“Attraverso l’oscurità di un futuro passato, il mago desidera vedere”
Il 3 settembre è andata in onda su Showtime l’ultima, doppia, attesissima parte della terza stagione di Twin Peaks, che probabilmente sarà anche l’ultimo episodio di sempre di questa a dir poco leggendaria serie televisiva. Alla luce di questo, cos’altro avrebbe potuto fare quel genio di David Lynch se non resettare tutto, azzerando il passato, il presente e pure il futuro della sua stessa creatura? Forse era questa l’unica possibilità e, in ultima analisi, non avrebbe potuto fare di meglio. Davvero qualcuno pensava che DL avrebbe ripreso in mano una delle sue opere più conosciute, lui che non ha mai fatto sequel, lui che non è mai stato un regista per la massa, creando una serie televisiva per nostalgici? Davvero qualcuno pensava che avrebbe riposto a tutte le domande rimaste irrisolte? La risposta è l’unica possibile: no. Nel corso di questo film diviso in diciotto parti che ci ha fatto compagnia per tutta l’estate, David Lynch è tornato nuovamente a scardinare tutto, alzando ancora una volta l’asticella qualitativa e ridefinendo gli standard della serialità tout court. Con le prime due stagioni, andate rispettivamente in onda nel 1990 e nel 1991, aveva creato un punto di non ritorno tra quanto era stato fatto fino a quel momento sul piccolo schermo e quanto invece si sarebbe potuto fare. Nei successivi ventisei anni, il mondo delle serie TV si è evoluto, offrendo serie sempre più coinvolgenti, con attori di grido e registi di punta.
Ricordate l’ingarbugliato finale di Lost che non mise d’accordo praticamente nessuno? Oppure la criptica conclusione dei Soprano? Quei finali di stagione, che all’epoca fecero discutere parecchio, impallidiscono se messi a confronto con la conclusione di Twin Peaks. Perché nel mondo delle serie TV c’è Twin Peaks, poi c’è tutto il resto. Ma andiamo con ordine.
La diciassettesima parte inizia con una clamorosa rivelazione. Gordon Cole informa i colleghi Albert e Tammy sulla reale identità di Judy, un’entità malvagia originariamente chiamata Jowday indagata tanti anni prima dallo stesso Cole e dal Maggiore Briggs. A seguire vediamo l’arrivo del villain della stagione a Twin Peaks: Bad Cooper, entrando dalla Loggia Nera, viene catapultato (complice un inganno ordito da The Fireman e dal Maggiore Briggs) proprio davanti alla stazione di polizia della cittadina. È accolto da Andy e da Lucy che, felici ma perplessi, lo accompagnano dallo Sceriffo Truman. Andy offre a Cooper una tazza di caffè, che lui rifiuta (!), poi lo Sceriffo riceve una telefonata dal vero Dale Cooper che lo informa di essere quasi giunto a Twin Peaks. Alla resa dei conti, è inaspettatamente Lucy a risolvere la situazione sparando a Bad Cooper. Contemporaneamente Dale, accompagnato dai fratelli Mitchum, entra a Twin Peaks. Per un brevissimo istante si vede l’iconico cartello di benvenuto, mentre la macchina sfreccia a tutta velocità. È un’immagine che colpisce, soprattutto se confrontata con quella della serie originale. Lì l’agente speciale guidava tranquillamente, soffermando lo sguardo sulla natura e registrando messaggi audio per Diane mentre la cinepresa indugiava sul celebre cartello, trasformando quella scena in una delle più amate dai fan. Ora tutto è cambiato, il cartello si vede solo per qualche istante, come se per DL non fosse tanto importante soffermarcisi. Dale sta per tornare a Twin Peaks, ma nulla sarà più come prima.
Ormai tutti i personaggi chiave sono sul posto e siamo al momento dello showdown, che in un certo senso è anche una specie di reunion tra alcuni protagonisti storici della serie: nell’ufficio dello Sceriffo Truman ci sono Hawk, Andy e Lucy, poi arriva il buon Dale con i fratelli Mitchum, e infine Gordon Cole con Albert e Tammy. Bad Cooper è a terra ferito, e in men che non si dica arrivano tre woodsmen, che con i loro rituali diabolici e sanguinosi estraggono dalle budella di Bad Cooper la sfera che contiene il concentrato del male, BOB. In una scena tanto comica quanto surreale assistiamo allo scontro finale tra BOB e Freddie, il ragazzo con il guanto verde dai super poteri, che può ricordare certi duelli tra i supereroi della Marvel che imperversano da fin troppo tempo sul grande schermo. BOB viene sconfitto, Naido svela la sua vera identità – è Diane! – e bacia appassionatamente l’agente Cooper. Incredibile, sembra di essere di fronte a un vero e proprio happy ending. L’immagine del volto di Cooper in bianco e nero sovraimpressa sullo schermo però ci ricorda che nel regno di Lynch nulla è come sembra.
