La sesta puntata di Vinyl – forse la miglior finora, fatta eccezione per il pilot – è tutta incentrata sul viaggio lisergico e allucinato del nostro discografico preferito, Richie Finestra. Se alla fine del quinto episodio la droga, le luci e il calore del club l’avevano lasciato in preda ad uno stato semi-allucinatorio (“La luce bianca mi sta incasinando la testa” cantava Lou Reed), qui lo vediamo sprofondare sempre di più in una spirale discendente a base di coca e binge drinking.
Nelle puntate precedenti di Vinyl, Mr Finestra non appariva certo uno stinco di santo, ma in Cyclone sembra davvero oltrepassare ogni limite. Nel giro di appena due giorni e due notti – situazione che ricorda un po’ il Griffin Dunne di After Hours di scorsesiana memoria – gliene accadono davvero di ogni. Lo vediamo infatti buttarsi insieme al suo amico dei tempi della Factory, Ernst (interpretato da Carrington Vilmont), in un’avventura che lo porterà, tra le altre cose, a menare il povero Andy Warhol davanti all’iconico Max’s Kansas City, rubare un’auto, fare il party crasher al Bar Mitzvah della figlia di Zak e cercare di portarsi a letto la segretaria, il tutto ovviamente condito da alcol e droga in quantità. A coronamento di un episodio così convulso non poteva mancare un colpo di scena finale piuttosto sconvolgente – che qui non sveleremo, perché rivela alcune cose del passato che hanno reso complicato il rapporto tra Richie e Devon.
Mentre la sua collega ed ex amante Andrea Zito (interpretata da Annie Parisse) cerca di cambiare faccia all’American Century Records e i Nasty Bits paiono aver trovato, non senza problematiche, un nuovo chitarrista solista, scopriamo anche che fine ha fatto Devon. Rifugiata al Chelsea Hotel presso amici artisti che orbitano intorno al vate Andy Warhol, vediamo come la sua storyline, che pare non convincere nessuno a partire (forse) dagli sceneggiatori della serie, acquisti un suo perché grazie al nudo frontale di Olivia Wilde, che lascerà tutti a bocca aperta (situazione pubica molto 70’s, non c’è che dire).
L’episodio, un vero e proprio rollercoaster emozionale per il povero Richie – e non a caso il titolo è un omaggio alle montagne russe di Coney Island che possiamo ammirare nella suggestiva scena finale – merita di essere ricordato anche per l’apparizione di David Bowie, interpretato da un convincente Noah Beane. Di fatto è la prima volta che lo vediamo rappresentato, seppur in forma del tutto fictional, sul piccolo schermo dopo la sua morte avvenuta solo due mesi fa, e non si può fare a meno di provare un pizzico di nostalgia. Il Bowie di Vinyl è ovviamente quello di Ziggy Stardust, tutto glitter e chioma rossa, che vediamo intento a provare in soundcheck la storica Suffragette City e poi intrattenersi con Andrea e il socio di etichetta Zak (Ray Romano). Quest’ultimo dimostra di amare davvero la sua musica quando gli svela di preferire, rispetto a The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars, il suo album precedente, vale a dire il vero capolavoro dell’artista inglese, Hunky Dory. Il secondo omaggio a Bowie – a cui naturalmente è dedicata l’intera puntata – è una cover di Life on Mars? dell’artista R&B Trey Songz, suonata da un giovane pianista di talento che sorprende ed emoziona Zak alla fine del party della figlia. Commovente.
Oh man, wonder if he’ll ever know
He’s in the best selling show
Is there life on Mars?
