Twin Peaks: La recensione delle parti quindici e sedici

La conclusione della terza e, con ogni probabilità, ultima stagione di Twin Peaks è sempre più vicina. Siete arrivati fino a qui vivi e vegeti? Se avete trovato questo film diviso in diciotto parti troppo difficile da seguire, assurdo, a volte persino detestabile, vi diamo subito un’ottima notizia: a breve dovrebbero iniziare le riprese della serie televisiva ispirata a Fast and Furious. Qual è la morale di quest’inconsueta introduzione? Se una cosa non fa per voi, molto semplicemente non fa per voi, non fatevene un cruccio.

Puntualizzato questo, iniziamo subito col dire che le parti quindici e sedici sono indubbiamente da annoverare tra le migliori della stagione, se non dell’intera serie. La quindici inizia con una delle scene più romantiche che si siano mai viste a Twin Peaks. Nadine, avanzando con passo deciso e con in mano una delle vanghe dipinte d’oro del Dr. Amp, si reca alla pompa di benzina di Ed per comunicargli di non voler essere più d’intralcio alla sua eterna storia d’amore con Norma. Con la benedizione della moglie e finalmente libero dai sensi di colpa, Ed si precipita al Double R per chiedere la mano alla sua amante storica, che per qualche istante sembra timorosa di ferire il suo nuovo fidanzato. Per fortuna il grande amore trionfa e i due si abbracciano e si baciano davanti a tutti i clienti del bar e a un’emozionata Shelly. Un momento che tutti i fan della serie hanno aspettato per oltre venticinque anni, impreziosito da una delle più belle canzoni soul di tutti i tempi: “I’ve Been Loving You Too Long” di Otis Redding. Pelle d’oca.

In puro stile Twin Peaks, una scena tanto mielosa non può che essere controbilanciata da una delle più cupe e spettrali, ambientata al primo piano dell’ormai familiare Convenience Store, dove assistiamo all’incontro tra Bad Cooper e Philip Jeffries (interpretato non da David Bowie, come alcuni speravano, ma da – ebbene sì – un’inglesissima teiera fumante!), con il primo che chiede al secondo notizie di Judy (ricordate la scena di “Fire Walk With Me” in cui Jeffries chiedeva di non parlare proprio di Judy?). Nel frattempo, a Las Vegas, Cooper/Dougie guarda in TV il capolavoro di Billy Wilder “Viale del tramonto” e sente pronunciare il nome di Gordon Cole (nome realmente ispirato a un personaggio del film), che funge da catalizzatore e lo spinge a infilare una forchetta in una presa di corrente, provocandosi la scossa. Da segnalare che nella terza parte, durante il suo viaggio “spaziale” Cooper si trovava davanti a due prese giganti, la prima che riportava il numero 15 (a cui Naido, la donna senza occhi, gli impediva di avvicinarsi) e la seconda con il numero 3, che Cooper usava per rientrare nel mondo reale. Nulla è un caso nella fitta trama intessuta da Mark Frost e David Lynch, nemmeno i numeri.

Nella quindicesima parte non mancano le scene, a volte spiazzanti, a volte drammatiche a cui ormai ci ha abituato il regista. Succede per esempio quando lo speaker del Roadhouse annuncia gli ZZ Top, che però non salgono sul palco ma vengono comunque omaggiati con la loro musica mandata in diffusione all’interno del locale. Oppure quando vediamo Steven, il marito di Becky, strafatto e terrorizzato da qualcosa di terribile che è appena successo, mentre si nasconde in un bosco insieme alla sua amante (Gersten Hayward, una delle sorelle di Donna Hayward, interpretata dalla stessa attrice apparsa nella medesima parte da ragazzina in una puntata della serie storica). Non si sa precisamente cosa sia accaduto, ma pare di intuire che Steven ponga fine alla sua vita sotto un grande albero dopo essere stato avvistato da Cyril Pons (interpretato da Mark Frost, il co-autore della serie) che corre al Fat Trout Trailer Park a informare Carl Rodd (Harry Dean Stanton) di quanto ha appena visto.

L’episodio si chiude con uno dei momenti allo stesso tempo più belli e tristi di tutto Twin Peaks: l’addio di Margaret Lanterman, la Signora Ceppo, uno dei personaggi più amati. “Tu sai che la morte è solo un cambiamento, non la fine” dice a Hawk. Un momento doppiamente commovente perché Catherine Coulson, l’attrice che l’ha interpretata sin dalla sua prima apparizione sul piccolo schermo, è realmente morta di cancro poco dopo la fine delle riprese. L’episodio è giustamente dedicato alla sua memoria.