“Noi viviamo in un sogno”
Da questo momento assistiamo alla parte migliore non solo di questa stagione di Twin Peaks ma dell’intera serie TV, già fonte di accesi dibattiti sul web. C’è chi dice che avrebbe preferito che Twin Peaks si chiudesse con le scene sopra raccontate (sarebbe stato fin troppo scontato), c’è chi si dice deluso per i tanti subplot rimasti in sospeso (uno su tutti, quello legato al destino di Audrey Horne), c’è chi semplicemente non vuole capire o si rifiuta di farlo. C’è chi s’ingegna e teorizza scenari affascinanti e c’è addirittura chi si dice sicuro che una quarta stagione sia già in cantiere, nonostante il boss di Showtime abbia dichiarato più volte che, al momento, non c’è stata alcuna discussione a riguardo. Per come la vediamo noi, una nuova stagione sarebbe superflua, perché questa si chiude in modo tanto spiazzante quanto perfetto.
Accompagnato da Diane e da Gordon, Dale si reca nei sotterranei del Great Northern Hotel, si congeda da loro e, usando la chiave della sua stanza numero 315, entra nella porta che segna un punto di non ritorno tanto per l’Agente Speciale quanto per tutta la serie. Accompagnato al motel sopra il convenience store da MIKE, Dale incontra per l’ultima volta Philip Jeffries. Cooper comunica a Jeffries una data – il 23 febbraio 1989, il giorno della morte di Laura Palmer – e quest’ultimo emette un segnale di fumo con il simbolo della caverna del gufo che si trasforma in un otto, un numero che notoriamente si può anche leggere come simbolo dell’infinito, e cos’è l’infinito se non un continuo e incessante loop? “Qui è dove troverai Judy. Adesso puoi entrare”, comunica Jeffries a Dale, poi aggiunge: “Cooper, ricorda”, e MIKE dice: “L’elettricità!”. Cooper chiude gli occhi e all’improvviso si trova davanti alla casa della famiglia Palmer nel 1989. In un twist inaspettato, Lynch annulla tutto quello che i fan di Twin Peaks hanno amato per oltre venticinque anni: cancella la morte di Laura Palmer grazie a un viaggio nel tempo che permette a Cooper di intervenire sul passato e prevenire l’uccisione della ragazza.
In un livido bianco e nero rivediamo alcune scene tratte da Fire Walk With Me, con Laura che litiga con James e urla quando vede qualcosa nel bosco (solo ora scopriamo che si trattava Cooper, dopo che per anni abbiamo creduto si trattasse di BOB), poi scappa e viene intercettata da Dale. Da questo momento la storia cambia il suo corso. Dale la prende per mano, lei ricorda di averlo sognato, parte la classica “Laura Palmer’s Theme” di Angelo Badalamenti e scende una lacrima, anche più di una. Laura chiede: “Dove stiamo andando?” e Dale risponde: “Andiamo a casa”. Vediamo alcune immagini, rielaborate, tratte dalla celebre scena di apertura del pilot della prima stagione, solo che quando Pete (Jack Nance, a cui è dedicato l’episodio) esce di casa per andare a pescare, il suo sguardo non si sofferma più sul cadavere di Laura avvolto nella plastica, perché il cadavere non c’è più. La scena stacca all’improvviso sul salotto di casa Palmer nel tempo presente, dove sentiamo Sarah Palmer emettere delle grida strazianti, poi la vediamo entrare in scena di spalle e afferrare la cornice con l’iconica foto di sua figlia, scagliarla a terra e colpirla con una bottiglia rotta con tutta la violenza che solo un’anima sconvolta da anni di sofferenze può avere, senza però riuscire a scalfirla. Non si può cancellare il passato, per quanto doloroso esso sia. Di colpo siamo di nuovo nel 1989, tra i boschi di Twin Peaks, Dale è ancora mano nella mano con Laura, si sente un crepitio elettrico, Dale si volta e Laura è scomparsa, mentre il suo urlo agghiacciante riecheggia tra gli alberi. La parte diciassette si chiude sulle note di “The World Spins”, scritta da DL e interpretata da Julee Cruise al Roadhouse.
“E’ questa la storia di quella ragazzina che viveva in fondo alla strada?”
