Intervista a Eddie Vedder da Spin | 2005

Eddie Vedder: Riflettendo sul pericoloso apogeo di Seattle e sull’eredità dei Pearl Jam, l’icona del grunge si confida

Spin | Ottobre 2005

by Will Hermes
Traduzione a cura di tabe

Allora, che ci fai a Los Angeles?

Sto a casa di Johnny Ramone, mia moglie ed io rimaniamo in contatto con Linda [la moglie] più che possiamo [da quando è morto nel settembre 2004]. Johnny aveva una piccola dépendance, e l’aveva sistemata così che potessi fargli visita e stare lì. Ricordo di aver letto che Frank Sinatra aveva fatto lo stesso per Sammy Davis Jr., così mi sono sentito fiero di essere, tipo, il Sammy di Johnny (risate).

Quando vi siete conosciuti?

I Ramones avevano accettato di aprire per noi… non ricordo, forse. ’94, ’95? Ci siamo incontrati allora, e io non immaginavo che sarebbe accaduto, ma siamo diventati grandi amici. Andavo pazzo per lui.

Immagino che su certi argomenti politici potete non essere stati proprio d’accordo. Avete avuto discussioni accese?

Sì. Ogni volta sentivo di essere pronto per andare ospite da Bill O’Reilly perchè ero preparato. Conoscevo piuttosto bene il programma repubblicano. Mi pressava per provare le mie opinioni – John era così. Ti faceva una domanda tipo “Quale canzone dei Cheap Trick è migliore: ‘Surrender’ o ‘Dream Police’?” E così pensi, ok, è solo una domanda, tipo “Come ti senti?” Ma non era così. Era “Statisticamente parlando, considerando il bridge e il ritornello, qual’è la canzone migliore?” C’era tutta una logica alla Johhny Ramone, e lui ti diceva se avevi ragione o torto. In questo senso, era un vero insegnante, soprattutto riguardo la musica vecchia, gruppi con i quali era cresciuto. E’ strano. Per qualche ragione, probabilmente mi attaccavo a parlare con lui più che con qualunque altro amico.

Cosa facevi nel 1985?

Credo mi fossi appena spostato da Chicago a San Diego. Probabilmente lavoravo in un turno come guardiano di notte in un hotel – il che ti concede sempre un sacco di tempo per leggere e scrivere.

Eri in un gruppo in quel periodo?

Quello era un periodo in cui mi registravo da solo un sacco su un 4-piste, cercando di sviluppare il mio songwriting e la mia abilità a livello di produzione. Vivevo in un appartamento, quindi non potevo veramente suonare la batteria. Usavo delle drum machine e sbattevo forte sulle sedie.

C’era una scena a San Diego di cui volevi far parte?

Non c’era un granchè in giro. Credo che San Diego soffrisse il fatto di essere troppo vicina a Los Angeles; la gente voleva mettere insieme un gruppo e poi raccogliere i soldi per permettersi una limousine per far giù venire dei tipi da L.A. per sentirli suonare. Ma c’era un piccolo club, il ‘Bacchanal’, in un viale. Avevano dei nomi a livello nazionale, e se riuscivo in qualche modo ad avere l’opportunità di aiutare a trasportare l’attrezzatura e montare la strumentazione, potevo vedermi il concerto gratis; poi subito dopo correvo al mio turno di notte. Ho visto Chuck Berry, i Ramones, A Flock Of Seagulls, Youssou N’Doubt, Tracy Chapman. Vedevo anche come la gente si comportava – i musicisti che avevano carattere e quelli che erano solo contenti di suonare. Credo che Lenny Kravitz fosse probabilmente l’unica persona che suonava nei club ad avere una sua massaggiatrice personale.

Lo sapevi che quando ti sei spostato a Seattle, stavi per diventare parte di una “scena”?

Era interessante, perchè leggi queste cose dei grupi di San Francisco – Grateful Dead, Janis Joplin, Big Brother – o la musica che veniva dall’Inghilterra nella seconda metà degli anni ’60, come gli Who, i Kinks, e gli Yardbirds, ed era come “Wow! Quella era una scena! I martedì al Marquee. Che cosa dev’essere stato! Vorrei essere stato lì”. Ci pensavo tutto il tempo. Ma era solo qualcosa di cui leggevi.. E poi ti trovi a vivere a Seattle, ci sei da un anno, e vedi come la gente sta rispondendo a tutto questo. Sembrava come la cosa più autentica. Ero stato trapiantato, quindi non avevo visto l’inizio, ma ero tipo “E’ incredibile”. Era veramente eccitante. Chiaramente, quello che conobbi in seguito, fu semplicemente terrificante. Sembrava veramente pericoloso.

