Pearl Jam: History In Process 

Intervista a Jeff Ament

ShockHound | 15 marzo 2009
by Gregg LaGambina
Traduzione a cura di As_It_Seems 

È stato davvero solo in un rapido battito di ciglia di 20 anni fa che un surfista di San Diego mise giù delle parti vocali su tre pezzi strumentali che da quel momento in poi sarebbero state per sempre conosciute come “Alive,” “Once,” e “Footsteps”? Quel surfista, ovviamente, era Eddie Vedder, quelle canzoni erano state composte dal chitarrista Stone Gossard e dal bassista Jeff Ament – ex membri dei prodotti principali di Seattle, i Green River e i Mother Love Bone – e due di quelle tre canzoni sarebbero finite su Ten, l’album di debutto dei Pearl Jam nel 1991.
Debutto è una parola francese il cui significato descrive “un ingresso formale nella società.” Non c’era niente di formale in Ten, e la società nella quale è stato lanciato era ancora meno raffinata. L’album apparve precisamente nel momento in cui se ne sentiva la necessità; pezzi come “Alive,” “Jeremy” e “Evenflow” avevano una risonanza profonda con una nuova generazione di ragazzi che decisamente non si sentivano del tutto a posto. Completati dal chitarrista Mike McCready e dal batterista Dave Abbruzzese (che si unì a loro subito dopo la realizzazione di Ten, rimpiazzando il batterista originale Dave Krusen), i Pearl Jam scivolarono fuori dalle ore notturne della programmazione di MTV ritrovandosi sotto la luce dei riflettori. Andarono in tour in tutto il mondo con un cantante che si dondolava dalle impalcature e si lasciava cadere tra le braccia di nuovi adepti prescelti, crearono piccoli tumulti nei primi pomeriggi del secondo festival Lollapalooza (all’epoca in cui era ancora itinerante), e si guadagnarono la loro ammirazione una persona alla volta, faccia a faccia, timpano su timpano.
In occasione della ripubblicazione di Ten – che arriverà in quattro diverse edizioni deluxe, che includono tutte una versione essenziale, remixata, curata dal produttore Brendan O’Brien – SHOCKHOUND è andato a trovare il bassista Jeff Ament per parlare del passato, del presente, e di tutto quello che c’è in mezzo.

SHOCKHOUND: Tu sei stato per parecchio tempo un fotografo, hai messo insieme un ampio archivio di foto della tua band nel corso degli anni. Sei una persona particolarmente nostalgica? 

JEFF AMENT: Probabilmente sono più nostalgico adesso di quanto non lo sia mai stato prima. Ma credo di esserlo perché solo nell’ultimo anno più o meno, ho riorganizzato le foto che ho fatto nel corso degli anni. La saggezza del tempo ha funzionato molto bene [per la ripubblicazione di Ten] perché è stato piuttosto facile avere accesso a tante foto che ho fatto durante i due anni in cui abbiamo messo su la band e fatto tour. E’ stato divertente. Penso che ci preoccupiamo sempre di diventare troppo nostalgici su certe cose perché siamo una band ancora in attività e abbiamo ancora la sensazione di fare musica che significa qualcosa. A volte è un po’ difficile saltare avanti e indietro tra questi due mondi. Ma in un certo senso, è come se adesso potessimo chiudere un po’ la porta su quell’epoca.

SHOCKHOUND: Dopo tutto questo tempo, come ti fa sentire questa nuova uscita di Ten? 

AMENT: La ragione per cui l’album è stato remixato è perché all’epoca di Vitalogy [1994], ho trovato una cassetta che diceva “rough mix” – stavo mettendo a posto questo vecchio contenitore pieno di cassette – e conteneva i mixaggi grezzi di Ten. E quando l’ho ascoltata, mi sono detto “Wow. Suona molto meglio del disco”. Ho iniziato a rompere le scatole a Brendan [O’Brien] a quell’epoca e ho iniziato a mettere la pulce all’orecchio degli altri ragazzi della band. Pensavo che se ci fosse stata un’opportunità ad un certo punto di remixare quel disco, sarebbe stata davvero una versione che avremmo potuto ascoltare. Che fosse stato poi pubblicato o no, non era davvero importante per me, ma sentivo che volevo avere una versione mixata decentemente. Il commento di Stone era che il riverbero serviva a coprire la nostra incapacità a suonare [ride]. Anche una parte di me aveva questo dubbio, ma ascoltando i mixaggi grezzi, ho avuto la prova contraria. Ascoltando quella roba e ascoltando come Brendan l’ha remixata – l’ha resa in qualche modo più vigorosa e cruda. Mi fa avere davvero molto più rispetto di Dave Krusen, che era il nostro batterista in quel disco. Era davvero un grande batterista. Ha avuto molto a che fare con il modo in cui suonava quel disco. Non so se gli ho mai dato tutto il mio rispetto; spero che questo remix possa darglielo.

