Pearl Jam guitarist McCready at ease discussing almost any topic
di Mary Colurso
Birmingham News | 4 Aprile 2003

Traduzione a cura di Boo

Il chitarrista dei Pearl Jam Mike McCready discute tranquillamente di tutto un po’.

I Pearl Jam sono sempre stati una band politicamente e socialmente cosciente e i suoi membri non fuggono dalle situazioni spigolose.

Chiedi al chitarrista Mike McCready qualsiasi cosa sulla guerra USA all’Iraq, gli alti e bassi del gruppo, la manipolazione delle case di registrazione, la saggezza nel far uscire 72 concerti in cd e lui discuterà di tutte queste cose in modo aperto e amichevole.

Mike McCready, che compirà 37 anni sabato, sembra un ragazzo normale e felice durante la telefonata con il Birmingham News. Sebbene tocchi dei potenziali “soggetti scomodi”, McCready bilancia il realismo con l’ottimismo e la pesantezza dell’argomento con il riso.

Non ha problemi a rivelare che le basse vendite dei biglietti rispetto alle previsioni ha portato la band e il suo promoter, la Beaver Production a spostare il concerto di mercoledì dalla BJJC arena di 18.000 posti all’Oak Mountain Amphitheatre a Pelham di soli 10.500.

“Stiamo vendendo bene molte date ma non quella” dice McCready.

In un certo senso i Pearl Jam sono un po’ calati a livello di pubblico dalla metà degli anni novanta, dopo la loro grande esplosione di fama nazionale come parte del movimento grunge di Seattle. “Ovviamente il successo tutto in un colpo è stato molto grande e pazzesco” dice McCready. “Nessuno di noi si sentiva a proprio agio, specialmente Ed.”

“Vogliamo ancora essere popolari e vogliamo che la gente venga ai nostri concerti”, dice McCready, ”perché è quello che amiamo fare. La gente ci ascolta ancora? È questo a cui teniamo. Non è una questione di fama tipo cercare di aver il miglior posto in un ristorante, niente di tutto questo.”

I Pearl Jam sono tornati di recente negli USA dopo il tour oltreoceano per spargere la voce sull’ultimo album , Riot Act. McCready, che si è preso un po’ di giorni di riposo nella sua casa a Long Beach, in California, dice che il gruppo ha tenuto un “piccolo set venuto bene” in Australia e Giappone, per prepararsi per il tour negli States.

Sebbene il pubblico straniero sia rimasto soddisfatto, McCready dice di aver fiutato qualche sentimento anti-americano nell’aria durante i preparativi dell’invasione all’Iraq. “Il Giappone era con l’America” ha detto “ma laggiù c’erano strane sensazioni.”

Vedder, il più schietto tra i membri dei Pearl Jam, ha esternato i suoi sentimenti contro la guerra quasi ogni sera prima dello scoppio del conflitto.

Quando gli viene chiesto il suo punto di vista sul conflitto, McCready che si definisce” l’unico ragazzo antimiltare in una famiglia militare”, mette a fuoco su una conseguenza importante. “Ho un cugino laggiù, e voglio che torni indietro vivo,” dice.” Do il mio supporto alle truppe. Anche voi dovreste. È un momento atroce, orribile.”

McCready dice di credere che i musicisti abbiano il diritto di esprimere le loro opinioni e il potere di dare una spinta ai cambiamenti sociali. “Ma puoi diventare eccessivamente predicatore e pilotare la gente,” dice, “odio questo e lo evito. Politica e arte corrono su un filo sottile. Si influenzano a vicenda ma possono anche confondersi”.
“Ho appena comprato il nuovo cd “Essential Clash” e loro lo fanno nel modo giusto,” continua, “non hanno predicato così tanto, ci hanno solo creduto.”

Le forti convinzioni dei Pearl Jam li hanno spesso portati ad essere in disaccordo con l’etichetta e con il business musicale. La guerra persa con la Ticketmaster è un esempio chiaro. Nel passato i Pearl Jam si sono anche rifiutati di apparire nei loro video e improvvisamente hanno iniziato il silenzio stampa.

