Pearl Jam/Eddie Vedder 2012 Tour Reviews

Articoli di Pearl Jam OnLine sui tour 2012 dei Pearl Jam e di Ed Vedder originariamente apparsi su http://www.barracudarocktour.it

Vado sempre a vedere la stessa band… sì, e allora?

La domanda, in fondo, è sempre e solo una: “Perchè vai a vedere così tante volte quella band?”. Avercela, una sola risposta. Avere una di quelle risposte secche, di poche parole, da far rimanere a bocca aperta il tuo interlocutore. Non è così, invece. Non è facile trovare una buona risposta.

Come giustificare il fatto di prendere tanti aerei, visitare – pian piano – tutta l’Europa (e non solo) per “colpa” di una band? Quale risposta dare al fatto che le tue ferie diventano, quando loro ritornano live, seguire i Pearl Jam in lungo e in largo?

Si parte il 4 Luglio, destinazione Berlino. Un paio di treni, un aereo Bologna-Tegel, altri mezzi e una bella passeggiata per raggiungere l’ostello.

Alla sera è già tempo del nostro primo concerto, per quest’anno, della band di Seattle tornata nel vecchio continente a distanza di due anni dall’ultima calata. In mezzo ne sono passate di cose: le celebrazioni con il film di Cameron Crowe “Pearl Jam Twenty” e, soprattutto, il festival di due giorni tenutosi lo scorso Settembre negli USA, per commemorare i vent’anni di attività della band.

Appena arrivati alla 02 World, una recentissima costruzione nella parte più cool di Berlino, ci rendiamo conto che questo è il palazzetto che vorremmo tanto avere in Italia ma che non abbiamo (che sia questo uno dei tanti motivi per cui i Pearl Jam hanno preferito, almeno per questa volta, saltare l’Italia?).

File abbastanza composte serpeggiano oltre il banner “Ten Club Entrance”, dove ci sono tutti i membri del fan club della band, mentre davanti al palazzetto ci sono già tanti altri fans in attesa di entrare.

La band è in forma, Vedder pare avere la voce un po’ più bassa del solito – la sera prima ha visitato il museo dei Ramones a Berlino e, soprattutto, si è scolato un sacco di birre. Tutto sommato la setlist è abbastanza prevedibile, ma si sa che quando i Pearl Jam fanno una doppia data nella stessa location il concerto migliore è quello della seconda sera, come puntualmente succede anche in questo caso, con la band che tira fuori una serie di pezzi rari come Oceans, Breakerfall e Sad. La band si diverte, col passare degli anni pare che i ragazzi si divertano sempre di più, e noi con loro.

Alla fine dei concerti, fuori dalla venue, ritrovi vecchi e nuovi amici, con cui scambiare pensieri su quale sia stata la data migliore o il momento più toccante e fare paragoni con i concerti degli anni novanta o dei primi anni duemila. C’è gente che li vede per la prima volta, che si commuove durante Just Breathe e che piange durante Baba O’Riley.

Altri treni e aerei ci separano dalle due date finali del tour, Oslo e Copenaghen, dove va in onda la vera festa – sul palco – della band. Nella data norvegese il pubblico è calmo, si riescono ad apprezzare sfumature nei passaggi anche più delicati, come Nothingman, e in certi momenti – come durante Better Man a Copenaghen – pare che la band ed il suo pubblico siano un tutt’uno. Forse è proprio così.

In questi giorni capita anche che le persone incontrino i Pearl Jam per strada, al ristorante o nei musei. Arrivano messaggi sul Twitter di Pearl Jam OnLine per condividere col mondo la felicità di chi riesce a farsi una foto con Mike McCready o a stringere la mano a Vedder, o magari semplicemente a dirgli quanto la musica della band sia importante per loro.

E’ tutta una questione di amore e fiducia quella che la band di Seattle ha instaurato con il proprio pubblico, ormai da anni. Quando Vedder intona In Hiding e tutte le persone la cantano con i brividi lungo la schiena, quando Do The Evolution diventa un rito collettivo con migliaia di braccia alzate, quando anche una Black – che hai già sentito in tanti altri concerti – riesce a farti piangere.

E quando il sipario cala e sai che dovrai aspettare mesi o anni per rivederli, ti viene un groppo alla gola. Quando sei davanti ad un monitor, alle tre di notte, che cerchi di assemblare, scrivere in un modo sensato – nero su bianco – i tuoi pensieri, le sensazioni che hai provato, ti viene in mente una frase. Una di quelle frasi che forse potrebbero finalmente lasciare a bocca aperta il tuo interlocutore.

“Perchè vai a vedere così tante volte quella band?”. “Sai come la mia vita sarebbe stata diversa senza i Pearl Jam?”. Credo potrebbe bastare.

Eddie Vedder, la voce che ti ruba il cuore 

Si parte il giorno stesso del concerto, lasciandoci alle spalle i quattro indimenticabili concerti dei Pearl Jam appena visti in giro per l’Europa. Amsterdam è una bellissima città, piena di bici, birra a buon mercato, gente ospitale e con un bel giorno di sole può regalare momenti unici lungo i suoi canali. L’attesa è grande. E’ dal 2008 che Eddie Vedder porta in giro il suo tour solista, ma non era mai approdato in Europa prima di oggi. Solo una manciata di date in Olanda, Inghilterra e Portogallo, probabilmente le prove generali di un tour che ritornerà presto nel vecchio continente.