Pericoloso in che senso?

Come una cazzo di minaccia alla vita. Suona strano, lo so. Posso parlarne ora. Quando ne parlavo allora. Guardo indietro e sembrava tipo, “Fanculo a quel coglione, che si lamenta di avere uno dei migliori lavori al mondo.” Ma le cose erano diventate… complicate. Ti faceva sentire come se stessi per perdere il tuo miglior amico o la tua miglior ragazza o te stesso; come se qualcosa dovesse essere dato. Non so, non riesco a spiegare. La velocità alla quale è successo tutto, è stata molto negativa. Sentivi proprio che la situazione era pericolosa. E può sembrar ridicolo pensarci in questi termini, ma poi guardi Kurt e alcuni altri, in qualunque modo la gente ha navigato attraverso questa versione estremizzata della realtà, c’era del pericolo. Era una cosa seria.

Ho sempre guardato a questo come la seconda ondata del punk americano, quella in cui i gruppi riuscivano a essere pagati.

La mia conoscenza dall’aver parlato con gente come Johnny e Marky [Ramone] è che i primi punk erano tutti in attesa di raccoglierne dei profitti. Ma non è mai veramente decollato. I Ramones non hanno mai fatto presa sulle radio come avrebbero dovuto. Ma erano grandi in Brasile – una volta sono andato laggiù con loro in tour e c’erano tipo miglialia di persone che prendevano d’assalto il loro hotel. Questo è come il mondo sarebbe dovuto essere. Penso che la roba di Seattle, per via del tempo e del commercio coinvolti, cose come il Lollapalooza, è stata accettata dalle masse. E non era merda. Nirvana, Soundgarden, Nine Inch Nails – non era affatto merda. Era buona musica venduta alle masse. Qualcosa di cui essere fieri.

In che modo la morte di Kurt Cobain ti ha influenzato?

Penso un sacco a se fosse ancora in giro. Come potremmo sederci in riva all’acqua a Seattle, ad un fuoco da campeggio, o qualcosa del genere, parlando. Avrebbe potuto essere. Correvamo su treni paralleli. Ma anche se fossi stato sul suo binario, non ero nel suo vagone, quindi non so esattamente cosa stesse succedendo, e se quella situazione potesse essere salvata. Più che altro, penso: Cazzo, che peccato.

Ha fatto sì che pensassi in modo diverso a quello che stavi facendo?

In quel periodo, dopo che lo shock e la tristezza immediate furono passati, ricordo di aver pensato che forse era stata un’azione con del fegato. Credo che chiunque possa pensarlo – qualcuno prendeva una posizione, bene o male che fosse. Al tempo l’ho visto così. Ora non la vedo più in quel modo, assolutamente. Una parte dell’equazione dev’essere la sua salute, qualunque fossero le sostanze alle quali era incatenato, allo stesso modo di Layne Staley o Stefanie Sargent [7 Years Bitch]. E’ solo un maledetto peccato.

Quanti anni hai-quanto sei vecchio, ora?

Di sicuro non mi sento l’età che effettivamente ho. Il tempo passa in fretta. E ho iniziato a sentirmi più vecchio – lavorare nei turni di notte ti rende più vecchio, ogni anno ti invecchia di due. Quindi secondo la matematica, sebbene avevo 25 anni quando mi sono unito al gruppo, in realtà allora ne avevo 33, il che farebbe di me, ora, un 48enne. Ma in realtà ho solo 40 anni.

Hai coltivato amicizie con diversi rockers della vecchia scuola. Hai ricevuto qualche consiglio riguardo la longevità da gente come Neil Young o Pete Townshend?

