Eddie Vedder e Sean Penn raccontano Into The Wild

“Eddie è una persona che ho in mente ogni giorno per la musica. Non gliene avevo nemmeno parlato prima di aver finito il film. Non conosceva il libro. Ma due giorni dopo lo stava già leggendo e mi ha chiamato per dirmi ‘devo farlo’.”

– Sean Penn

[Da http://www.intothewild.com/]

L’elemento finale che si intreccia lungo l’intero film è la musica, che era nella testa di Sean Penn fin dall’inizio, con molti spunti e canzoni specifiche scritte direttamente nella sceneggiatura. Alla fine, la colonna sonora combina canzoni originali e musica di Eddie Vedder con composizioni alla chitarra di Michael Brook e Kaki King.

“Mentre stavo girando, ho cominciato a sentire sempre di più la voce di Eddie Vedder come quella dell’anima di Chris McCandless” dice Penn. “Nel frattempo, mentre Jay Cassidy e io ogni notte montavamo gli assemblaggi con la musica, mi sono ritrovato ad attingere sempre di più alla musica di Michael Brook e questo cominciava a sembrarmi l’approccio giusto da un punto di vista sonoro. Poi, Kaki King mi è stata raccomandata da Martin Hernandez, il nostro designer del suono, così ho ascoltato alcune delle sue cose ed è salita a bordo. E poi, dopo tutto questo, ho chiesto a Eddie se voleva leggere il libro e lui l’ha fatto e si è buttato a capofitto a scrivere canzoni, ma è persino andato oltre, ha scritto anche dei pezzi strumentali. Alla fine, abbiamo fatto delle sessioni di registrazione a Seattle con Michael, Eddie e Charlie Musslewhite e, tra tutti loro, hanno centrato in pieno l’obiettivo.”

Vedder, che è diventato amico di Penn anni fa, mentre scriveva la musica per il film ‘Dead Man Walking’, ricorda che Penn l’ha chiamato e gli ha chiesto di venire a vedere il film appena completato. “Ho pensato che fosse grandioso e che non sembrava mancasse niente. Aveva già parecchia buona musica,” dice. “Ma Sean mi ha detto ‘provaci e vedi cosa succede’ così ho passato tre giorni in studio e gli ho mandato circa una mezz’ora di musica. Allora, lui mi ha detto, ‘se potessi farmi avere altre cose così, tu potresti diventare la voce interiore del personaggio.’ Vedeva la musica diventare quasi come quello che c’era nella testa del ragazzo.”

Vedder non ha esitato gettarsi a capofitto su esortazione di Sean, sapendo che la cosa l’avrebbe portato in territori insoliti. “Sean è una persona incredibilmente speciale,” commenta Vedder, “e, diciamo, se tu ti trovi sul bordo di una piscina e ti stai chiedendo se tuffarti o no, Sean è la persona perfetta per spingerti dentro.”

Non avendo mai letto il libro, Vedder l’ha rimediato e ha trovato ampia ispirazione in Chris McCandless. “Non è stato difficile per me capire questo ragazzo,” ammette. “Mi sento ancora così connesso e ho dei ricordi così forti sul vivere quell’età in cui vedi le stronzate nel mondo e vuoi sapere come relazionarti, come puoi mantenere dell’idealismo, e come non diventare come le stesse figure autoritarie che ti circondano mentre stai crescendo. Questa è stata un po’ un’opportunità per rivisitare quelle cose. Credo che ci voglia un bel fegato per fare quello che ha fatto Chris e anche se c’è stata dell’avventatezza in quello che ha fatto, è il tipo di spericolatezza che ci manca più avanti, quando ci siamo sistemati e ci chiediamo cosa avremmo potuto fare con le nostre vite.”

Vedder spiega che mentre stava scrivendo la musica, suo fratello minore, anche lui di nome Chris, era partito per il Sud Africa per meditare e aveva perso momentaneamente contatto con la famiglia. “Nessuno aveva sue notizie da due mesi e all’improvviso mi sono sentito come Carine [McCandless, sorella di Chris n.d.t.],” dice. “C’erano cose che accadevano nella mia vita reale che erano davvero parallele alla storia.”