SHOCKHOUND: Quali sono state esattamente le circostanze dell’abbandono di Krusen? 

AMENT: Stava attraversando un sacco di casini in quel periodo. Aveva una moglie e un bambino appena nato. Quando abbiamo iniziato ad andare in tour, per lui era molto difficile. E ci siamo detti “Bè, andremo in tour per i prossimi 20 anni [ride] perciò se non te la senti…” Così, semplicemente non c’era altra soluzione.

SHOCKHOUND: Quando i Pearl Jam hanno iniziato, è noto che tu hai inviato una cassetta con tre pezzi strumentali che avevi registrato con Stone Gossard, ad “un certo surfista di San Diego” e ti è tornata indietro con le parti vocali – il resto, come si dice, è storia. Quasi 20 anni dopo, siete ora in uno studio a registrare il vostro nono album. Puoi fare un confronto tra come è stato sentire Eddie Vedder cantare sulla vostra musica allora e adesso? C’è un brivido simile ora quando senti le sue nuove idee per la prima volta? 

AMENT: Io ho un’enorme ammirazione per le persone che riescono a mettere insieme delle parole e ad essere poetici. Lui è sempre stato un grandissimo scrittore ai miei occhi, ma penso che ci siano stati diversi momenti in cui lo ha fatto ad altissimi livelli. Lui ci pensa in continuazione. Traffica sempre con giochi di parole e pensa sempre alle parole e a come metterle insieme. Con le prime cose che ha fatto su questo [prossimo] disco, com’era ovvio, ha segnato ancora un’altra tacca. E’ stato davvero entusiasmante in queste ultime settimane sentire quello che sta tirando fuori e come continua a migliorare le parole. E certe volte tira fuori qualcosa di meraviglioso e poi lo sostituisce completamente con qualcosa addirittura migliore. Ha un immenso talento. Io ho scritto alcune canzoni da solo ed è un processo così intenso per me già solo farlo con un risultato medio. Lievemente al di sotto della media è comunque un sacco di lavoro [ride]. Anche lui ci mette tanto impegno, ma possiede anche un incredibile dono.

SHOCKHOUND: Si porta ancora dietro i taccuini per le composizioni e si annota le cose? 

AMENT: Sì. Ne ha una valigia piena.

SHOCKHOUND: Guardando la foto della copertina di Ten, si ha il senso di come ci fossero diverse cose allora, come essere giovane e in una nuova band creasse un senso di solidarietà unico. Siete tutti stretti insieme, annunciandovi al mondo. Bene o male, come è cambiato quel tipo di amicizia nel corso degli anni? 

AMENT: Penso, in parte, con le relazioni che abbiamo avuto con le nostre compagne e nel corso degli anni con i nostri migliori amici e con le nostre famiglie ed il loro processo di crescita – mogli, fidanzate, tutto l’insieme – abbiamo delle conversazioni più adulte e comunichiamo meglio. Penso a me e a Stone, che ci conosciamo da circa 25 anni, e a come comunicavamo all’inizio – o in realtà, come non comunicavamo [ride] – e quanto siamo buoni amici adesso e come riusciamo ad avere delle discussioni elevate, emotive senza farle diventare spiacevoli come potrebbe succedere, o come succedeva. Anche nel periodo in cui registravamo il disco, circolavano sentimenti forti e probabilmente, ad un certo livello, piccole lotte di potere, e non avevamo davvero nessuna capacità di comunicare in modo calmo, amichevole, ciò che provavamo. Quando abbiamo fatto quella foto, l’idea era, “Se sarò ancora in una band…” – perché ero già stato in altre band per 10 anni a quell’epoca – “tutti devono stare sulla stessa pagina. Se allungheremo il passo in questo mondo e ci proviamo sul serio, proprio non possiamo avere un legame debole perché un legame debole ci farà essere meno di una band.” Quella era l’idea – essere una vera band. La copertina, guardando indietro, è un po’ scadente, ma credo che fosse proprio la visione idealistica che avevamo in quel momento. Siamo tutti insieme in questa cosa e ci costruiremo una vita in qualche modo fuori da qui – anche se durerà solo quattro o cinque anni [ride] – ce l’andremo a prendere.