La sedicesima parte si potrebbe facilmente riassumere così: “Io sono l’FBI”. Queste le parole pronunciate da Cooper a Bushnell Mullins al risveglio dal coma in cui era caduto dopo essersi causato la scossa nell’episodio precedente. Ci sono volute ben sedici ore per farlo risvegliare dallo stato comatoso in cui si trovava e farlo tornare a essere – finalmente! – l’Agente Speciale Dale Cooper; con gli stessi modi decisi ma educati di un tempo, con lo stesso charme, con tutte quelle caratteristiche che hanno contribuito a farlo diventare il personaggio più amato e riconoscibile della serie all’inizio degli anni novanta. Nel momento del suo risveglio, a Dale appare una visione di MIKE, che gli comunica che il suo doppelgänger è ancora fuori dalla Loggia Nera, e gli consegna il famoso anello verde della caverna dei gufi. Dale sa molto più di quanto non lasciasse intendere nei panni di Dougie, e siamo sicuri che nei due episodi finali ci saranno le risposte a diverse domande rimaste in sospeso. Prima di lasciarsi alle spalle il personaggio che ha interpretato per ben quindici episodi, Dale saluta il suo capo, la sua famiglia – promettendogli che in un qualche modo ritornerà – e chiede ai sempre più spassosi fratelli Mitchum di portarlo a Twin Peaks con il loro aereo privato.

Nel frattempo Richard Horne segue Bad Cooper fino al Convenience Store, dove lo minaccia con una pistola. Bad Cooper lo porta con sé nella località indicata da due delle tre coordinate in suo possesso (ottenute da Ray Monroe, Phillip Jeffries e Ruth Davenport) e lo fa avvicinare al punto esatto al posto suo. Il ragazzo resta folgorato e scompare proprio davanti agli occhi di suo zio, Jerry Horne, che osserva la scena da lontano con un binocolo. “Addio, figlio mio”, dice Bad Cooper, avvalorando l’ipotesi che si tratti davvero del padre del ragazzo, probabilmente frutto di uno stupro ai danni di Audrey.

A proposito di Richard Horne, ricordate la scena brutale in cui investiva un bambino? Nella parte sedici si viaggia sugli stessi binari quando gli Hutchens, interpretati da Tim Roth e Jennifer Jason Leigh, si appostano fuori dalla casa di Dougie con l’ordine di ucciderlo impartito dal loro capo, Bad Cooper. Dopo l’arrivo dell’FBI, che sta cercando Dougie, si avvicina loro un contabile che abita di fronte alla famiglia Jones, tale Zawaski, che se la prende con la coppia, colpevole di occupare una parte del suo vialetto. “Non siamo neanche vicini al tuo cazzo di vialetto, stronzo. Vai a farti fottere”, risponde Chantal, innescando una sparatoria che finisce con la morte degli Hutchens in una scena tanto violenta quanto assurda che ricorda certi film di Quentin Tarantino (non c’è da stupirsi, sia Roth che la Leigh hanno collaborato con il regista di Pulp Fiction). Rodney Mitchum, che assiste alla scena insieme a suo fratello, non può che commentare: “La gente è molto stressata, Bradley”.

Come avrete già capito, la sedicesima parte di Twin Peaks è una delle migliori, ricca di colpi di scena e di momenti memorabili. Non manca Diane che cerca di uccidere Gordon, Tammy e Albert dopo aver ricevuto un SMS da Bad Cooper – con scritto “:-) ALL” (sorridete tutti) – e dopo aver rivelato di essere stata stuprata proprio da lui pochi anni dopo la sua scomparsa. Diane è sempre parsa ambigua e finalmente capiamo il perché quando si scopre che si trattava di un tulpa, che si materializza come d’incanto nella Loggia Nera. “Qualcuno ti ha fabbricato” le dice MIKE. Lei, senza scomporsi più di tanto, lo manda affanculo. Tipico di Diane.

La sedicesima parte si conclude con due delle scene che più rimarranno impresse nella mente degli spettatori. “Signore e signori, il Roadhouse è orgoglioso di presentare Edward Louis Severson”, queste le parole utilizzate per introdurre Eddie Vedder, il cantante dei Pearl Jam, uno degli ospiti musicali più attesi dal momento dell’annuncio del cast della nuova stagione. Vedder canta con trasporto “Out of Sand”, una struggente ballata scritta apposta per la serie. “Ora non c’è più, svanito, io sono quello che sono, quello che ero, non tornerò più a esserlo”.

Che Eddie si riferisca a Cooper nel testo? Più probabile che si tratti invece di Audrey, a cui è dedicata l’ultima scena, forse la più bella. Insieme al suo compagno/psicologo Charlie, la donna arriva al Roadhouse e poco dopo lo speaker annuncia “Audrey’s Dance”, composta da Angelo Badalamenti, il brano strumentale che la caratterizzava nella serie originale. Audrey avanza sulla pista e inizia a ballare, con il pubblico che si fa da parte e la accompagna dondolandosi a tempo di musica. Peccato che non ci sia proprio nulla della leggerezza sognante con cui Audrey ballava un tempo, anzi tutta la scena pare rivelarsi un incubo. Di colpo vediamo infatti un primo piano della donna che esclama “Cosa? Che cosa?” mentre osserva spaventata il suo riflesso allo specchio in una stanza bianca.

Mancano solo due ore e ce ne sono volute sedici, ma ora lo si può dire senza più alcun dubbio: la terza stagione è a livello di quelle storiche. Di questo ne siamo sicuri, come direbbe proprio Cooper con il pollice alzato, “al 100%”.