Le canzoni stesse sono emerse in uno stile grezzo e spontaneo, connettendosi allo spirito ‘road-trip’ del film. Vedder paragona il suono a quello dei demo che Pete Townsend degli Who aveva registrato suonando da solo tutti gli strumenti. “E’ stato diverso rispetto ad avere una band che suona – è più semplice, ma è anche più puro,” ammette. Fa notare che mentre componeva si è trovato a dover cambiare costantemente gli strumenti. “C’è un brano col mandolino,” puntualizza, “e penso che questa sia stata la seconda volta in tutto che ho suonato il mandolino, ma si adattava davvero all’emozione della scena.”

Abituato ad uno stile di scrittura più aperto, Vedder ha finito per divertirsi anche con le relative costrizioni di scrivere canzoni appositamente per delle scene. “E’ stato davvero diverso per me perchè è così semplificato,” fa notare. “Devi lavorare seguendo determinati paramentri – sai, questa canzone deve durare due minuti ed è a questo punto del suo viaggio e ci deve essere della musica strumentale verso la metà perchè lì entra la voce del narratore. Ma, alla fine, quello che importava davvero era servire Sean e anche Chris McCandless, verso il quale sentivo una vera reponsabiltà.”

Le cose si sono combinate così perfettamente per Vedder, che ha cominciato ad interrogarsi sulla fonte di ciò. “C’era qualcosa nell’aria, non si poteva negare che qualcosa stava succedendo, ” dice. “La stesura dei testi è stata così facile e la musica si combinava in modi strani, per cui le battute cadevano su una portiera di macchina che sbatteva o l’organo si connetteva al modo in cui le le spalle di Emile [Hirsch, l’attore che interpreta Chris McCandelss n.d.r.] si muovevano su e giù. E’ stato quasi come se qualcuno mi stesse aiutando da una dimensione non tangibile. C’erano degli elementi davvero strani e bellissimi che ci hanno aiutati nella composizione.”

La musica – grezza, intima ed emozionante- evidenzia ulteriormente la ricca eredità di domande difficili e di affascinanti proposizioni che Chris McCandless ha lasciato dietro di sè quando se n’è andato da questo mondo. Questo si riflette anche in una frase che Penn ha scritto alla fine della sua sceneggiatura di Into The Wild. Dice: “Chris è morto vivo.” Quando gli viene chiesto di spiegarla, Penn la riassume concisamente: “Avendo vissuto, vive ancora dentro di noi.”

Il frontman dei Pearl Jam parla di ciò che lo ha ispirato nella realizzazione di canzoni soliste per le colonne sonore di ”Into the Wild” e ”Body of War”

Entertainment Weekly | 13 settembre 2007
By Whitney Pastorek

Dopo 17 anni come frontman dei Pearl Jam, Eddie Vedder camminerà per conto suo quest’autunno, avendo scritto e registrato canzoni soliste per due colonne sonore. La prima, Into the Wild, è l’adattamento di Sean Penn del libro di Jon Krakauer — l’ampia, vera storia della vita e della morte del 24enne Chris McCandless (interpretato da Emile Hirsch). Il secondo film è Body of War, un documentario co-diretto da Ellen Spiro e Phil Donahue che getta uno sguardo sulla guerra in Iraq attraverso gli occhi di Tomas Young, un 25enne veterano del conflitto che è rimasto paralizzato dopo soli cinque giorni di servizio. Visto questo improvviso scoppio di follia cinematografica, abbiamo approfittato di un paio di minuti per chiacchierare con Vedder durante una sua sosta a New York prima della sua partecipazione alla premiere di Body of War, l’11 Settembre al Toronto Film Festival. Sempre pensieroso — e leggermente assonnato, dopo aver fatto notte fonda con Penn — questo è quello che il Seattleiano socialmente consapevole aveva in testa.