SHOCKHOUND: Quando Ten è stato pubblicato per la prima volta, c’è voluto un po’ di tempo per trovare un pubblico; ma quando poi è successo, siete diventati enormi quasi senza preavviso. Quando siete stati inseriti nel programma del Lollapalooza quell’anno, avevate uno slot alle due del pomeriggio generalmente riservato ad esibizioni minori, e la folla letteralmente demoliva le barriere per avvicinarsi. E’ stato lì che avete capito che stava succedendo qualcosa? 

AMENT: Il Lollapalooza è stato un anno dopo l’uscita del disco. Eravamo stati tre volte in Europa per la promozione dell’album e ogni volta che tornavamo in Europa, l’accoglienza era esponenziale. Suonavamo in club da 200 o 300 posti e poi all’improvviso 2000 posti, e poi abbiamo fatto il Lollapalooza alle due del pomeriggio. Il disco stava andando bene a quel punto, ma suonavamo con i Chili Peppers, i Soundgarden e i Ministry – band che ammiravamo veramente. E’ stato molto intenso. Credo che non sapessimo veramente come gestire tutta quella energia. Quando ascolti le registrazioni di alcuni di quei concerti, suoniamo così veloci, è così dannatamente folle. Penso che abbiamo assorbito quella energia. Ricordo alcune volte, durante quel tour, in cui non riuscivo ad andare a dormire la notte. Tornavo in albergo e me ne stavo lì ed erano le cinque del mattino. Era fantastico. Ma allo stesso tempo ad ogni singolo concerto sembrava che qualcosa potesse andare storto. Sembrava che stessimo suonando sull’orlo di qualcosa. Le barriere stavano venendo giù. Tutto il pubblico del prato stava venendo sotto al palco. Chi suonava dopo di noi? I Jesus and Mary Chain. Credo sia stato una brutta esperienza per loro, perché noi avevamo questa cosa che ci stava succedendo e loro suonavano musica pop [dopo di noi] e non era proprio la stessa cosa.

SHOCKHOUND: Ma quella band prospera lamentandosi. 

AMENT: [ride] Giusto. Assolutamente. Probabilmente hanno un paio di pezzi buoni in giro.

SHOCKHOUND: Lo scopo del Lollapalooza all’epoca era di creare questa piccola compagnia itinerante di pazzoidi che avrebbero suonato insieme in spazi enormi che non avrebbero potuto riempire da soli. Adesso ci sono “destination” festival ovunque che di base hanno la stessa lineup in ordine diverso. Potrebbe essere una cosa buona per i fan, ma pensi che le band abbiano quello stesso tipo di relazione per poter viaggiare insieme per tutto il paese come avete fatto voi nel ’92? 

AMENT: Credo che la cosa buona per noi è che non abbiamo suonato in molti festival negli ultimi 15 anni. Ne facciamo un paio ogni anno, e penso che quando siamo stati in Europa due o tre anni fa, abbiamo suonato in quattro o cinque di questi ma erano tutti in paesi diversi. Negli Stati Uniti, abbiamo scelto di suonare ogni anno in un festival diverso e di non farne tre o quattro. Questo rende la cosa un po’ più eccitante per noi perché solo un paio di volte all’anno siamo nelle vicinanze di molti dei nostri colleghi. Questo è più divertente rispetto al fare il circuito dei festival ogni anno. Credo che per molte band sia un modo per fare soldi ed è un po’ più facile perché non devi portare il tuo suono e le tue luci e tutto il resto. Così, credo che buona parte di tutto ciò sia probabilmente guidato dall’aspetto finanziario, ma noi abbiamo sempre voluto cambiare questa cosa. Ci sono stati dei momenti nel corso degli anni in cui abbiamo fatto troppi tour nello stesso tipo di ambientazione, che fossero posti piccoli oppure arene e pensavo “Dio, se suono in un altro posto piccolo, mi ucciderò.” Siamo diventati piuttosto bravi adesso a capire come mescolare le cose, mantenerle fresche, aggiungendo uno o due festival. E’ stato divertente un paio di anni fa, siamo riusciti a vedere i Queens of the Stone Age per un paio di concerti. Negli ultimi sei o sette anni, ogni volta che loro avevano suonato a Seattle noi eravamo fuori città. Così, è un modo per ritrovarsi. Siamo riusciti a vedere gli Stooges al Lollapalooza un paio d’anni fa ed è stato fantastico. Non so se questo risponde alla tua domanda [ride].