Dopo aver visto Bad Cooper avvolto dalle fiamme nella Loggia Nera e un nuovo Dougie creato da MIKE che torna a casa e viene calorosamente accolto da sua moglie (Naomi Watts) e da suo figlio, questa è la domanda che l’evoluzione del braccio fa a Dale, a cui la Laura Palmer della Loggia sussurra qualcosa all’orecchio. Dale rivede anche Leland (“Trova Laura”, gli dice, come nel primo episodio, come se fossero dentro a un loop) ed esce dalla Loggia, dove tra i sicomori incontra la vera Diane. I due vecchi partner si ritrovano e si mettono in viaggio insieme. Da questo momento l’episodio si trasforma in un vero e proprio road movie, un viaggio tra il reale e il sogno che ha molti elementi in comune con tre film di Lynch, Strade Perdute, Una Storia Vera e Mulholland Drive. Arrivati a 430 miglia, Dale e Diane fermano l’auto e attraverso l’elettricità – un po’ alla Ritorno al Futuro, un po’ alla Donnie Darko – compiono un salto nel tempo e nello spazio. “Una volta attraversato,” dice Cooper, “potrebbe cambiare tutto”, ed è quello che effettivamente succede. I due si ritrovano a guidare di notte lungo una strada deserta, poi si fermano in una camera di motel dove fanno l’amore sulle note di una vecchia canzone dei Platters, un brano d’amore che contrasta fortemente con le immagini che vediamo. La scena infatti è a dir poco inquietante, Diane sembra quasi disperata e copre il volto a Cooper con le mani, come se non lo volesse vedere o come se non fosse sicura che si tratti della stessa persona. Lo stesso Dale non sembra più essere l’affabile agente che abbiamo visto risvegliarsi nella sedicesima parte. La mattina dopo, al suo risveglio Cooper trova sul comodino una lettera d’addio indirizzata a Richard e firmata Linda. “430. Richard e Linda. Due piccioni con una fava,” diceva The Fireman a Dale nel primo episodio.
Cooper prende l’auto, che è diversa da quella che guidava la notte prima, così come appare diverso il motel, e arriva a Odessa, in Texas, dove entra in un diner chiamato – colpo di scena – Judy’s. Chiede informazioni su una cameriera e con assoluta freddezza mette al tappeto tre redneck che stanno importunando la cameriera in servizio. “Che cazzo è appena successo?” dice uno dei tre riassumendo, di fatto, la sensazione che prova lo spettatore in quel preciso istante. Questo nuovo Dale, che sembra conservare alcune delle caratteristiche di Bad Cooper, si reca a casa della cameriera che non era in servizio. “Laura!”, esclama di fronte alla ragazza che apre la porta, che è Laura Palmer (almeno così appare ai nostri occhi), ma che dice di chiamarsi Carrie Page. Ha un cadavere in casa, è da tre giorni che non si presenta al lavoro, è più che ovvio che abbia una vita a dir poco incasinata. Carrie non sembra ricordare nulla né di una cittadina chiamata Twin Peaks né dei suoi genitori, ma Dale la convince a seguirlo in un viaggio attraverso gli Stati Uniti che dura una notte (o forse di più) alla volta di Twin Peaks. I due parlano poco, si fermano un paio di volte, si vedono pompe di benzina, semafori, strisce stradali, poi arrivano finalmente nel posto dove tutto è nato.
“Questo è il presente o è il futuro?”
Carrie Page pare non riconoscere nessun luogo (come il Double R, dove passano davanti in auto). Arrivano alla casa della famiglia Palmer, suonano il campanello e alla porta si presenta una bionda mai vista. Dale le chiede se lì vive Sarah Palmer. La risposta della donna (interpretata curiosamente dalla reale proprietaria della casa) è negativa. Dice di chiamarsi Alice Tremond e comunica all’agente di aver comprato quella casa dalla famiglia Chalfont. Dale e Laura se ne vanno. Tornati alla macchina, si girano di nuovo verso la casa. Il minuto che segue vale intere filmografie di blasonati registi. Cooper, evidentemente perso, chiede a Laura: “In che anno siamo?”. Laura sente una voce distorta che proviene della fu Casa Palmer. “Laura!”. È la voce di sua madre, Sarah, la stessa voce che sentivamo chiamare la figlia poco prima di scoprire che era stata trovata morta. Laura spalanca gli occhi, emette un lungo e devastante grido di terrore, poi le luci della casa si spengono in una scarica di elettricità. Una decina di secondi di schermo nero, poi partono i titoli di coda. Il fermo immagine è di Laura che sussurra qualcosa all’orecchio di Cooper nella Loggia Nera. Twin Peaks è finito, finito per sempre.
“Non esiste che una possibilità tra questo mondo e l’altro, fuoco cammina con me”
I segreti di Twin Peaks, dopo la conclusione/cancellazione della seconda stagione, continuarono a imperversare per anni tra i fan. Ognuno con la sua teoria, ognuno con la sua spiegazione. Dopo la conclusione della terza stagione, non solo non si è trovata risposta a tante delle domande lasciate in sospeso nelle due stagioni storiche, ma nemmeno a molte di quelle nate in questo revival.