ENTERTAINMENT WEEKLY: Ho sentito che siete stati svegli fino alle 5:30


E’ un pettegolezzo. [Ride] No, a Sean piace stare alzato fino a tardi. Così ho un compagno. Si può parlare di buone cose alle 5 del mattino. Non te le ricordi, ma è divertente…

C’è la tua amicizia con Sean alla base della tua partecipazione a Into the Wild?

Sì, forse ci avrei pensato su di più se si fosse trattato di qualcun altro. Con lui, non c’è stato assolutamente nessun dubbio. Avevo appena finito il tour coi Pearl Jam e Sean mi ha chiamato il mio secondo giorno libero o giù di lì. Così ho letto il libro, e subito mi sono detto, ‘Questa non sarà la fine.’ Sean è comparso a casa mia un paio di giorni dopo, molto casualmente — alla mia porta, come se vivesse in fondo alla strada e stesse semplicemente passando di lì — e l’abbiamo guardato insieme. Era bellissimo, e ho pianto, era straordinario. Non sapevo per cosa avesse bisogno di me, perché era grandioso. Mi ricordo quando l’ho visto la prima volta — solo io e Sean seduti per terra a guardarlo, sai, con un pacchetto di sigarette — e volevo solo chiedere cose come ‘Come hai ottenuto quell’inquadratura? Aspetta, è successo davvero? Quelli erano cavalli selvaggi? L’orso grizzly, come avete fatto?’ Così è stato davvero difficile non dire una parola. L’intera cosa per me era incredibilmente toccante. Ed entrare nella testa di Chris McCandless… è molto sfacciato che questo fosse l’ultimo ragazzo al mondo che avrebbe voluto che si facesse un film su di lui, e come sarebbe stato pericoloso per quello che lui era e per come conduceva la sua vita, se fosse stato commercializzato o banalizzato. Grazie a Dio è stato Sean a farlo.

Non avevi letto il libro prima?

No. Tutti quelli che conoscevo l’avevano letto.

E’ uno di quei libri che leggi al college e decidi che butterai via la tua intera stupida vita per fuggire nei boschi e morire.

Sì — o vivere. Imparare dai suoi pochi errori. Ne abbiamo parlato un po’ la notte scorsa. Penso che non coinvolgerà solo le persone che hanno fatto cose così, che ci si relazionano perchè hanno fatto qualcosa di simile, ma coinvolgerà le persone che non l’hanno fatto, e si stanno chiedendo perché non l’hanno fatto, avendo perso quell’opportunità.

Uno invecchia e realizza che è fin troppo immerso nella sua vita per buttare tutto all’aria e andare a fare autostop sul sentiero degli Appalachi o altrove.

Comunque è incredibile quanto velocemente puoi scappare. Si può. E’ proprio lì, tutte le volte. Il confine è più vicino di quanto pensiamo. Puoi essere là fuori in poche ore. E puoi sempre tornare indietro, la maggior parte del tempo. Sean e io abbiamo attraversato per circa 100 miglia il Grand Canyon poche settimane fa, in kayak, e siamo usciti a Lake Mead. Avevamo una guida, questa grande persona che si chiama Brian Dierker, che interpreta Rainey nel film. Lui non fa escursioni a fine di lucro, porta solo i geologi e gli scienziati laggiù — Sean l’ha scritturato dopo aver esplorato insieme i posti per filmare. E Sean si è preso davverola responsabilità dell’esplorazione, al punto che se c’è una scena con una tenda nel deserto, quella tenda è messa esattamente dove Chris l’aveva messa. Hanno usato foto e allineato le cose alle montagne, alla costa. E filmavano, senza danneggiare il territorio. Non erano tenuti a farlo. Avrebbero potuto usare una scenografia o qualcosa del genere. Ci si rende conto che non solo Sean ha fatto questo grande film con queste grandi persone, ma che per loro è stato fottutamente difficile farlo. Solo realizzarlo è stata un’avventura. Quindi il ragazzo ha avuto un’avventura, e poi Sean e la crew e Emile hanno avuto un’avventura.

