C’è una storiella che si tramanda di generazione in generazione, secondo cui un musicista riesce a comporre la sua musica migliore quando è depresso… oppure drogato, fatto fino al midollo. Succede dai tempi dei Beatles e degli Stones, passando per Lou Reed e Iggy Pop fino ad arrivare, in anni più recenti, a gente come Mark Lanegan e Queens of the Stone Age.
Dopo la pausa pseudo New Age che si era preso nell’episodio precedente, anche Richie Finestra ritrova la sua “ispirazione” grazie a un massiccio e costante uso di cocaina. Dopo un ultimo prestito bancario negato – richiesto insieme ai soci per cercare di salvare l’American Century Records dal definitivo collasso – decide di dare una taglio netto al Richie “clean and sober” per tornare a essere il noto junkie con gli occhi perennemente lucidi e lo sguardo torvo che avevamo (quasi) iniziato ad amare. Finestra prova ad affrontare ogni problema che gli si para davanti a suon di sniffate; prima per cercare di placare l’ira di un PR licenziato dalla sua nuova socia (Andy Zito), poi per tenere testa al cattivissimo mafioso Galasso a cui si rivolge per un prestito, e che gli chiede anche di cantare una canzone di una band del suo roster. Purtroppo la coca non potrà aiutarlo molto quando i due detective che stanno indagando sull’omicidio di Buck Rogers lo porteranno in centrale e lo inchioderanno finalmente alle sue responsabilità.
Arrivati quasi alla conclusione della prima stagione di Vinyl, vediamo come i personaggi di questa serie TV voluta da Mick Jagger e Scorsese paiano tutti alla ricerca di qualcosa. Se il futuro dell’American Century non sembra di certo roseo, c’è chi come Zak (Ray Romano) e Scott (P.J. Byrne) spera di aver trovato nel talentuoso singer Gary Giombetta/Xavier un novello David Bowie, e chi come Clark (Jack Quaid) s’imbuca con la complicità del collega Jorge a un dance party e scopre il mondo nascosto del Latin soul di cui ignorava l’esistenza. Che abbiano finalmente scovato quei nuovi artisti e quelle nuove sonorità che Richie Finestra chiedeva con tanta insistenza a inizio stagione?
Anche i Nasty Bits stanno ancora cercando di trovare qualcosa: il loro sound. Peccato che l’ispirazione paia latitare, e che la musica che provano in studio andrebbe forse bene per una band AOR anni settanta, ma di certo non per un band proto-punk. I ragazzi riescono a tornare in carreggiata solo grazie a Lester Grimes, il loro improbabile manager, in una delle scene più riuscite dell’intera puntata. Da incorniciare la lezione di musica del bluesman, tanto semplice quanto efficace: non è certo un mistero che da un’elementare progressione di tre accordi (in questo caso E – A – B), suonati con un vibe più blues oppure più rock, può nascere una grande canzone. I famigerati “tre-accordi-in-croce” che anche un principiante è in grado di suonare e che hanno fatto la fortuna di tante band punk (una su tutte, i Ramones). D’altronde, per innovare davvero bisogna avere solide fondamenta, no?
La scena più da “turisti della storia del rock” è senz’altro quella ambientata al mitico Max’s Kansas City, dove si esibisce uno sconosciuto (all’epoca) Bob Marley con i suoi The Wailers. Nel nightclub possiamo avvistare anche un altrettanto celebre sconosciuto, Bruce Springsteen (anche se appare per circa tre secondi, il futuro Boss aprì davvero una stringa concerti per Bob Marley al Max’s Kansas City nel lontano 1973), e addirittura John Lennon, che si fa fotografare insieme alla sua amante dell’epoca, May Pang, da Ingrid e Devon (che qui riscopre il suo amore per la fotografia… e per i fotografi). Marley, Springsteen e Lennon, tutti insieme nello stesso locale? In questo Vinyl non è solo fiction, perché nei club della Grande Mela durante i 70’s, questa era solo una serata come un’altra.