Con Neil, abbiamo trascorso del tempo insieme facendo Mirrrorball, del tempo per il Bridge School [per bambini con difficoltà di parola e fisiche, co-fondato con la moglie Pegi], e ogni tanto abbiamo fatto delle camminate con lui dove vive. Non ha spiegato cosa dovremmo fare, ma bisogna vedere dov’era allora e valutare dov’eravamo noi. Stavamo per fare il nostro secondo disco ed eravamo preoccupati a riguardo, e lui disse “Voi ragazzi siete fortunati; non avete tutto il bagaglio. Potete scrivere quello che volete.” Ci invidiava! Il che ci ha fatto capire, ‘coraggio, cazzo, niente panico’. E’ una gran cosa. E se volessi essere nei panni di qualcuno, in termini di longevità, songwriting, sperimentazione a livello di suono, qualsiasi cosa, sarebbe lui. E poi c’è Ian MacKaye e i Fugazi. Quello che fa e quello che fanno loro è diverso da quello che facciamo noi. Ma il fatto che lui rispetti il modo in cui noi abbiamo, per usare un suo verso, “navigato il campo vuoto” – questo è da un disco nuovo che ha fatto chiamato ‘the Evens’; un duo incredibile, è importante. Per lui, quello che conta è la purezza dell’esperienza, il potenziale che la musica ha per raggiungere le persone e comunicare. Non conta la grandezza della comunità, capisci? Trenta, 40, 150 persone. E’ così potente. Così per me, e molti altri, anche ragazzi che non suonano in gruppi, lui è stato un’energia luminosa, una forza positiva.

Sei stato impegnato in diverse opere anti-Bu$h. Le elezioni del 2004 hanno alterato la tua fiducia nel ruolo che la musica può giocare per quanto riguarda la politica e i cambiamenti a livello sociale?

Abbiamo raccolto soldi per MoveOn.org e abbiamo cercato di motivare onestamente la gente e diffondere l’informazione e tirar fouri il voto, e questo è stato positivo. Ma riguardando indietro, forse non è questo il modo. Preferirei aumentare i prezzi dei biglietti di qualche dollaro, e senza dire un cazzo, prendere i soldi e usarli in quella città per qualcuno che ne ha bisogno piuttosto che cercare di convincere qualcuno ad essere attivo o no. Penso che quello che è successo di recente con questo concerto Live8 è un modello per il futuro per come la musica può cambiare il mondo. Ci era stato chiesto, e sarebbe stato grandioso esserne parte. Ma non è da noi suonare in festival dopo quello che è successo in Danimarca. Fare pressione sui leader mondiali prima di un incontro del G8, facendo appello sul loro senso di eredità ai posteri, e la loro promessa di 50 miliardi di dollari – intendo, non si riuscirebbe a tirar su tanti soldi. Sono stato incredibilmente impressionato. Credo che questo sia il futuro.

Parlando di Pearl Jam, quali sono i traguardi di cui sei più orgoglioso?

Probabilmente del fatto che stiamo ancora suonando e comunicando e facendo quello che consideriamo la musica più interessante che abbiamo mai avuto. E che, comunicando fra di noi, possiamo resistere alla dura critica di ciascuno di noi. Questo succede spesso, specialmente quando stai registrando, che è quello che abbiamo fatto negli ultimi mesi.

Quale credi sarà la vostra eredità?

Non penso che abbiamo focalizzato abbastanza perchè ci sia un’eredità. Siamo un gruppo con cinque individui, e abbiamo cose diverse che sono importanti per noi. Abbiamo aiutato cliniche per donne che stavano per essere chiuse, e abbiamo sostenuto la costruzione di skateparks. Avremmo dovuto pensarci di più. [risate] Voglio sperare che dei buoni dischi siano parte di questo – dischi che la gente potrà ascoltare negli anni futuri, tirandone fuori qualcosa. Parli con certe persone, musicisti, o gente più giovane, e loro rispettano come ci siamo comportati riguardo alle cose, e questo è bello.

Ho sentito che hai cercato di smetter di fumare. Come va?

Questa è la mia prima intervista da non fumatore. E’ stata dura [risate] Ho iniziato a fumare dopo la vicenda di Kurt – avevo tipo pensato che avrei fatto la stessa cosa, solo lentamente, capisci? Ora non me lo sento più. Johnny Ramone era giovane; doveva compiere 56 anni. Ad un certo punto, vedi un numero simile e pensi “Non ho da preoccuparmi; ho un sacco di tempo”. Poi arrivi ad una certa età e pensi, “Beh, forse non ho tutto questo tempo che pensavo”.