E tu hai scritto la colonna sonora per l’avventura. Sostanzialmente sei partito con l’idea di fare lo score per il film?

Sean mi ha detto solo, ”Qualsiasi cosa tu voglia fare. Forse musica, forse una canzone.” Così ho passato tre giorni a dare a lui dei colori coi quali io avrei potuto dipingere. Suoni diversi. Poteva essere solo organo e voce, o poteva essere una canzone up-tempo. Gli ho solo dato 25 minuti di musica, cose che sentivo essere come dei colori sulla tavolozza. E non pensavo davvero che ne sarebbe uscito qualcosa. Forse un piccolo brano, una cosa così. Per quanto volessi servire Sean e il progetto, avevo davvero delle basse aspettative. Ma invece di dire, ”Bene, forte, potrei usare una cosa, grazie per averci provato,” Sean ha chiamato e mi ha detto, ”Ho già aggiunto due brani al film, se puoi darmene altri cinque o sei, potresti diventare la voce interiore del personaggio.” Ho detto: ”Facciamolo.”

Hai scritto basandoti su quello che c’era nella mente di Chris, o ti sei fatto ispirare più dai paesaggi?

Dopo averlo visto la prima volta, Sean mi ha spedito delle parti diverse, le versioni senza sonoro. Così penso di aver scritto per ciò che ogni piccola cosa richiedeva. C’erano molte limitazioni, rispetto allo scrivere un album con la band, che potevano essere su ogni cosa. Come ”Questa deve durare 1 minuto e 30 secondi, e il testo deve terminare qui così può innestarsi il dialogo.” Tutte queste limitazioni erano assolutamente benvenute, perchè hanno reso le cose molto facili.

Come genitore, deve essere difficile vedere Into the Wild — guardare questo ragazzo che volta le spalle alla sua famiglia.


Penso che i genitori impareranno molto da questo. Anche se non hanno fatto niente di sbagliato… avrà lo stesso un profondo effetto. E’ difficile attraversare la vita di un ragazzo senza incasinarlo. E non importa quanto tu sia bravo, ad un certo punto i tuoi figli dovranno crearsi la loro indipendenza e credere che mamma e papà non sono fighi, solo per affermare se stessi. Questa è l’adolescenza. Ci passeranno attraverso qualunque cosa succeda. E penso che quello sarà un periodo interessante. Io stesso ci sto pensando. [Ride] Questi sono anche tempi difficili. Obbligare i tuoi figli a prestare attenzione a quello che sta succedendo, o lasciarli vivere le loro vite al di fuori di questo? La mia speranza è che la mia bambina diventi una forte attivista. Questa è la cosa che mi renderebbe più orgoglioso.

E se lei si ribellasse contro le tue politiche liberali e diventasse una neo-conservatrice?


[Ride] Aaaah… non penso. Non penso proprio. Per come la conosco ora? Sarebbe scioccante, certamente non è nella sua natura. Ha 3 anni — che è un po’ il culmine del liberalismo. Il liberalismo viene naturalmente.

Hai creato questa meraviglioso collegamento con Body of War, l’altro film per il quale hai realizzato della musica, visto che la relazione di Tomas Young con sua madre è difficile. Non poteva vivere senza di lei, quasi letteralmente. Mi pare di capire che tu hai incontrato Tomas e queste canzoni ti sono uscite di getto? Le canzoni ti escono di getto in questi giorni!