“Passi attraverso le montagne russe del sistema, per citare i Pink Floyd,” dice McCready. “La Sony o altri, per lanciare i Pearl Jam, ti fa diventare un prodotto. È un casino, ma è quello che devi fare per uscire dalla massa. Poi puoi creare la tua musica e lanciare la tua uscita. Fortunatamente noi abbiamo venduto una tonnellata di album”.

Uno dei progetti che sta più a cuore ai Pearl Jam, una lunghissima serie di bootleg ufficiali registrati ai concerti, ha stretto i contatti con i fans nei due anni passati ed è tuttora in lavorazione. “Un sacco di gente ci ha riso in faccia per questo,” dice, “la gente dice ‘ecco che arrivano con una delle loro idee strampalate’. Mi riferisco anche alla casa discografica. Ma abbiamo scioccato la gente ed è andata bene.”

Mentre i 72 bootleg si potevano acquistare nei negozi, quelli del 2003 verranno fatti uscire tramite il sito del fan club del gruppo (www.tenclub.net). Ognuno comprende la possibilità di scaricaregli mp3 il giorno dopo il concerto e un disco doppio che arriva in 7/20 gg, secondo il sito www.pearljambootlegs.com

“Tutto ciò deriva dal fatto che siamo fan della musica,” dice McCready. ”Ne abbiamo parlato quando stavamo crescendo, cosa ci sarebbe piaciuto e cosa no dell’avere un fan club. Questa è una delle cose che avremmo voluto.”

Una domanda finale: si considera McCready, che è nato a Pensacola, un uomo del Sud?
“Io penso a me stesso come un uomo del Sud anche se ho vissuto gran parte della mia vita a Seattle,” dice. “Ho le radici del Sud. Me ne vanto con i miei amici. Amo gli Skynyrd. Ma ho questo odioso accento della West Coast.”

 

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Pearl Jam still rocking in the free world 
Di Will Jordan
Nashville City Paper | 18 Aprile 2003

Traduzione a cura di Acrobat

Possono aver nascosto le loro camicie di flanella ed essersi tagliati i capelli, ma dopo poco meno di 15 anni nel business, i Pearl Jam continuano a sputar fuori solidi album rock ‘n roll.

Con le 48 date americane del Riot Act tour, la band non ha rallentato un attimo e si gode il piacere di suonare per i suoi fans ora più che mai. “Eravamo a Chapel Hill l’altra notte,” dice il chitarrista Mike McCready durante un’intervista di mattina presto. “Abbiamo fatto un lungo show. È veramente figo vedere i nostri fans venire a sentirci suonare dopo tutti questi anni”.

I Pearl Jam sono stati cauti con le interviste e hanno cercato di limitare i danni dopo che il cantante Eddie Vedder – che ha una lunga esperienza nell’esternare le sue opinioni politiche sul palco – ha condannato la guerra in Iraq durante il bis a Denver di Bu$hleaguer.

Mentre McCready dice che preferirebbe lasciare la politica fuori dalle esibizioni dei Pearl Jam e concentrarsi sul “fare musica”, dice anche che i fans della band sanno cosa aspettarsi dai loro shows. “Alcune persone si sono offese, ma 10.000 o più fans sono rimasti. Le persone che vengono ai nostri show sanno quali sono le idee di Eddie”.

Il chitarrista aggiunge, comunque, che la band pur non confrontandosi sempre faccia a faccia, cerca di chiarire le cose prima e dopo i concerti. “Non sono sempre d’accordo. Mio cugino è laggiù e personalmente supporto le nostre truppe, ma non mi pento di quello che è successo a Denver”, dice McCready. “So che suoneremo Bu$hleaguer ancora. Abbiamo inciso quella canzone prima della guerra.”

Altre perle live dei Pearl Jam sono Even Flow, Black, Betterman e le canzoni di Riot Act, Green Disease, I Am Mine e Lov eBoat Captain. “Cerchiamo di mischiarle ad ogni show”, dice McCready. “C’è un’energia diversa in alcune canzoni di Riot Act”.