Come si diceva prima, l’unica cosa che poteva fare Lynch per chiudere al meglio l’epopea di Twin Peaks era distruggere l’universo stesso che aveva contribuito a creare tanti anni fa con Mark Frost. Cosa ci avrà voluto dire DL con l’ultima parte? Cooper voleva salvare Laura Palmer a tutti i costi, si è servito del tempo e dello spazio per raggiungere il momento prima del suo omicidio, annullando la maledizione che la sua morte aveva portato nella piccola cittadina di montagna. Noi sappiamo però che il male, a Twin Peaks, c’è sempre stato, che ha preso forza e si è alimentato col fuoco fin dai tempi del Trinity test nel 1945 (vedi l’ormai leggendaria parte otto), ben prima dell’omicidio di Laura. Il simbolismo legato al fuoco è da sempre uno dei motivi ricorrenti in Twin Peaks. Nella parte 11 Hawk diceva chiaramente che il fuoco è come l’elettricità (motivo ricorrente di questa terza stagione), la cui natura buona o cattiva dipendono da chi lo controlla.
Impossibile non notare che l’attuale residente di quella che ricordavamo essere la casa della famiglia Palmer dice di chiamarsi Tremond. Ricorderete senz’altro l’alone di mistero che circondava la vecchia Signora Tremond e il suo strano nipote (interpretato dal figlio di DL) che tra le mani aveva sempre la Garmonbozia, e che si erano visti in “Fire Walk With Me” insieme a BOB e compagnia bella nel convenience store. Non si può non pensare al male che ha da sempre aleggiato su Twin Peaks. Si è a lungo teorizzato circa la forza di Laura Palmer nel fronteggiare il male, e a conti fatti lei è stata l’unica della sua famiglia a non farsi totalmente possedere dagli spirti oscuri della Loggia Nera. Possibile che Cooper abbia voluto viaggiare nel tempo per far sconfiggere il male portando Carrie Page (Laura) a fronteggiare personalmente il male più assoluto incarnato nel corpo di sua madre? Perché dopo la maledizione di Leland delle prime due stagioni, qui pare proprio che sia Sarah a incarnare il male, ospitando forse dentro di sé the Experiment/Mother/Judy, l’entità malvagia di cui parlava Gordon all’inizio del diciassettesimo episodio.
Potrebbe essere, come potrebbe anche essere, in un twist alla Mulholland Drive, che Laura Palmer – nell’arco di una sola notte, che per noi però è durata ben ventisette anni – abbia avuto un lungo incubo e che si sia trattato, a conti fatti, solo di un sogno. Così come potrebbe anche essere che non sia mai esistito alcun Agente Speciale Dale Cooper, ma solo un semplice Richard, un signore taciturno (come Bad Cooper) ma dai modi garbati (il buon Cooper) che ha immaginato una sua possibile vita nei panni di un’agente dell’FBI. Oppure, ancora, potrebbe essere che tutto quello che abbiamo visto sia successo, che Cooper abbia cercato effettivamente di salvare la Palmer ingarbugliando troppo le linee temporali e arrivando troppo tardi a comprendere che la ragazza era destinata, anche in realtà alternative, a una vita comunque piena di problemi. Che Lynch abbia voluto far compiere questo viaggio a Cooper per arrivare a un punto di non ritorno in cui la città di Twin Peaks non è mai nemmeno esistita? E se Cooper e la Palmer, nelle ultime immagini, fossero riusciti a uscire dalla serie TV per arrivare davvero nel nostro mondo? Quello che è sicuro è che alla fine della terza stagione di Twin Peaks le domande non sono diminuite ma, paradossalmente, sono aumentate. Ben fatto, David Lynch.
“Siamo come il sognatore che sogna e vive dentro al sogno: ma chi è il sognatore?”
Avevamo già cercato di rispondere a questo quesito in uno dei nostri precedenti articoli, e ora lo ribadiamo. Il sognatore è ogni spettatore di questa serie tv, che cerca risposte dove forse non ce ne sono, che cerca indizi disseminati qua e là, che cerca di venire a capo dei segreti di Twin Peaks. Lo spettatore con i suoi quesiti irrisolti è diventato, con questo nuovo capolavoro di David Lynch, il vero protagonista di questo film diviso in diciotto parti.
E come diceva proprio quel cartello, “Welcome to Twin Peaks”.

Nata nel 1980, entra nel team di pearljamonline.it nel 2007, curando in particolare la versione in inglese e la sezione testi e traduzioni. Coautrice di “Pearl Jam Evolution”, sempre alla ricerca di notizie e curiosità sulla band.
Canzone preferita: Given To Fly
Album preferito: Vitalogy
Artisti o gruppi preferiti oltre i PJ: Bruce Springsteen, U2, Mark Lanegan, Cat Power, Ramones