Hanno tutte una motivazione. Hanno un obiettivo. Mi sono sempre sentito motivato all’interno della band, ovviamente. La musica mi motiva quasi tutto il tempo. Come posso dirlo senza suonare in alcun modo orgoglioso di me stesso? Ovviamente ho sempre scritto canzoni che criticano il nostro governo, e che parlano dei nostri tempi. Se tutto va bene, tenti di creare qualcosa che sia senza tempo, mentre lo fai. La storia di Tomas mi ha permesso di scrivere la canzone che ho sempre pensato di scrivere. Penso che un’altra cosa a proposito di queste canzoni è che mi sono lasciato trasportare. Non ho detto, ‘Bene, deve suonare così’. Forse perchè non erano canzoni “da band”, non pensavo dovessero suonare come con la band. Ho solo suonato quello che sentivo e mi sono lasciato trasportare.

Come hai finito per frequentare Phil Donahue? Non è una relazione così ovvia.

Phil e io abbiamo fatto parte del gruppo di supporto a Ralph Nader nel 2000. E poi mi sono imbattuto in lui e mi ha detto, ”Ho bisogno che tu guardi questo film.” Dopodichè è stato tutto molto facile.

Ci sono state delle cose che prima non avevi capito e che questo film ha portato alla tua attenzione?

Hanno raccontato molte storie – e non abbastanza persone le hanno sentite— su quanto ci sia stato di criminale in questa guerra. C’è la violenza, di cui si parla come se nulla fosse. E la disinformazione — perché siamo là, possiamo permetterci di essere là, e dove vanno tutti questi soldi? C’è l’aspetto politico di questo, c’è l’aspetto economico, è tutto intrecciato. Ma questo è l’aspetto umano. Per me è di una violenza incredibile solo guardare quello che Tomas deve affrontare quotidianamente per sopravvivere. Svegliarsi e bere una tazza di caffè. Solo vivere ogni giorno, perché lui si è arruolato il 13 Settembre 2001, e lo ha fatto per combattere la guerra giusta in Afghanistan. Ed è finito in Iraq. Pensava di dover combattere contro i cattivi; poi non sapeva più. Si stava chiedendo perché si trovasse là, e poi è rimasto paralizzato quasi al suo arrivo. E ora deve affrontare questa incredibile sfida. E ti dirò, con molti amici ti capita sempre di dire, ”Bene, se riesci a suprarare questo, andrà meglio” o ”Ti aiuterò a fare andare tutto meglio. Ho questo tizio che se ne occupa, ti aiuteremo.” Per Tomas, non sta andando meglio. In realtà, sta solo andando peggio. Il film di Phil e Ellen è incredibilmente violento, pur non mostrando alcun sangue, o armi, o bombe. Solo quali sono i residui. Ed è più potente di qualsiasi cosa abbia mai visto. Solo una persona. Solo un soldato. Un ferito, e ora ne abbiamo più di 25.000, credo. E poi non ricevono un’assistenza adeguata. Quando è venuto a trovarmi a Seattle, la sedia a rotelle di Tomas non aveva i freni. Era un rottame che il governo gli aveva dato. Guardo i telegiornali che parlano di quanto questi siano grandi uomini e patrioti che combattono per la libertà, ma poi esce la vera storia del Walter Reid [ospedale militare americano che ha suscitato scandalo per le pessime condizioni nelle quali vengono mantenuti i feriti n.d.t.]. La verità è che non stanno dando loro niente, mentre ci sono miliardi e miliardi di dollari che mancano perchè sono finiti tutti nelle mani di facoltosi uomini d’affari che sono in qualche modo collegati con l’amministrazione. L’inettitudine è spaventosa.

Quindi… quali sono i tuoi piani per la stagione elettorale? Su cosa ti stai concentrando?

Um, voterò. [Ride] Mi piacerebbe che le persone fossero informate sulle macchine per il voto elettronico, per assicurasi che la nostra democrazia non sia sabotata dalla tecnologia dei computer. Non c’è ragione per cui non ci possa essere una traccia cartacea per queste macchine. Avevamo delle macchine della Diebold quando lavoravo al distributore di benzina nel 1989, così le grandi compagnie di camion potevano tenere traccia della benzina che usavano. Conosco molto bene queste macchine. E non c’è ragione per cui non possano avere una traccia cartacea. E poi c’è il proprietario di questa società che dice in pubblico che farà tutto quello che può per portare il voto ai Repubblicani — la gente ha bisogno di essere informata su questo.

