Intervista a Mike McCready
Australian Guitar Magazine | Gennaio 2003

Traduzione a cura di Acrobat

Non importa quello che pensiate dei Pearl Jam, non ci sono dubbi sul lavoro etico della band. Nei dodici anni di storia del gruppo, la band di Seattle ha realizzato 7 album da studio e innumerevoli live album. Il chitarrista Mike McCready si è trovato con Australian Guitar per parlare dell’ultimo album dei Pearl Jam, Riot Act. 

Dopo più di una decade insieme (a parte la politica da porte girevoli che riguarda il seggiolino del batterista), si ha la sensazione che i Pearl Jam siano finalmente a proprio agio con quello che la band significa. C’è anche un video di I Am Mine, il primo dopo il famoso Jeremy dal loro primo album, Ten. Come sono cambiati i tempi.

Se ripensiamo agli eccitanti giorni dei primi anni ’90, l’immagine dei Pearl Jam era quella dei capelloni in pantaloncini corti e scarponcini. Mike McCready suonava i suoi infuocati assoli alla Hendrix su una Strato e Stone Gossard lo accompagnava coi suoi riff con la sua Les Paul. La band era sicuramente condotta da Gossard e dal suo amico bassista Jeff Ament, date un’occhiata ai credits delle canzoni di Ten. Arriviamo all’anno 2003, e le cose sono cambiate sotto tanti aspetti – i capelli di tutti se ne sono andati, ogni membro della band contribuisce al processo di scrittura delle canzoni e la band è un sistema molto più democratico. Ma in un caso di processo circolare, McCready è tornato a suonare assoli e Gossard a tenere il ritmo. E così dovrebbe essere, secondo l’ora sobrio McCready.
“Beh, suonare la lead guitar è quello che faccio – e quello da cui traggo maggior piacere, ma con me e Stone a suonare nella band, e Eddie sta suonando anche lui molto in questo periodo, devi uscirtene con qualcosa di differente l’uno dall’altro.”

Ma mentre pensi che sia giusto giudicare i due principali chitarristi come esclusivamente ritmico e lead, il nuovo processo democratico di scrittura delle canzoni getta questa teoria fuori dalla finestra. “Sì, posso tenere il ritmo, sai”, ride McCready. “Per esempio, la song Save You è un mio riff. La canzone si è sviluppata all’interno di una jam. Ma sono anche molto felice di quello che è diventato il mio solo su quella canzone.”

Mentre i Pearl Jam hanno prodotto un flusso costante di album da studio durante la loro carriera, la pausa che ogni componente del gruppo si è preso l’uno dall’altro prima di registrare Riot Act è stata la più lunga in 10 anni. E per il risultato che ha avuto, è stata una pausa molto attesa.
“Non abbiamo mai avuto una vera e propria pausa dai Pearl Jam da quando abbiamo iniziato”, dice McCready. “Voglio dire, abbiamo fatto tutti altre cose, ma questa volta è stata una vera e propria pausa – non ci siamo realmente visti per un bel po’ di tempo. E abbiamo scoperto che tornare all’interno dei Pearl Jam dopo è stato fantastico. Abbiamo tutti scritto molto, quindi quando abbiamo iniziato a provare insieme siamo veramente partiti a razzo. Le canzoni sono uscite molto facilmente.”

E quando arriva il momento di schiacciare il pulsante per la registrazione, come fa una band che ama gli spettacoli live a gestire la grande luce rossa?McCready ride. “Molto meglio di come facevamo in passato, questo è sicuro. Tutti agiamo leggermente in maniera diversa in studio – per esempio Stone è un lavoratore molto più metodico di me in studio. Magari ha qualcosa in testa e ci lavora fino a che non arriva al punto in cui ne è soddisfatto. Io d’altra parte, beh, diciamo che se non ottengo niente nelle prime 2-3 prove, allora non otterrò mai niente. Mi piace catturare la spontaneità e la vitalità che ottieni dalle prime due prove. Non mi piace pensare troppo a come suono. Per me deve essere una cosa veramente naturale.”