LOCATION DELLA PUNTATA
CONEY ISLAND L’episodio prende il titolo dalla famosa giostra sotto cui Richie si ritrova nella scena finale. Nella penisola di Coney, situata nella zona sud del borough di Brooklyn, è sorto nel 1895 il primo parco divertimenti chiamato Luna. La leggenda narra che il termine universalmente noto per designare i parchi divertimento (Luna Park, per l’appunto) derivi proprio dal celebre parco newyorkese. La zona originariamente ospitava altri due grandi parchi, chiamati Dreamland e Steeplechase Park, e a Coney Island si deve la nascita dello street food newyorkese per eccellenza, l’hot-dog (dal leggendario Nathan’s, citato più volte durante l’episodio). Nonostante la grande depressione degli anni Trenta e varie vicissitudini che negli anni portarono ad un generale declino dell’area, il Luna Park resiste ancora: non si tratta di un parco tematico, ma di un park situato vicino al mare nel classico stile anglosassone (Luna Park Pier, cioè sul molo). Due le giostre che lo hanno reso celebre: Cyclone, la montagna russa in legno più antica del mondo costruita nel 1927, e la ruota panoramica Wonder Wheel, inaugurata nel 1920. Entrambe sono ancora funzionanti e sono state inserite nel registro nazionale dei luoghi storici. Innumerevoli le canzoni che hanno celebrato Coney Island (Lou Reed, Ramones, Aerosmith, Tom Waits, solo per citarne alcuni) e tantissimi anche i film, tra cui ricordiamo The Warriors (I Guerrieri della notte del 1979), Annie Hall (Io e Annie con Woody Allen e Diane Keaton), The Wiz (con Michael Jackson), Remo Williams (Il mio nome è Remo Williams), Angel Heart (con Robert De Niro) e He’s got Game (di Spike Lee con Denzel Washington).
CHELSEA HOTEL Nell’episodio scopriamo che, dopo il litigio con Richie, Devon è rimasta al Chelsea Hotel insieme a Ingrid, la sua vecchia amica dei tempi della Factory che ora vive con un’artista underground per cui Devon si presta anche a fare da musa. Vera istituzione della vita artistica e culturale newyorkese, nelle stanze di questo albergo al 222 della 23esima strada West sono passati Andy Warhol con Edie Sedwick e le altre superstar della Factory (qui fu ambientato il film Chelsea Girls), musicisti come Bob Dylan, Janis Joplin, Leonard Cohen – che ci visse molti anni e che ha avuto l’onore di essere ricordato con una targa all’ingresso del palazzo di mattoni rossi – passando per Edith Piaf, Dee Dee Ramone e, ovviamente, Sid Vicious, protagonista di uno dei più tragici eventi per cui il Chelsea viene ricordato, l’uccisione a coltellate della compagna Nancy Spungen (omicidio mai confessato dal bassista dei Pistols, che morì pochi mesi dopo per overdose).
Patti Smith, che per un periodo visse lì con l’artista Robert Mapplethorpe, scrive in Just Kids: “Era un disperato, vibrante rifugio per mendicanti con la chitarra, poeti, drogati, drammaturghi, registi spiantati e attori francesi. Chiunque passava da lì era qualcuno e nessuno nel mondo là fuori”. Innumerevoli anche gli scrittori che vi hanno soggiornato, da Kerouac a Ginsberg, da Burroughs a Corso a Arthur C. Clarke – che qui scrisse 2001 Odissea nello spazio di Kubrick – ad Arthur Miller; andando indietro nel tempo troviamo, fra gli altri, Thomas Wolfe, Edgar Lee Master e Dylan Thomas, il grande poeta gallese che il 9 novembre 1953 morì di polmonite (ufficialmente), alcolizzato (realmente), nella stanza 205 del Chelsea, contribuendo più di ogni altro al mito dell’hotel maledetto. L’edificio, aperto nel 1884, era uno dei più imponenti di Manhattan e a volerlo fu Philip Hubert, architetto di origini francesi, che da giovane aveva vissuto un’esperienza bohemienne nelle periferie parigine, e che quindi si sentiva idealmente vicino ai tanti diseredati che popolavano le strade di Lower Manhattan. Nato come residence, più tardi fu trasformato in un vero e proprio hotel, con varie gestioni che mantennero il mix sociale per il quale il luogo era stato originariamente concepito. Col tempo oltre agli artisti arrivarono anche le droghe e i punk dal CBGB. Ora quel Chelsea non esiste più, ha chiuso nel 2011. È stato venduto per 80 milioni di dollari e sono in corso lavori per trasformarlo in un residence di lusso. Del suo fascino decadente e maledetto resta solo il ricordo.

Nata nel 1980, entra nel team di pearljamonline.it nel 2007, curando in particolare la versione in inglese e la sezione testi e traduzioni. Coautrice di “Pearl Jam Evolution”, sempre alla ricerca di notizie e curiosità sulla band.
Canzone preferita: Given To Fly
Album preferito: Vitalogy
Artisti o gruppi preferiti oltre i PJ: Bruce Springsteen, U2, Mark Lanegan, Cat Power, Ramones