Ci sarà un’iniziativa come il Vote for Change questa volta?

Forse suoneremo solo in Ohio. Per un mese. Ohio e Florida.

Nature Boys

Sean Penn e Eddie Vedder parlano di età, rabbia e del loro nuovo film. 

Time |By Lev Grossman

Sono entrambi ricchi e famosi, sono entrambi notoriamente convinti e di sinistra, entrambi hanno la reputazione di essere emotivamente tormentati. Quindi era quasi scritto nel destino che Sean Penn e il front man dei Pearl Jam diventassero amici; lo sono dal 1995, quando Vedder scrisse la musica per Dead Man Walking, di cui Penn era il protagonista. Entrambi stanno al momento provando delle seconde strade, Penn come regista e Vedder come compositore per film. I due hanno collaborato ora: Vedder ha scritto la colonna sonora per il film di Penn, Into the Wild, basato sul libro di Jon Krakauer. Alla fine del mese Vedder pubblicherà un CD di canzoni scritte per o ispirate al film, la cosa più vicina ad un album solista che abbia mai realizzato.

Into the Wild narra la vera storia di Chris McCandless, bravo ragazzo di una famiglia prospera ma infelice, che lasciò casa sua, bruciò i suoi soldi, cambiò il suo nome in Alexander Supertramp e nel 1992 se ne andò nella natura selvaggia dell’Alaska. Morì di fame là, 16 settimane dopo il suo arrivo. Che cosa stava cercando? Penn e Vedder— che sono molto più divertenti di quanto non venga loro riconosciuto — hanno parlato con TIME di questo e di altre profonde questioni, come mantenere un grosso orso grizzly felice sul set di un film.

TIME: Cosa ti ha fatto scegliere il libro di Krakauer?

PENN: La copertina mi ha catturato – il bus, l’immagine del bus con il titolo “Into the Wild” sopra. Ho preso molte decisioni nella mia vita che potresti considerare come giudicare un libro dalla sua copertina. E ne sono diventato un vero sostenitore. Così mi sono portato il libro a casa, l’ho letto dall’inizio alla fine per due volte, sono andato a dormire alle ore piccole e mi sono svegliato la mattina subito dopo, e ho visto nell’essenza il film che hai visto la notte scorsa.

Cosa ti ha colpito di quello che ha fatto McCandless?

PENN: Penso davvero che non dovremmo solo accettare le opportunità di riti di passaggio quando vengono, perché quello che scopriremo è che non vengono più nel nostro mondo. E non dovremmo guardare a queste come a un tipo di lusso o sogno romantico ma come a qualcosa di vitale per essere vivi. McCandless cita qualcun altro nel film: “Se solo una volta ti mettessi nelle circostanze più antiche…” Qui è dove entra la natura — e credo che Eddie e io condividiamo questa sensazione — che ogni persona sobria di mente di qualsiasi credenza sarebbe probabilmente d’accordo che la questione più grande è la qualità della vita. Devi sentire la tua stessa vita per avere una qualità di vita, e prevenire la nostra inautenticità, le nostre corruzioni. La natura selvaggia è inesorabilmente autentica.

Hai mai attraversato qualcosa del genere? Un rito di passaggio?

PENN: A livello formativo l’esperienza che ho avuto grazie a cui ho trovato l’inizio della mappa per capire come sentire la mia stessa vita, è venuta dal fare surf da ragazzo. La mia natura selvaggia è l’oceano, e la mia esperienza con il rischio e con il vincere la paura è stata l’oceano.

Trovarsi da soli in quel modo può aiutare le persone a trovare se stesse, ma può anche farle crollare.