Un’altra aggiunta del nuovo album è il tastierista Boom Gaspar, che Vedder ha conosciuto mentre faceva surf alle Hawaii. Gaspar non sapeva chi fosse Vedder all’inizio, ma quando l’ha scoperto, i due hanno iniziato a scrivere canzoni insieme. “Boom ci ha svegliati un po’”, dice McCready. “Aggiunge qualcosa che avrei voluto che ci fosse da tanto tempo. Aggiunge moltissimi nuovi elementi alle nostre performance. Suoniamo quasi come Neil Young adesso, e non era mai successo prima”.

Il chitarrista sente che i Pearl Jam suonano meglio dal vivo che in studio, che è una delle ragioni che hanno portato alla decisione di pubblicare bootleg di alcune esibizioni (tutte, NdA). “Volevamo farlo per i fans,” afferma McCready. “Suoniamo meglio negli stadi, inoltre i bootleg sono solitamente costosissimi e di bassa qualità”.

Se i Pearl Jam continuano ad essere timidi nei confronti dei media, dopo essere rimasti offesi dall’aver ricevuto il nomignolo “grunge” a metà degli anni ’90, non hanno mai abbandonato i loro fans. “Stiamo lavorando ad un DVD dei nostri show”, dice McCready. “Vogliamo solo suonare e divertirci. Siamo ancora là fuori a fare rock e siamo qui per fare buona musica”.

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Jam Session
di John Soeder
The Plain Dealer | 25 Aprile 2003

Traduzione a cura di Acrobat.

Se c’è stato un contraccolpo per i Pearl Jam, è una novità per il chitarrista Mike McCready.

Sì, alcuni tizi sono andati via dal concerto del 1°aprile a Denver, dopo che il frontman Eddie Vedder ha fatto alcune dichiarazioni contro la guerra e ha “impalato” (come è stato detto in una cronaca) una maschera del Presidente Bush sull’asta del microfono.

Ma per quello che può importare alla band, i media hanno ingigantito il fatto con molto rumore per nulla. “E’ stato tutto gonfiato,” dice McCready. “Abbiamo suonato quella canzone, Eddie ha detto qualche parola, alcuni tizi se ne sono andati”.

Vedder ha usato la maschera di Bush come aiuto durante la performance di Bu$hleaguer, una canzone particolarmente politica (“non è un leader / è un o delle lega del Texas”) dal loro ultimo album, Riot Act. “Il discorso dal palco di Ed parlava dell’importanza della libertà di parola e dell’importanza di supportare i nostri soldati, e anche della tristezza che si prova nel non poter esprimere i due sentimenti simultaneamente in pubblico,” hanno detto i Pearl Jam in una dichiarazione fatta dopo il concerto a Denver, che ha raccolto circa 12,000 fans. Era la serata d’apertura del tour americano di quattro mesi, che fa tappa stasera alla Gund Arena.

Il Rocky Mountain News ha riportato che “dozzine” di persone se ne sono andate durante i bis a Denver. Secondo i calcoli della band, l’abbandono ha riguardato due dozzine di persone al massimo. “Io supporto le nostre truppe,” ci dice McCready al telefono da Atlanta. “La nostra canzone non era assolutamente un attacco verso di loro”, dice, “facciamo solo un po’ di ironia su George Bush, che secondo me è legittimo in una società democratica, da quello che ne so sulla libertà di espressione”.

Bu$hleaguer non è il pezzo principale delle setlist della band, anche se è stata suonata ancora l’altra notte a Nashville. “La maggioranza delle persone sembra gradirla”, ci dice McCready, 37 anni. “La suoneremo qua e là durante il tour, dipende da come ci sentiremo. Non vogliamo sentirci tipo ‘OK, non suoneremo mai più questa canzone perchè ha offeso delle persone’.”

Infastidire alcune persone fa parte dell’essere una rock and roll band, aggiunge. Oltre a Vedder e McCready, i Pearl Jam includono Stone Gossard alla chitarra, Jeff Ament al basso e Matt Cameron alla batteria. Con l’ultimo album si è unito a loro il tastierista Boom Gaspar.

“Anzichè fare le stesse cose ogni sera, cerchiamo di mischiarle un po’”, dice McCready. “Ci mantiene interessanti”.