Vinyl continua in questo strano bilico tra realtà e finzione, tra band che non sono mai esistite accanto ad autentiche leggende della musica, tra una striscia di coca, un tributo a Good Fellas e quella voglia di Finestra di continuare a credere nella musica e nella sua etichetta, mai come ora sull’orlo del fallimento. Nelle prossime due puntate scopriremo il futuro di questo circo di personaggi ai quali, episodio dopo episodio, ormai ci siamo affezionati e che ci stanno facendo rivivere il sordido scenario (musicale, ma non solo) della New York dei primi anni settanta.
LOCATION DELLA PUNTATA
MAX’S KANSAS CITY Uno dei più importanti punti di ritrovo delle vita notturna di New York. Prima del Max ci furono altri nightclub a Manhattan capaci di calamitare musicisti e artisti, ma nessuno che abbia coccolato la sua celebre clientela tanto quanto questo piccolo locale al 213 di Park Avenue South, fornendo materiale in abbondanza per la pop art di Andy Warhol e per i più grandi pionieri della musica underground. Furono le notti al Max a generare la cultura dello Studio 54. Max in realtà si chiamava Mickey ed era un avvocato che aveva aperto una serie di bar nei primi anni ’60, coltivando rapporti con artisti e scrittori che si esibivano per far conoscere il loro talento nel Greenwich Village. Visto il successo con i bar, Mickey decise di buttarsi nel settore della ristorazione. Rilevò un ristorante Southern in fallimento vicino a Union Square e il 6 dicembre del 1965 aprì il Max’s Kansas City, che divenne presto noto più per la sua clientela che per il suo menu. Tutti gli scrittori e gli artisti amici di Mickey migrarono al Max, poi arrivò Warhol con tutto il suo seguito di geni, modelle e sbandati. Andy divenne subito un habitué, e grazie a lui per il locale giunse la notorietà. I più grandi nomi erano generalmente accampati nel privè del Max. David Bowie: “Ho incontrato Iggy Pop al Max’s Kansas City nel 1970 o 1971. Io, Iggy e Lou Reed ce ne stavamo ad un tavolo senza niente da dirci, solo a guardarci a vicenda il trucco“. Al Max si potevano incontrare William Burroughs intento a fumare in un angolo con Allen Ginsberg, oppure Twiggy, Mick Jagger o Dennis Hopper – mentre al piano di sopra si esibivano artisti come i Velvet Underground, oppure poteva capitare di imbattersi in un giovane Bruce Springsteen che apriva per Bob Marley (come vediamo in questo episodio). Nel salone principale si riunivano altri artisti e scrittori meno noti, molti dei quali erano troppo in bolletta per pagarsi i pasti e, occasionalmente, saldavano il conto con opere d’arte originali. Il Max resistette solo pochi anni prima di chiudere i battenti nel dicembre 1974. Ma la sua storia non era finita. Il nome e la location furono rilevati dall’impresario Tommy Dean Mills, che lo rilanciò come club punk, dove si esibirono Blondie e i Ramones, i New York Dolls e nomi all’epoca sconosciuti come i B-52s, i Devo e Madonna. Memorabili gli show post-Sex Pistols di Sid Vicious; tre mesi prima della sua morte, Sid aggredì il fratello di Patti Smith all’interno del club e finì in prigione. Il Max chiuse definitivamente nel 1981. Nonostante alcuni tentativi successivi di riaprirlo, ormai la sua epoca era finita.

Nata nel 1980, entra nel team di pearljamonline.it nel 2007, curando in particolare la versione in inglese e la sezione testi e traduzioni. Coautrice di “Pearl Jam Evolution”, sempre alla ricerca di notizie e curiosità sulla band.
Canzone preferita: Given To Fly
Album preferito: Vitalogy
Artisti o gruppi preferiti oltre i PJ: Bruce Springsteen, U2, Mark Lanegan, Cat Power, Ramones