Rick Beato incontra i Pearl Jam: ricordi e il primo passo verso il tredicesimo album

Nel corso di un’intervista pubblicata sul canale YouTube di Rick Beato, Mike McCready e Jeff Ament svelano retroscena inediti, ripercorrono decenni di carriera e anticipano sviluppi futuri, incluso l’inizio di lavori per un nuovo album.

In un’intervista esclusiva, Mike McCready e Jeff Ament ripercorrono le origini della band, l’impatto di Andy Wood, il progetto Temple of the Dog, l’esplosione di Ten e la trasformazione live dei brani più amati. Tra ricordi, riflessioni e aneddoti mai raccontati, i due musicisti rivelano anche che i Pearl Jam hanno iniziato a immaginare il loro tredicesimo album in studio, con l’ambizione di reinventarsi ancora una volta.


Le radici del suono: dagli anni formativi all’incontro con Eddie Vedder

Jeff Ament ha rivelato che il suo percorso musicale è iniziato prestissimo, grazie alla madre pianista e alle prime lezioni di piano. Il punk rock, però, è ciò che gli ha acceso davvero la scintilla. Mike McCready, invece, ha raccontato di essere stato folgorato da un lunchbox dei Kiss visto a scuola nel 1977: “Voglio qualsiasi cosa sia quella roba”, ha ricordato. I due si muovono nella scena musicale di Seattle, ancora piccola e autogestita, dove le band dovevano spesso affittare sale e locali per poter suonare, in un’epoca in cui i minori non potevano nemmeno entrare nei club.

La morte improvvisa di Andy Wood, frontman dei Mother Love Bone, ha segnato profondamente Jeff. “Avevo appena lasciato il lavoro pensando che saremmo andati in tour”, ha raccontato. “E invece mi sono ritrovato senza band, senza lavoro, senza un piano.” È in quel vuoto che Stone Gossard e Mike McCready hanno cominciato a suonare insieme. McCready ha ricordato come avesse insistito per coinvolgere Ament: “Lui e Stone erano perfetti insieme. Doveva far parte di questa nuova band.

Poi è arrivato Eddie Vedder. Ament ha raccontato l’impatto immediato del primo incontro: “Quando ha iniziato a cantare su quei pezzi, sapevamo che stava succedendo qualcosa di magico.” Nascono così Alive, Black, Jeremy… e anche Yellow Ledbetter, rimasta fuori da Ten nonostante il suo enorme potenziale. Tutti i brani furono registrati in presa diretta, con Ament che insisteva per catturare l’energia vera, non correggere, non rifare. “Volevo che basso e batteria andassero giù insieme.

Il successo, però, non fu immediato. I Pearl Jam si unirono a un tour con i Red Hot Chili Peppers, guadagnandosi il pubblico sera dopo sera. Quando Ten cominciò a vendere, la band era già concentrata sulla sopravvivenza: “Se vendevamo abbastanza da fare un secondo disco, era già un successo”, ha spiegato Ament. Poi uscì Vs., che vendette un milione di copie nella prima settimana. McCready lo ha definito un “mindfuck”: la consapevolezza improvvisa di essere diventati enormi.

In un altro passaggio centrale dell’intervista, Jeff ha raccontato del momento in cui Susan Silver, manager dei Soundgarden, gli ha consegnato una cassetta con due brani scritti da Chris Cornell, entrambi dedicati ad Andy. “Chris voleva che io e Stone suonassimo su quei pezzi”, ha ricordato. Nasce così il progetto Temple of the Dog, registrato mentre i futuri Pearl Jam erano ancora in fase embrionale. “Facevamo le prove per entrambe le cose nello stesso periodo,” ha detto Ament. “Pranzavamo tra una sessione e l’altra.


Il nuovo album: idee, visioni e desiderio di evoluzione

Uno dei momenti più significativi dell’intervista arriva quando si parla del futuro creativo della band. Jeff Ament ha svelato che i Pearl Jam hanno cominciato a ragionare concretamente sul tredicesimo album in studio. Ma non si tratta semplicemente di scrivere nuove canzoni: l’intento è reinventare anche il metodo con cui lavorano insieme.

Parliamo spesso del prossimo disco,” ha affermato Ament. “Ci diciamo: ‘Come possiamo fare qualcosa che ci sorprenda davvero?’ Una delle idee sul tavolo è usare un otto piste, assegnando a ciascuno di noi una traccia. Sarebbe un modo per tornare a un suono più crudo, diretto, spontaneo.” Il desiderio è quello di lasciarsi guidare dalla chimica, dalla libertà creativa, dall’assenza di costrizioni.

L’importante per noi,” ha continuato Ament, “è restare aperti a qualsiasi possibilità. Non abbiamo un piano fisso, ma vogliamo qualcosa che ci emozioni. Dopo tutti questi anni, se non ci sorprende, non vale la pena farlo.

Mike McCready, dal canto suo, ha raccontato che anche nelle sessioni di Dark Matter ha registrato in presa diretta, senza sovraincisioni, proprio per conservare quella carica da live: “Mi piace la pressione positiva che si crea quando siamo tutti lì. Vedo Ed, Jeff, Stone, Matt davanti a me e mi viene voglia di suonare al meglio.

Ament ha aggiunto che spesso preferisce isolarsi nel suo studio per sperimentare e rifinire: “A volte mi servono due ore per trovare la parte giusta. Ma se siamo in studio e c’è da registrare subito, mi affido all’istinto.” I due approcci — istintivo e meditativo — si completano a vicenda, e proprio da questa tensione nasce l’equilibrio creativo della band.


Il significato dei concerti e le influenze

L’ultima parte dell’intervista è una riflessione sul significato del live. Jeff Ament ha sottolineato quanto sia fondamentale offrire al pubblico qualcosa di autentico ogni sera: “Se la gente spende soldi per vederci, deve essere un’esperienza vera. Non voglio salire su un palco se non accade qualcosa di unico.” McCready ha condiviso il pensiero: “Questa band tira fuori il meglio di me. Quando suono con loro, sento che è lì che devo stare.

Si parla anche della trasformazione dei brani nel tempo: Given to Fly, scritto in una giornata di neve, Corduroy, diventato un momento di connessione emotiva con il pubblico, Leash, Go, Daughter, nati da intuizioni fulminee. Ament ha raccontato di aver scritto Jeremy e Why Go immaginando un basso a 12 corde che non aveva ancora ricevuto: “Se do loro qualcosa in più, forse diventano canzoni.” Ed è così che nascono le scintille.

Non mancano ricordi di infanzia e influenze: i Beatles, la Motown, i dischi economici da supermercato, l’adorazione per Kiss e Aerosmith, la carica dei Dead Kennedys. E poi, la magia del concerto alle Hawaii con gli U2 nel 2006, che ha chiuso uno dei tour più memorabili della loro storia.

L’intervista si conclude con una nota personale e profonda: “Ho perso amici come Andy e Chris,” ha riflettuto Ament. “Ogni volta che salgo sul palco penso a quanto siamo fortunati. E non voglio mai sprecare quello che ci è stato dato.

🎥 La video intervista completa è disponibile qui sotto.