Twin Peaks: La recensione delle parti cinque e sei

David Lynch aveva proprio ragione quando, in occasione delle interviste promozionali per il lancio della terza stagione di Twin Peaks, ne parlava come di un’opera da vedersi come un unico film. Di diciotto ore, ma pur sempre un film. Cosa che risulta ancora più evidente dopo la messa in onda della quinta e della sesta parte.

Il limite più grande del nuovo Twin Peaks ¬– che potrebbe anche diventare la sua più grande qualità, una volta che l’opera sarà comprensibile nella sua interezza – è proprio di essere un serie TV e allo stesso tempo non esserlo affatto, rivelandosi invece un vero e proprio film che è stato diviso in diciotto parti per esigenze televisive. In linea con questa scelta è da intendersi la mancanza di un recap a inizio episodio, tipico invece di ogni prodotto televisivo, compreso il vecchio Twin Peaks. Per quanto funzionale al format pensato dai suoi creatori, una simile frammentazione può essere frustrante per lo spettatore medio, che rischia di perdersi tra le tante sottotrame che s’intrecciano andando a creare una fitta tela di piccole storie difficili da seguire settimana dopo settimana. Il risultato è che tutto scorre molto più lentamente rispetto agli standard televisivi ai quali siamo ormai abituati. A quest’operazione avrebbe forse giovato che la serie fosse stata distribuita integralmente da subito, come per intenderci ci ha abituato negli ultimi anni Netflix.

E dire che la storyline principale, arrivati ormai a un terzo della nuova stagione (sei parti sulle diciotto totali), non pare delle più complicate, al netto dell’elemento sovrannaturale. L’agente Cooper (interpretato da un sempre più bravo Kyle MacLachlan), dopo essere rimasto intrappolato nella Loggia nera per più di venticinque anni, ritorna nel mondo reale – ma non a Twin Peaks, almeno per il momento – complice un inganno orchestrato da un artefice misterioso. Cooper torna sì nel mondo reale, ma totalmente inebetito e nei panni del doppelgänger Dougie Jones, personaggio bislacco sposato con una donna dai modi piuttosto energici (l’ottima Naomi Watts) e tallonato da gente con cui è indebitato. Nel frattempo, il Cooper “cattivo” – quello che per intenderci si vedeva nell’ultimo episodio della seconda stagione – dopo aver girato indisturbato a far danni per oltre due decadi, viene ritrovato e interrogato dai suoi colleghi dell’FBI Albert Rosenfield e Gordon Cole (interpretati rispettivamente dal compianto Miguel Ferrer e da David Lynch), che nutrono legittimi dubbi circa la sua reale identità.

Nel frattempo, a Twin Peaks c’è Hawk, che insieme ad alcuni personaggi storici come Lucy e Andy sta indagando su “qualcosa che manca” in relazione al vecchio caso di Laura Palmer. Oltre alla trama base, ci sono varie sottotrame che stanno pian piano prendendo forma. Restando a Twin Peaks, abbiamo una giovane coppia che ricorda tanto Laura Palmer e Bobby Briggs, poi un ragazzo a dir poco problematico di nome Richard Horne (figlio di Audrey?) che pare l’incarnazione stessa della ferocia umana, e che nella sesta parte è protagonista di una delle scene più crude mai viste in una serie televisiva (girata con maestria da Lynch, non c’è che dire, ma quasi impossibile da sostenere). Tutte storie che al momento risultano ancora difficili da connettere tra di loro, e ancor più di difficili da collegare alle altre trame che si stanno sviluppando in parallelo tra Las Vegas e il South Dakota, ma che dovrebbero diventare più chiare nelle prossime settimane. Tanta carne al fuoco, insomma.

Poi, ovviamente, ci sono tutta una serie di rimandi, situazioni, ambientazioni che sembrano fatti apposta per mandare in visibilio i fan di David Lynch. È sufficiente l’apparizione di un gufo, di una torta di ciliegie, di una tazza di caffè, di un semaforo mosso dal vento o di una luce lampeggiante per aprire un immaginario destinato a fare presa sui cultori estremi dell’arte del cineasta. Come non citare il folle nano omicida che viene introdotto nella sesta parte, oppure certi dialoghi che si svolgono all’interno del Double R? E che effetto fa vedere – finalmente! – Diane in carne e ossa (una magnifica Laura Dern con tanto di parrucca biondo platino) oppure Jacoby negli insoliti panni del Dr. Amp? E che dire del superlativo Harry Dean Stanton, che alla veneranda età di novant’anni ci fa letteralmente fermare il cuore con la sola intensità del suo sguardo in una delle scene più dure e spietate mai girate da Lynch?

Il nuovo Twin Peaks è un’opera decisamente ostica, non solo per gli spettatori, ma anche per chi, come noi, ne vuole scrivere. Pensate a quanto possa essere arduo il compito di cercare di inquadrare un film avendone visto solamente una parte. Come sarebbe stato recensito “2001: Odissea Nello Spazio”, all’epoca della sua uscita, se gli spettatori ne avessero visto solo un terzo?
Noi continuiamo, consapevoli del fatto che mai una serie TV è stata così poco serie TV e che, forse, mai una recensione di una serie TV è stata così poco recensione. Ma d’altronde, come sappiamo fin troppo bene, nemmeno i gufi sono quelli che sembrano. Figuriamoci le serie TV, figuriamoci le recensioni.