VEDDER: Vedi, amo questo. Ne ho bisogno. Sono una persona migliore per via di questo. Voglio dire, mi sento davvero benedetto anche solo per aver auto l’opportunità di scomparire in un’isola senza vedere nessuno per settimane. Mi rende una persona con cui qualcuno può vivere. C’è un’altra cosa, quando si parla dell’ambiente e di quanto sia prezioso: ci rende persone migliori.

Come sei finito a fare colonne sonore, col fatto che sei una grande rock star e tutto il resto? È molto diverso rispetto a quando sei coi Pearl Jam?

VEDDER: Sì, è semplice. Davvero. Non mi ricordo quasi niente. E’ stato come andare in una specie di posto strano per una settimana o due, e poi mi sono svegliato da questo stordimento, ed era finito. Non me lo ricordo proprio.

Non sembra nemmeno lavorare.

VEDDER: Ci stavo pensando ieri. Non mi fido dell’arte che è stata creata con facilità. Se non c’è implicato qualche tipo di dolore, allora non mi fido. E ho pensato, ‘Bene, come posso essere onesto e dire alle persone che è stato facile?’ Ma quello che ho capito è che la parte difficile è stata 25 anni fa, quando sono passato per quello che questo ragazzo ha vissuto. Sono passato per il dolore, ma è stato molto tempo fa. E credo che quello che è un po’ preoccupante per me è quanto mi sia stato facile avvicinarmi. Sai? Dovevo solo metterci dentro il dito. Era proprio lì in superficie. Pensavo di essere cresciuto molto di più. Sono lieto che sia stato utile, ma ora devo metterlo di nuovo al sicuro.

Quindi come funziona? Sean, ti limiti ad andare da Eddie e a dirgli, “Qui c’è un pezzo con un tizio che fa autostop. Scrivi una canzone che suoni bene insieme”?

PENN: Beh, originariamente avevo scritto la sceneggiatura strutturandola per canzoni. Mi piace questo tipo di cosa nei film. Sono nato nel 1960, quindi puoi fare i conti e capire che stavo trovando la mia direzione con Harold e Maude e, prima di quello, Simon and Garfunkel e Il Laureato, e Tornando a Casa. Aggiunge qualcosa, permettendo al tuo cantautore di essere co-autore della sceneggiatura in molti modi.

VEDDER: Era come una fabbrica, dove me ne stavo seduto su una sedia e mi passavano gli strumenti. Andavamo avanti, e non dovevo insegnare la parte a nessuno o convincere altri di un’idea, una teoria, l’anima o qualsiasi cosa fosse il brano. Me ne stavo semplicemente seduto su una sedia e mi passavano uno basso fretless, mi passavano un mandolino, prendevano un secondo per fare il mix grezzo, e poi io scrivevo la parte vocale, ed era veloce. Non avrebbe potuto essere più istantaneo, e questo mi dava una grande sensazione di essere vivo. Ascoltavi due—o tre–pezzi alla fine della giornata e ti sentivi come se stessi realmente facendo qualcosa su questo pianeta mentre eri qui.

Alcune parti vocali erano senza parole, solo questi canti urlati…

VEDDER: Quella era tutta roba che non ho fatto per delle scene. In un certo senso—come la musica per la scena sulla cima della montagna—non penso che l’avrei fatta [se avessi visto la scena]. Mi sarei sentito troppo… vulnerabile e pretenzioso allo stesso tempo?

PENN: [Ride] Questo lascialo a me!

Emile Hirsch [che interpreta McCandless] attraversa una trasformazione fisica davvero scioccante per mostrare McCandless che muore di fame. Come avete fatto?

PENN: Si dà il caso che lui abbia una forza di volontà fenomenale. Un ragazzo di 21 anni, che ha appena raggiunto l’età legale per bere con gli amici al bar, e che per scelta è sobrio. Per scelta fa il monaco per otto mesi. Stava in una stanza a guardare i suoi piedi correre sotto di lui su un tapis roulant o a fare flessioni o a bere l’ennesimo bicchiere di acqua con limone come cena ogni sera per otto mesi. Sai. È davvero, davvero difficile.