La band si è lanciata in una devastante versione di Sonic Reducer dei Dead Boys di Cleveland un paio di volte. I Pearl Jam hanno eseguito la cover di questa canzone punk degli anni ’70 per un singolo a tiratura limitata. Quando Vedder & Soci hanno suonato questa canzone l’altra sera a Nashville sono stati raggiunti sul palco dall’ex chitarrista dei Dead Boys, Cheetah Chrome. Ha suonato “ad una velocità pazzescha,” afferma McCready. “Ho cercato di stargli dietro, punk rock immagino”.

Chrome ha una differente versione della cosa. “Penso di aver rallentato parecchio per i ragazzi,” ci dice in un’altra intervista, ridendo. Ha eseguito un’esibizione straordinaria con i Pearl Jam. “Al pubblico è piaciuta”, dice.

Chrome rintraccia un’influenza dei Dead Boys nel primo disco dei Pearl Jam, Ten, che ha venduto più di 11 milioni di copie e il cui frutto sono successi dell’era-grunge come Alive, Even Flow e Jeremy. “Loro sono molto più raffinati di quanto non lo fossimo noi”, ci dice Chrome, che si è trasferito a Nashville nel 1996. “Ma le sensazioni sono le stesse”.

Per McCready, fare musica è tutto un fatto di sensazioni, specialmente quando perde sè stesso in un assolo di chitarra. “Cerco di ritagliarmi uno spazio in cui non penso a niente”, dice. “Sento solo la musica. Mi concentro su una luce sull’impianto di illuminazione e la fisso finchè la mia mente non è vuota… poi chiudo gli occhi. Sono in una specia di nirvana, in mancanza di un termine migliore”.

Insieme ai Nirvana (la band, non lo stato mentale), i Pearl Jam hanno stabilito la loro base a Seattle negli anni ’90, sebbene il gruppo sia andato da tempo oltre le sue radici grunge.
Su Riot Act, il loro settimo lavoro in studio, il materiale varia dal punk tirato alle ballate introspettive. L’allontanamento più radicale è Arc, un canto a-cappella con Vedder che si produce in un lamento senza parole, come fosse in cima ad un minareto.

“Siamo tutti molto entusiasti del disco”, dice McCready. “Siamo fortunati perchè il nostro primo disco ha venduto bene. Ci ha dato potere, siamo stati in grado di prendere decisioni… e avere una carriera più lunga. Siamo stati lontani gli uni dagli altri per un po’ dopo l’ultimo disco (Binaural, 2000) e il tour, così quando siamo tornati insieme, eravamo tutti molto carichi e avevamo voglia di suonare insieme”.

Il gruppo si trova molto bene insieme anche in tour. “Ho giocato a tennis con Stone ieri. Ho vinto, ma solo perchè un mio amico semiprofessionista ha giocato con me. Abbiamo fatto un doppio contro Stone e il nostro tour manager. Se giocassi uno contro uno contro Stone probabilmente mi batterebbe. Gioca sempre”.

La band sta registrando tutti i concerti di questo tour. Se vi piace quello che sentite stanotte, potete ordinare il vostro doppio bootleg del concerto di Cleveland – o di ogni altro concerto sull’itinerario – solamente su www.pearljam.com

Da giovane, McCready teneva un bootleg da un concerto giapponese dei Kiss come una delle cose più prezione. “Adoro i bootleg”, ci dice. “Ne ho alcuni davanti a me proprio adesso. Un po’ degli Stones e un po’ di Hendrix”.

Quando ha voglia di ascoltare un po’ di musica attuale, McCready non riesce a smettere di ascoltare i Jimmy Eat World. “Sono molto forti secondo me”, afferma.

Come i suoi compagni nella band, McCready si è diviso tra i Pearl Jam e alcuni progetti paralleli. I Mad Season, una band formata con Layne Staley degli Alice In Chains, ha pubblicato un disco, Above , nel 1995. La morte di Staley l’anno scorso per overdose ha colpito duramente McReady. “Non lo vedevo da circa quattro anni”, dice. “Sentivo cose su di lui – e non erano mai buone… non riusciva a vincere le sue dipendenze. E’ stato molto triste. Era una gran persona”.