L’allestimento molto minimal del palco prevede chitarre (acustiche ed elettriche), il fido ukulele, un organo, una cartone di birra vuoto a coprire un pedale, un vecchio due piste, una valigia e un panama appoggiati su uno sgabello, un tappeto circolare e le ali di pipistrello dorate (regalo di Dennis Flemion dei Frogs, recentemente scomparso). Dietro, semplici ma evocativi sfondi che ritraggono case, una tenda sulla spiaggia, il mare. E poi c’è lui. Quest’uomo che, a quasi cinquant’anni, detiene il segreto della musica americana del passato e del presente.

Non è facile raccontare a parole un concerto di Eddie Vedder: c’è la sua voce, prima di tutto, che ti culla, che ti fa piangere, che ti toglie il fiato, che ti entra fino in fondo all’anima. C’è la sua musica, a volte talmente fragile (Broken Heart, Sleeping By Myself) che sembra quasi un’onda in grado di trasportati nei luoghi magnifici del video di Can’t Keep (scelta per aprire il primo show di Amsterdam), a volte così possente da far cantare tutti i presenti (Unthought Known, Porch), a volte di una bellezza così intensa da commuovere (la versione rivisitata di Better Man, la cover di Cat Stevens Trouble). Poi ci sono le sue storielle: divertenti, interessanti, a volte riflessive, che spesso svelano curiosi aneddoti o episodi del suo passato. Uno storytelling totale che fa da ponte tra una canzone e l’altra e ricorda tanto quello stile musicale/narrativo già caro a Tom Waits e a Billy Bragg. Durante la seconda serata, Eddie mostra addirittura il tattoo sulla gamba, fatto vent’anni prima da Hanky Panky proprio ad Amsterdam.

C’è un momento particolare dello spettacolo, così intimo che lo spettatore ha la sensazione di entrare in sintonia con la parte più profonda dell’anima di Vedder. Quel momento è ARC ed è lì che i ricordi dei tour solisti di Bruce Springsteen (The Ghost Of Tom Joad e Devils And Dust) si rifanno vivi e ti chiedi: “E’ davvero lui il nostro Boss?”. C’è bisogno di rispondere?

Durante i due concerti al Koninklijk (“reale”) Carrè, magnifico teatro da circa 1800 posti costruito nel 1887 dalla famiglia circense dei Carrè, si respira l’atmosfera del grande evento. Lo sappiamo noi, lo sa lui, che non manca di ricordare che è la sua prima volta in Europa. “C’è qualcosa di diverso rispetto a quello che ho fatto finora ed è bellissimo”. Il pubblico olandese è rispettoso ed emozionato, in certi momenti il silenzio è così irreale che puoi sentire distintamente i passi di Vedder sulle assi di legno del palcoscenico.

Tanti i momenti che i presenti ricorderanno per sempre. Falling Slowly cantata insieme al suo soulmate nonché support act, Glen Hansard. La versione waitsiana, al piano, di Bugs dedicata alla ragazza olandese – Mirella, fondatrice della community Bugs – che il mese prima si era rotta una caviglia durante il concerto dei Pearl Jam ad Amsterdam. Ci sono anche una cover mozzafiato di Good Woman di Cat Power, mai proposta prima, e una versione di Sleepless Nights cantata da Eddie e Glen a cappella, in pieno busker style.

E come non citare i tanti momenti dedicati alla soundtrack di Into The Wild? Guaranteed, No Ceiling, Society e Rise su tutte. Epico il finale con il momento ormai fisso dedicato all’ “esperimento” in cui Vedder, vestito con un camice bianco da dottore (‘divisa’ che anche i roadies indossano per tutto lo show tra un cambio di strumento e l’altro), ha suonato insieme a Glen Hansard Hard Sun, improvvisando anche un divertente crowd surfing la prima serata.

Si diceva prima che non è facile raccontare un concerto solista di Ed Vedder. Io ci ho provato, senza grandi risultati. Rileggendo tutto è evidente che quello che ho provato non è nulla rispetto a quanto ho scritto, quindi consiglio a tutti una cosa: se avete visto e amato live i Pearl Jam, la migliore rock band della nostra generazione, provate ad immergervi negli splendidi paesaggi in cui Vedder è in grado di trasportare durante un suo show solista. Vi emozionerete, vi commuoverete, canterete a squarciagola, mentre in altri momenti sarete completamente inermi e senza parole, inchiodati ai vostri posti.

Con questi concerti, soprattutto, capirete al 100% l’artista chiamato Eddie Vedder. Un artista puro, in un piccolo teatro, che sa rendere quel posto, per una notte, la casa di tutti i presenti. Quell’artista che per molti di noi ha significato e continua a significare tantissimo e che in questi teatri saprà trascinarvi in un vortice di emozioni che non dimenticherete mai. Garantito.