Ha una scena con un orso in cui ansima in modo evidente.

PENN: Era un orso grizzly di 2 metri e mezzo e se non fosse stato un orso buono, non sarei qui ora. Ma neanche un battito di ciglio da Emile — se ne stava là, a 15 centimetri da quel coso.

Cosa fai quando l’orso non fa il bravo?

PENN: Gli dici, “Bravo ragazzo,” per tutto il giorno. O lo fa l”allenatore. E gli dà molta crema al cioccolato.

McCandless non viene rappresentato come un santo nel film. Voglio dire, non chiama i suoi genitori anche se si disperano per avere sue notizie. È arrabbiato.

PENN: Sai, questa cosa è soggetta a molti pareri personali da parte di ognuno — da parte tua, mia. La mia risposta a “Avrebbe dovuto chiamare i suoi genitori” è “Chi lo dice?”. Lo capisco, ma io cammino nelle mie scarpe, non nelle sue. Quello che so è che se non stai sentendo la tua vita, per prima cosa sei obbligato a fare qualsiasi cosa ci voglia per sentire la tua vita. Ho fatto molte cose senza intenzione di fare del male alle persone ma che hanno fatto loro del male. E dico questo sapendo che io stesso proprio ora ho due figli che stanno arrivando a quell’età.

Eddie, hai parlato prima di quanto tu abbia in comune con McCandless [Vedder ha una avuto una relazione notoriamente difficile con il patrigno, proprio come McCandless ce l’aveva con suo padre]. Collaborare al film ti ha aiutato a superare del tutto quel dolore?

VEDDER: Non abbastanza. Ma funzionerà, per ora. Non penso che se ne andrà. Penso che negli ultimi 10 o 15 anni sono solo stato in grado di non lasciare che quella persona e quella parte di me fossero al comando — il tizio è nella macchina, ma non lo lascio guidare. Questa è una cosa che mi ha detto Springsteen una volta, e funziona davvero. Ti parlerà nell’orecchio dal sedile posteriore, ma non lasciare che si metta al volante. E puoi essere orgoglioso di questo. Ho parlato con le persone che mi hanno cresciuto, e le ho ringraziate per avermi dato materiale per tutta la vita. L’anno scorso stavo parlando con Bono in Australia e abbiamo accennato qualcosa a proposito di storie familiari, e lui ha detto una cosa come, ‘Wow, ti hanno dato davvero roba buona di cui poter scrivere’. Era come se li volesse abbracciare e ringraziare.

PENN: Mia madre il mese scorso stava leggendo un articolo su di me, su Esquire, e mi ha chiamato, e ha detto [Penn imita la voce di sua madre]: “Beh, penso che fosse un articolo interessante, ma sai, c’è una cosa che non capisco, ogni volta che sono seduta con te, tu bevi una Diet Coke. Perché saresti un alcolizzato? Io sono l’alcolizzata!”  E’ stato come se le avessi rubato il mantello.

La cosa che non riesco a capire di Into the Wild è se è una storia felice o triste. McCandless prova così tanta gioia, ma alla fine muore…

PENN: Lascia che ti dica cosa penso. Mio zio Bill, che stava morendo — coi miei 13 cugini tutti insieme a mia zia Joan, con cui ha avuto un grande, felice matrimonio per tutti i loro anni insieme. Quindi lui è lì, sul suo letto di morte. E’ in coma da un paio di giorni e un prete è venuto a dargli l’estrema unzione. Questa è stata la prima volta, irlandesi come sono, che a mia zia è scesa una lacrima, credendo che il coma lo rendesse inconsapevole. Bene, a lui si aprono gli occhi, e la vede. Lui la afferra — lei non può farla franca. E le sue ultime parole sono “Perchè stai piangendo? Anche tu morirai.” Chris McCandless ha vissuto troppo poco, questo è vero, ma lui, per me, ha messo un’intera vita in quegli anni, dalla nascita fino all’età matura.

Traduzione ©www.pearljamonline.it 2007