Roadies – Ottavio Episodio: The All Night Bus Ride

Senza girarci troppo intorno, l’ottavo episodio di Roadies è essenzialmente la lettera d’amore di Cameron Crowe ai Lynyrd Skynyrd. The All Night Bus Ride soddisfa in pieno tutti quei fan del regista che aspettavano un episodio che ricreasse, grazie al personale e riconoscibile tocco di Crowe, quella magia che ha reso uniche pellicole come Almost Famous e Singles – una perfetta commistione di musica, ricordi e immagini difficilmente rintracciabile in opere di altri autori. Se la prima parte dell’episodio è incentrata sulle domande che la crew della Staton-House Band si pone sul proprio futuro lavorativo e sulla possibilità di un tour europeo, la seconda parte – senz’altro la più riuscita, nonché uno dei momenti più alti dell’intera stagione – è infatti un mini biopic sulla storia di Ronnie Van Zant (interpretato da Nathan Sutton) e dell’ascesa nel panorama rock della sua band, i leggendari Lynyrd Skynyrd.

Phil, il road manager recentemente tornato alla corte della SHB, è il personaggio con più esperienza di tutti all’interno della crew; come accenna lui stesso nel primo episodio, nel corso della sua lunga carriera ha collaborato con tante band di spicco, dai Pink Floyd ai Lynyrd Skynyrd. Nel lungo viaggio tra una tappa e l’altra del tour – dodici ore in notturna a bordo del tour bus – Wes pone a Phil la fatidica domanda: “Come sei finito a fare questo lavoro? Chi è stato il migliore, Phil? Qual è la tua band?”. Da questo momento parte una lunga digressione in cui viene ripercorsa a grandi linee la storia dei primi anni di attività della band nata a Jacksonville nel 1964, e diventata nel corso del decennio successivo sinonimo stesso di southern rock.

La storia che lega Phil (un Ron White che solo per questo episodio meriterebbe un Emmy) agli Skynyrd nasce per puro caso, a inizio anni settanta, grazie a dei sigari illegali che un giovane Phil deve portare, per conto di suo padre, al proprietario dell’arena in cui si stanno per esibire proprio i Lynyrd Skynyrd. Ci sono alcune cose degne di nota nella storia narrata da Phil, che indicano che non si tratta semplicemente di una rievocazione romanzata. Per prima cosa, Cameron Crowe da giovane ha davvero passato del tempo al seguito della band, come reporter di Rolling Stone. C’è infatti qualcosa di profondamente personale e dettagliato in quello che Crowe sceglie di raccontarci degli Skynyrd, dall’atteggiamento orgoglioso circa le radici sudiste alla benevola leadership paterna di Van Zant. Grazie alle parole di Phil, assistiamo a risse in fetidi bar della provincia americana, partecipiamo alle lunghe prove che la band tiene per non sfigurare in occasione di un concerto come gruppo spalla dei Rolling Stones, e tocchiamo da vicino la proverbiale dipendenza da droghe e alcol che caccia nei guai una sera sì e l’altra anche i vari membri della band e della crew (compreso Phil, che finisce anche al fresco in Giappone). Più di tutto, assistiamo all’avanzata, a passi da gigante, che il gruppo fece arrivando a suonare in posti mastodontici e diventando una delle band più rappresentative dei 70s. Phil parla in modo intenso e accorato di quanto fossero speciali gli Skynyrd dal vivo, ed esprime con sincero trasporto la sua convinzione che “un giorno qualunque, qualsiasi band può essere la migliore al mondo” (e se riesci a lasciare a bocca aperta il pubblico degli Stones, c’è davvero da crederci, aggiungiamo noi). I flashback finiscono con Phil che, tra le lacrime, ricorda la tragica morte di Ronnie e degli altri membri della band e della crew, per poi lanciarsi in un potente discorso su come perdere gli Skynyrd abbia per lui significato perdere il contatto con il rock ‘n’ roll – un po’ come perdere la propria fede. “Quando trovi la tua band, trovi la tua band. E quella era la mia band”. Sui titoli di coda, i roadies cantano tutti insieme una versione acustica di Simple Man. Roba tosta.