SHOCKHOUND: Avete appena terminato due settimane di registrazione a Los Angeles per il vostro prossimo album. Qual è la tua canzone preferita, come si intitola, e perché ti piace così tanto? 

AMENT: [ride] Oh, cavolo. Ci sono alcune cose molto buone che stanno accadendo proprio adesso e stanno appena iniziando ad accadere. Le tracce base sono tutte praticamente fatte. Ci sono testi abbozzati. Questa roba andrà sistemata. Ci sono alcune cose con tastiere e percussioni che stiamo portando avanti proprio adesso. Siamo ancora all’inizio, ma c’è una canzone che si chiama “The Fixer” che penso sia davvero incredibile.

SHOCKHOUND: E’ ancora la cosa che preferisci dell’essere nei Pearl Jam – vedere queste piccole idee diventare canzoni nuove di zecca? 

AMENT: Assolutamente. Soprattutto dopo tutto questo tempo. E’ diventato un processo veramente collaborativo. Tutti e cinque, con Brendan, siamo stati nella stessa stanza negli ultimi due mesi ad elaborare queste cose. Così, dallo spunto di ognuno di noi seduti sul nostro divano o nel nostro studio con una chitarra tra le mani – da quel punto a questo punto è davvero fantastico.

SHOCKHOUND: Come fan del basket, provi una certa soddisfazione karmica nel fatto che gli Oklahoma City Thunder sono attualmente all’ultimo posto? [I Seattle Supersonics sono stati venduti l’anno scorso e si sono trasferiti in Oklahoma.] 

AMENT: Noo. Io credo di avere un po’ di attaccamento a questi ragazzi perché li ho visti giocare alcune partite l’anno scorso, ma sono per lo più mal disposto verso lo sport professionistico. In particolare, ce l’ho con l’NBA. Penso che lo sport professionistico in generale, sia tutto allo stesso livello, che siano gli steroidi o il prezzo dei biglietti o le leghe che tengono in ostaggio le città con la costruzione di nuovi stadi e tutti gli accordi sotto banco che accompagnano questa merda. Io sono un tifoso, ma nessuno dovrebbe essere tassato per la costruzione di uno stadio. Non tutti lo utilizzano e non tutti ne traggono beneficio. E’ folle che dei miliardari tengano in ostaggio delle città. In qualche modo è probabilmente una cosa buona che Seattle non debba avere a che fare con tutto ciò ora perché quelle squadre sono solo miniere di soldi in questo momento. E probabilmente non è il momento migliore adesso per averne tanti.

SHOCKHOUND: Ti ricordi quando gli stadi avevano i nomi di grandi personaggi che avevano fatto grandi cose e non quelli delle aziende che hanno pagato per costruirli? 

AMENT: Sì. E adesso tutti quei nomi sono cambiati perché tutte le banche stanno uscendo dal business e tutte le compagnie di assicurazione stanno uscendo dal business. Tutto sembra essere stato raggiunto dalla distorsione del business e dal modo in cui le cose sono state gestite.

SHOCKHOUND: Il che ci porta al potenziale accordo Ticketmaster e LiveNation. [Le due aziende sono attualmente in fase di negoziazione per fondersi] Se le band non riescono più a vendere dischi perché la musica gira gratis in internet, come può guadagnare un artista se una corporation controlla anche i soldi che si possono fare on the road? 

AMENT: Bè, devo dire, sono lieto di vederlo sui giornali e sono lieto di vedere che le persone gli stiano dando attenzione, e spero che tante band vadano a fondo su questa cosa. E poi l’altra parte di me dice “Dove eravate 15 anni fa?” [ride] Perché noi non abbiamo trovato nessuno. [Ament e Gossard testimoniarono davanti al Congresso nel 1994, affermando che Ticketmaster era un monopolio in violazione delle leggi antitrust.] E’ uno scherzo. Funziona bene per le grandissime band, ma per gli altri in una situazione intermedia, o ancora peggio, una giovane band che forse non sta vendendo dischi e si sta rivolgendo a posti per suonare su cui loro hanno il controllo: sei fottuto. Spero davvero che il Congresso faccia qualcosa in merito stavolta, anziché chiudere un occhio, perché questo è quello che è successo 15 anni fa.

SHOCKHOUND: Fortunatamente per la tua band, potete far uscire il vostro prossimo album con la vostra etichetta e probabilmente avrete più controllo sulla vostra musica come mai prima. 

AMENT: Assolutamente. E’ un buon momento per essere un libero professionista.