McCready ha suonato anche con i Rockfords, altra band alternative-rock e suona la chitarra anche sul nuovo album dei Wallflowers. Per quanto riguarda i Pearl Jam, il futuro è apertissimo. Riot Act ha terminato il contratto tra la band e la Epic. La band firmerà un altro contratto con una major? O seguiranno la strada indie, con un’etichetta minore o addirittura con un’etichetta propria? Fino ad ora, i Pearl Jam non hanno deciso niente, secondo quanto dice McCready. “Ci sono molte opzioni, e la cose è eccitante”, dice. “Ci piace fare le cose in un certo modo, il che è contrario alle aspettative di molte case discografiche”.

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Jeremy: Still Speaking 
Pulse Weekly | 30 Aprile 2003

Traduzione a cura di Angpo

Il Grunge è passato, la scena musicale di Seattle non è più così importante, e i primi fan dei Nirvana ora sono occupati a comperare un SUV (sport utility vagon) e a portare i figli a giocare a calcio. Ma c’è ancora una cosa che non è cambiata molto dal buon vecchio 1991 – e questa cosa sono i Pearl Jam.

PULSE WEEKLY: siete riusciti a festeggiare la Pasqua, o eravate occupati dal tour e da tutte le altre cose?

MIKE MCCREADY: Io l’ho festeggiata. E’ stato abbastanza casuale. Stavo passeggiando con la mia fidanzata e un altro amico e abbiamo incontrato Brendan O’Brian, il nostro produttore, e la sua famiglia. Così abbiamo fatto un brunch pasquale con loro al 4 season di Atlanta. E’ stato bello. Il cibo era davvero buono.

PW: Quando hai capito che eri una, aperte virgolette, Rock star, chiuse virgolette, se riesci ad andare con la memoria così indietro nel tempo?

MM: Penso dopo che il nostro primo disco era esploso e la gente mi chiedeva l’autografo e mi guardava in modo differente. All’improvviso mi sono ritrovato con un sacco di nuovi amici. Era interessante; è stato una cambio di vita. Prima suonavo solo in un gruppo e cercavo di farcela, facendo tour in pullman, e suonando in situazioni non soddisfacenti per anni. Lavorando in pizzerie o fast food. Passare da quello ad un disco che è piaciuto ed è stato comperato da milioni di persone, è stato strano. Quella è stata la prima volta che l’ho capito.

MM: Non molto. A volte sì a volte no, capisci? Non è una cosa troppo folle, fortunatamente. E’ più una cosa che Ed deve sopportare. O doveva, ai vecchi tempi. Non penso che capiti ancora molto. Capita quando siamo in tour, ma non quando non siamo in tour, davvero.

PW: Come affrontate il blocco dello scrittore? Avete mai avuto dei problemi a fare qualcosa di veramente fantastico?

MM: Sì, sicuramente. Penso che devi solo allontanarti per un po’. Fare dell’esercizio fisico – correre, o andare in palestra, o fare qualcosa che non abbia a che fare con la musica. Queste cose mi puliscono la mente e quando torno posso uscirmene con un’idea. Se quando sto facendo una canzone, forzo e cerco di farla a tutti i costi, non mi verrà. Se mi allontano, qualche volta semplicemente arriva. Questo è quello che succede di solito, Appare dal nulla.

PW: Non ti sei mai davvero stufato di suonare Jeremy e Daughter e dire non me la sento di suonarle questa sera?

MM: No, perche alla gente piace ascoltare queste canzoni, e quardare l’espressione dipinta sulle loro facce, vederli cantare un testo che sembra davvero importante per loro, questo mi ridà l’energia. Continueremo a farle, la gente vuole sentirle. In effetti abbiamo suonato Jeremy la scorsa serata e probabilmente è stata la canzone migliore del concerto. Jeremy non la suoniamo molto, ma quando la facciamo la gente sembra davvero amarla. Pensi che dicano ‘Oh cristo, ancora quella canzone’ ma invece la adorano. Abbiamo provato a cambiarla un po’ nel corso degli anni, ma non so se abbia funzionato. Ora la facciamo normale – Mi piace pesante.

PW: Perchè avete deciso di fare questo tour con Ticketmaster quando prima eravate così contrari a loro? Avete avuto qualche lamentela da parte dei fan per questo?