Quando si parla di attrezzatura, McCready mantiene le cose abbastanza costanti durante il processo di registrazione. “Sì, ho usato più o meno sempre la mia Strato del ’59 su ogni traccia. Beh, sulla maggior parte comunque. Su un paio avevo bisogno di un suono più corposo, così ho usato la mia Les Paul del ’59, e su Thumbing My Way ho usato un modello Gretsch Chet Atkins, che è molto bella da suonare. Per quella canzone cercavamo un’atmosfera un po’ country, così io ho suonato una Gretsch, Eddie una vecchia Martin acustica e Stone una National Reso-Electric. Per quanto riguarda gli ampli, ho usato un solo amp per tutto il disco, ed è un combo fatto da Sal Trentino, il tizio che cura i notri ampli. È un combo da 30w con 2 casse da 12” e suona così bene. È come un Twin, ma ha anche un po’ i toni del Marshall. Me ne porterò un paio anche in tour.”

Il secondo singolo da Riot Act sarà probabilmente Save You, scritta per la maggior parte da McCready. Costruita attorno a un ritrmo incalzante, la canzone parte a tutta forza e non rallenta. “È uscita da un riff che ho suonato io”, dice McCready. “Quando abbiamo iniziato a lavorare al disco, io ho portato due idee. Su una ho lavorato molto duramente e pensavo che fosse veramente forte. L’ho fatta sentire a Stone e lui ha detto “um, non hai nient’altro?” così ho pensato “OK, merda” e gli ho fatto sentire il riff di Save You e lui ne è sembrato entusiasta.” 

La prossima visita in Australia dei Pearl Jam sarà il terzo viaggio della band e a quanto pare i ragazzi sono a dir poco impazienti di arrivare.
“Oh ragazzi, non vediamo l’ora”, dice McCready. “Siamo tutti patiti di surf e di stare al sole, quindi andare in tour in Australia è sempre un gran divertimento per noi.” 

La conversazione si è poi addentrata nella musica australiana e nelle sue opinioni sui movimenti odierni. “Sai, tutti parlano dei The Vines adesso, ma loro per me non fanno molto. Gli You Am invece sono incredibili. Tim Rogers è un grandissimo cantautore. Come non sia ancora una superstar, non me lo so spiegare.”

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Intervista a Stone Gossard e Matt Cameron
PlanetRock.com.au | 14 Febbraio 2003

D.: Ci parlate della faccenda dei bootlegs?

Matt: Penso che sia stata un’idea di Kelly (Curtis, il manager, NdA) inizialmente?
Stone: Credo di sì, abbiamo iniziato a registrare i nostri show parecchio tempo fa, con l’idea di documentare i nostri concerti per poi fare un disco live. Poi abbiamo visto questi bootleg non ufficiali di bassa qualità molto costosi venduti su internet a 40-50 dollari, così abbiamo deciso di rendere pubblici i nostri. All’inizio l’idea era quella di renderli accessibili solo attraverso il sito web, poi la cosa è esplosa quando la casa discografica ci ha detto che voleva venderli anche nei negozi, perchè altrimenti i negozianti si sarebbero offesi eccetera eccetera.
Adesso cerchiamo di tornare verso l’idea iniziale di Internet, e la tecnologia oggi ci permette di mixare un concerto mentre questo si sta svolgendo, così riusciamo a rendere disponibile la versione in cd di uno show due giorni dopo il concerto, e abbiamo pensato fosse una buona idea nel caso i fans venissero a sapere di un dato concerto e volessero sentirlo, e anche per noi, così da avere differenti versioni delle stesse canzoni, e magari fare un disco live più avanti… 

D.: Qual è stata la chiave per la sopravvivenza dei Pearl Jam?

Matt: è bello poter prendere le distanze dal gruppo e poi tornare, aggiungere qualcosa di nuovo. Io sono entrato nel gruppo nel ’98 e da osservatore mi sembra che questi ragazzi siano una band e facciano musica per le ragioni giuste. 