Se la storia è farina del sacco di Crowe, che la infarcisce di aneddoti di prima mano, le scene sono brillantemente girate da Sam Jones, noto fotografo e regista di video e film musicali, che con un utilizzo sapiente di filtri e illuminazione riesce a dare consistenza e vividezza ai flashback. Crowe e Jones tessono la storia di Phil lungo tutto l’episodio, riuscendo a collegare e rafforzare anche le parti più strettamente legate alla trama di Roadies, che stavolta fungono più che altro da contorno. In The All Night Bus Ride c’è infatti spazio per i dubbi che affliggono Reg, che teme di essere solo una pedina arruolata dal manager della SHB per far sciogliere la band e lanciare la carriera solista del cantante, mentre Shelli deve a malincuore assentarsi dal tour (e da Bill) per un improvviso lutto familiare. Come si diceva all’inizio, questo episodio è prima di tutto una lettera d’amore di Crowe agli Skynyrd. Una lettera sincera e piena d’amore per quel mondo che non scegli ma che sceglie te, come successo tanti anni fa allo stesso Crowe, che da semplice appassionato di musica si è ritrovato da un giorno all’altro a percorrere le strade polverose degli Stati Uniti sui tour bus di alcune delle migliori rock band di sempre.

Encore:
  • Durante la conferenza stampa che i Lynyrd Skynyrd tengono in Giappone, un giornalista chiede alla band se ce l’abbiano con Neil Young. Ronnie nega di aver alcun tipo di risentimento nei confronti del loner canadese. La celeberrima Sweet Home Alabama era infatti stata scritta in reazione a due canzoni di Neil Young – Southern Man e Alabama – che se la prendevano con il razzismo dilagante negli stati del sud degli Stati Uniti. In realtà non c’è mai stata nessuna animosità tra Young e Van Zant, che si sono sempre rispettati e omaggiati a vicenda.

  • Nel tour che gli Skynyrd fecero come spalla degli Who nel 1973, ci furono alcune screzi tra le due band. L’episodio più noto risale a quando la formazione inglese capitanata da Roger Daltrey si rifiutò di tenere il suo show perché il pubblico continuava ad acclamare la band di Ronnie Van Zant.

  • La canzone che Wes (Machine Gun Kelly) e Milo (Peter Carbor) suonano nella scena finale dell’episodio è Simple Man, grande classico dei Lynyrd Skynyrd incluso anche nella colonna sonora di Almost Famous.

  • The All Night Bus Ride è il primo episodio della serie che utilizza riprese d’archivio di un concerto che si è davvero tenuto nel passato. Nello specifico, parliamo del footage che mostra gli Skynyrd aprire per gli Stones a Knebworth House (Inghilterra) nel 1976.

  • Visto che si parla dei Lynyrd Skynyrd, vi consigliamo di recuperare i loro primi due dischi – Pronunced lĕh-‘nérd ‘skin-‘nérd del 1973 e Second Helping dell’anno dopo – capisaldi assoluti del southern rock. E visto che nell’episodio un ubriacone si scaglia contro Van Zant dicendogli che gli Allman Brothers sono migliori, per par condicio consigliamo anche l’ascolto del loro classico At Fillmore East del 1971. In vino veritas?

  • Nello score di questo episodio è inclusa una seconda traccia strumentale inedita – dopo la prima prestata al precedente episodio – a firma Mike McCready, intitolata Pawn.

    Roadies Episode 8 | Song List

    And Roger – Derek Poulsen

    California – Tyler Lyle

    Gotta Wanna – Gun Outfit

    There is a Storm Comin’ – The Standells

    The Nitty Gritty – Shirley Ellis

    Gimme Three Steps – Lynyrd Skynyrd

    Six Days on the Road – Flying Burrito Brothers

    T For Texas (Blue Yodel No. 1) (Live at the Fox Theatre 1976) – Lynyrd Skynyrd

    Comin’ Home – Lynyrd Skynyrd

    Free Bird (Knebworth Festival Live 1976) – Lynyrd Skynyrd

    Iceblink Luck – Cocteau Twins

    Ghost in You – Robyn Hitchcock

    Sweet Home Alabama (Live at the Fox Theatre 1976) – Lynyrd Skynyrd

    Pawn (Score) – Mike McCready

    Just Can’t Get You Out of My Mind – The Spinners & Dionne Warwick

    Saturday Night Special – Lynyrd Skynyrd

    Phil’s Shoes (Score) – Jordan Cook

    All You Can Do is Write About It (Acoustic) – Lynyrd Skynyrd

    Simple Man – Machine Gun Kelly, Peter Cambor & Roadies Cast