MM: La gente ci chiede il perché, ma non sono vere lamentele. La gente si lamenta con noi di molte cose, ma su questo fatto chiede solamente. Se sono lamentele o meno, non lo so. Ci sono certi luoghi in cui siamo obbligati ad usare Ticketmaster. Specialmente per i fan in quelle città, in modo che ci possano vedere in palazzotti che sono comodi e vicini a loro. Se non lo facessimo sarebbe una scocciatura, dovremmo suonare fuori città. Onestamente, la lotta contro di loro è finita. Non abbiamo più nulla contro di loro. E’ stato molto tempo fa, e noi dobbiamo continuare a fare le nostre cose. E’ soprattutto per venire incontro ai nostri fan.

PM: Qual è la storia più oltraggiosa che hai sentito riguardo al vostro nome? Ce n’è qualcuna davvero carina in giro.

MM: Le più oltraggiose sono quelle che ci siamo inventate noi – la storia della marmellata allucinogena della bisnonna di Eddie. Quel nome ci è semplicemente venuto in mente, e suonava bene. Mi ricordo perfettamente, eravamo in quel locale a Seattle, il DNO, e gli altri mi hanno proposto quel nome e io ho detto, sembra grande, usiamolo. Non c’è davvero nessun significato profondo sotto, a meno che tu non voglia che ci sia.

PW: Rolling Stone vi ha chiesto di fare una copertina per loro dopo l’uscita di Riot Act?

MM: Non penso. Ma Davide Fricke era qui, è il loro articolista principale, e un paio di giorni fa stava parlando con Eddie. Se fosse o meno per una copertina non lo so. Dubito che ci vogliano sulla copertina — non ho sentito nulla al riguardo. Era qui e si è goduto il concerto, qualcosa sta succedendo, e ne siamo felici.

PW: Sei mai stato davvero coinvolto in una rivolta?

MM: Questa è una buona domanda. Onestamente no.

PW: C’è qualcosa a cui tieni così tanto che saresti disposto a lasciarti coinvolgere in qualcosa di così politico come una rivolta?

MM: Dipenderebbe dal tipo di situazione. Ci sono delle cose a cui tengo molto e delle altre a cui non tengo. Per quanto riguarda la guerra, fortunatamente sarà presto finita. Vogliamo che i soldati tornino a casa sani e salvi. E sembra che stia succedendo. Ogni tipo di dimostrazione potrebbe essere controproducente ora, ma non so.

PM: Cosa fai quando sei a casa?

MM: faccio molto esercizio e leggo. E ovviamente guardo un po’ di tv.

PM: Che tipo di libri ti piace.

MM: Dipende dal mio umore. Mi piacciono sia i romanzi che i saggi. Ho appena letto un grande libro sull’Heavy Metal che era molto divertente. Si chiama Fargo Rock City, ed è piuttosto godibile. Qualche volta mi piace la storia, qualche volta mi piace Kurt Vonnegut . Passo tutta la gamma, leggo qualunque cosa.

PW: Hai qualche personaggio preferito dei cartoni?

MM: (Ride) Non li seguo più molto. Anni fa adoravo Bugs Bunny. E’ divertente ripensarci. Sicuramente Bugs. Ho attraversato la fase in cui ero stufo dei cartoni, ma potrebbe passare, non si sa mai.

PW: C’è qualcosa che hai sempre voluto fare ma che a causa dei tour e dell’agenda piena d’impegni, non hai mai potuto fare?

MM: Probabilmente visitare la Grecia. Questa è una cosa, e ci siamo pure stati. Sono sicuro che avrei potuto farlo, ma quando non siamo in tour, non ho voglia di andare da nessuna parte. E’ come se dicessi: ok finalmente sto in un posto per un po’ e so dove sono tutte le mie cose. Ma adoro anche stare in giro con le valige, così sono due facce della medaglia, ma non sto rispondendo alla tua domanda. Ci sono molte cose che volevo fare e che ho fatto. La cosa principale che amo e che voglio fare è suonare.

PW: Nessun rimpianto?

MM: Onestamente no. Ho passato molti anni ad ubriacarmi e a farmi di droghe, ora non lo faccio più, così probabilmente ho dei rimpianti per quello. Ma in definitiva anche quello mi ha portato ad essere quello che sono ora. Sicuramente però non lo rifarei nello stesso modo.