D.: Tutti hanno portato canzoni per la realizzazione di Riot Act?

Stone: Eddie è sempre stato favorevole al coinvolgere tutti nella realizzazione di un disco, e certamente lui ha le idee e in genere quando facciamo dischi lui traccia un po’ la strada, nel senso che se lui è veramente eccitato per qualcosa allora tutti cerchiamo di realizzarla, ma tutti avevamo idee e abbiamo portato i nostri demo, quindi le cose sono andate abbastanza bene secondo me. 

D.: Come date una forma ai vostri dischi?

Stone: puoi avere tutte le idee del mondo su che disco vuoi fare, e credo che tutti noi avessimo le nostre, ma una volta che entri in studio e ti confronti con gli altri, la dinamica di come interagiamo gli uni con gli altri, e il fatto che questa cosa si sia sviluppata con il tempo, fa sì che cercare di controllare il processo sia un passo indietro in un certo senso, e il disco si formi da solo in realtà. Devi cercare di entrare nel processo con la mente aperta, pensare che le persone che sono con te sono tutti artisti e hanno tutti le loro idee su come vorrebbero che una canzone suonasse. 

D.: Quanto cambia una canzone durante il processo di registrazione?

Matt: una volta che tutti hanno le loro parti e ne sono soddisfatti, la cosa va abbastanza veloce assume un aspetto corale, più da band che non da singolo individuo chiuso in uno studio che cerca di mettere insieme le cose.
Stone: penso che per quella canzone (LBC? NdA) in particolare credo che l’abbiamo sentita in versione acustica la prima volta ed era un po’ più controllata, mentre una volta fatta con l’intera band le parti di Boom sono diventate più visibili e l’intera canzone è, come dire, cresciuta, e le parti di B3 sono diventate un po’ la caratteristica di quella canzone

D.: Chi è Boom e come ha contribuito a Love Boat Captain?

Matt: È in tour con noi e si sta adattando abbastanza bene. Credo che la canzone l’abbiano scritta lui e Ed, anche se non so chi abbia scritto cosa, ma credo che la canzone si sviluppi naturalmente attorno alle parti di organo. Nella versione originale c’era solo l’organo con questa chitarra in sottofondo… 

D.: Che effetto ha avuto il festival di Roskilde sulla band?

Stone: è difficile da dire. Credo che tutti siamo stati devastati da quello che è successo in Danimarca. Ne parliamo spesso e la cosa è spesso nell’aria, ogni volta che suoniamo LBC la cosa compare nei nostri pensieri. Credo che la band recentemente abbia capito che continuare a fare la musica sia la cosa migliore da fare e questa è una cosa bellissima e credo che stiamo cercando di tornare a quella dimensione di amicizia e fratellanza e voglia di suonare musica per le persone e sentire gioia per questo ogni volta che facciamo un concerto.

D.: Il cartello “no crowd surfing” nasce dalla band o da chi organizza il concerto?

Stone: credo che sia una cosa abbastanza naturale visto che ora suoniamo solo negli stadi con posti assegnati, se inizi a saltare sulle sedie e atterri in testa alle persone è probabile che ti buttino fuori. Ma credo che ora possiamo permetterci di evitare i festival. Abbiamo fatto alcuni grandi concerti davanti ad un sacco di persone e sono stati molto divertenti e potevi sentire la presenza del pubblico e il pubblico si divertiva. Ora però vogliamo dare l’opportunità alle persone di godersi un nostro concerto senza essere pigiati gli uni contro gli altri. 

D.: C’è anche un lato casinista dei Pearl Jam?

Stone: credo che ogni giorno puoi vedere un lato diverso di questa band. Dipende dal tipo di interviste che facciamo, da chi c’è con noi nel backstage, ma spesso facciamo gli scemi.
Matt: suonare dovrebbe essere divertente, non puoi essere sempre serio. Insomma, altrimenti farei il banchiere o cose del genere.

D.: Chi detiene il titolo di miglior giocatore di ping-pong nei Pearl Jam?

