full: Un blues onesto e allo stesso tempo delirante che sembra ispirato ai Led Zeppelin e ai Rolling Stones; all’interno c’è spazio per alcuni estesi passaggi strumentali.

Gossard: E’ una canzone scritta da Jeff Ament. E’ arrivato con Ghost e 1/2 Full, aveva le parti base; me le ha mostrate e successivamente tutti hanno iniziato a suonarle due o tre volte ed erano pronte. Eddie ha iniziato a cantarle con noi e ha elaborato i testi definitivi nel corso della settimana successiva. Abbiamo letteralmente provato queste due canzoni solo 2 o 3 volte prima di registrarle. C’è parecchia ruvidità e la si può sentire soprattutto nella batteria.
Ament: Era una sorta di progetto dell’ultimo minuto. Siamo usciti e abbiamo iniziato a suonarla. La parte di Matt era pronta in meno di un’ora. Ed in pochi giorni aveva il testo pronto. Da un giorno all’altro la canzone era bella che completa.


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Arc: novanta secondi di un canto senza parole di Eddie, circondato da cori enormi di voci in diverse tonalità.

Gossard: E’ tutta cantata da Eddie, 10 tracce registrate in tonalità bassa, media e alta. E’ veramente fantastica.
Cameron: Mi viene da dire “Quella canzone è troppo corta”. Avrei voluto sentirne 30 minuti o più.


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All or None: Un bellissimo canto in prevalenza acustico che mette in risalto l’amore della band per le canzoni di chiusura introspettive e catartiche. Il triste e doloroso assolo di McCready avvolge tutta la canzone.

Gossard: L’ho scritta io. Molti dei nostri album hanno canzoni di chiusura più lente e riflessive.
Ament: Una canzone abbastanza dark. Eddie pensa che sia l’Indifference di Riot Act e penso abbia ragione.


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Down: Una b-side che non fa parte dell’album con un’allegra e geniale parte di chitarra che ricorda i Wilco e gli Husker Dü. La canzone è inclusa sul singolo di I am Mine.

McCready: E’ una canzone che ho scritto in studio; ho iniziato a comporre questo riff e Matt pensava che fosse cool. E’ una canzone carina e orecchiabile, molto vicina al genere dei Social Distortion. Volevo che la canzone fosse sul disco, ma non si adattava musicalmente alle altre canzoni. Non so perchè, sono veramente orgoglioso di questa canzone, ma non funzionava col resto del disco. Fortunatamente, tutti avranno ugualmente modo di ascoltarla.
Gossard: Penso che sia la classica canzone che potrebbe essere trasmessa dalle radio.
McCready: Beh, è già successo in precedenza con canzoni come Yellow Ledbetter.
Cameron: Per me suonava proprio come una canzone degli Husker Dü o una canzone di Bob Mould. Mi piace davvero molto, e speravo finisse sull’album.
Ament: è un tipo di canzone molto diverso. Ho avuto delle difficoltà, perchè non riuscivo a renderla omogenea al disco. E’ curioso che diciate che somiglia agli Husker Dü, a me ricorda invece i Replacements o i Social Distortion.


Vedder ha inoltre scritto una canzone, ancora senza titolo, in memoria del cantante degli Alice in Chains, Layne Staley; purtroppo, a detta della band, la canzone per il momento non vedrà la luce.
Gossard: E’ una canzone molto personale che Eddie ha scritto la notte che abbiamo scoperto che Layne era morto. Ha mollato tutto quello che stava facendo e si è dedicato completamente alla stesura della canzone.
McCready: Eddie l’ha scritta con l’accordatura per l’ukulele, aveva un suono molto strano e triste.
Gossard: Il disco contiene un approccio vicino a quanto accaduto, molto più di altri dischi precedenti. Molte delle canzoni riguardano cose molto grandi. L’energia era molto positiva e c’era qualcosa riguardo a questa canzone che non la rendeva adatta all’atmosfera del disco. Forse in futuro sarà più appropriata.