Matt: in questo preciso momento è Jeff, il bassista.
Stone: davvero? Beh, recentemente è risalito parecchio in classifica, è migliorato molto. Ha un gioco non molto ortodosso, è difficile giocarci contro.
Matt: a volte gioca praticamente da sotto il tavolo
Stone: un sacco di effetti, di rotazioni strambe

D.: Fate molte prove prima dei tour?

Matt: Sì
Stone: uno degli autisti è stato in tour con Tina Turner e dice che il suo gruppo faceva prove per sei settimane, che è certamente molto di più di quanto non facciamo noi, ed è molto vicino a quanto vorrei fare io, ma credo che alla fine se vai fuori e suoni 5-6 volte sei già a posto, magari non sarai sicurissimo su tutto ma fa parte del divertimento.

 

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Pearls of wisdom
Intervista a Mike McCready
By Michael Dwyer
TheAge.com.au
 | 14 Febbraio 2003

Traduzione a cura di Angpo

Dei Pearl Jam più vecchi, meno seri si godono il raggiunto equilibrio mentale e la loro longevità. Una nuvola nera sovrastava la prima visita dei Pearl Jam a Melburne, quasi otto anni fa. La loro schietta nemesi, Kurt Cobain, era stato seppellito dieci mesi prima, e con Keith Richards e Nick Cave fuori da quella critica lista, il probl ematico, introverso Eddie Vedder era considerato da molti la prossima vittima del rock.

Sul palco di Perth, si era lamentato della finestra chiusa della sua camera d’albergo. “Siamo preoccupati che tu ti possa suicidare”, si lagnava, “forse hanno ragione”. La folla di Melbourne era stata spaventata da un improvviso scoppio di rabbia dal palco quando il cantante, molto nervoso, aveva rimproverato i “macho con la testa vuota della sicurezza” per avere usato le maniere forti la sera prima.

Le cose sono cambiate. L’album di quell’anno, Vitalogy, fu il momento più buio dei Pearl Jam, almeno in studio . E’ stato anche il loro maggior successo, infrangendo il record di vendite americano nella prima settimana con quasi un milione di copie.

Le loro uscite successive – da No Code nel 96 a Riot Act dell’anno scorso – hanno visto diminuire delle vendite e contemporaneamente la pressione, e, parzialmente, come risultato uno può immaginare un declino rabbioso. Abbracciando uno spettro musicale ed una gamma di emozioni più ampi, questi quattro album possono essere quasi visti come il diario della riabilitazione personale di Eddie Vedder.

“Penso che sia stata piuttosto dura”, dice il chitarrista Mike McCready a proposito di quando i Pearl J sono diventati la più grossa band del mondo nel ’94-’95. “Eravamo tutti dei ragazzini, sui 24 anni, avevamo suonato in vari gruppi praticamente per tutta la vita, e quando finalmente cominciammo ad avere successo, qualcuno di noi ne voleva ancora di più. Io so che lo volevo, Stone lo voleva.”

“Quando Ed voleva rallentare, noi eravamo un po’ riluttanti a farlo. C’era una parte di me che voleva uscire e fare qualche altra data, dare più interviste, ma penso che se lo avessimo fatto, potremmo non essere più qui. Per l’equilibrio mentale e la sicurezza di tutto il gruppo, solo per sopravvivere, e per l’equilibrio di Eddie specialmente, ci siamo tirati indietro. Altrimenti Eddie avrebbe potuto lasciare il gruppo. E’ stato un periodo interessante.”

L’insistenza di Vedder per un blackout quasi completo con la stampa fu una cosa veramente rara per una band che era sulla bocca di tutti. In assenza di contatti con la stampa, l’immagine che ne emerse fu quella di 5 giovani senza senso dell’umorismo, che sopportavano il loro dolore in un silenzio stoico, in breve la definizione dell’enciclopedia del rock di seri.

“Onestamente, rompevamo molto le palle, “dice McCready. “Spero che ci siamo alleggeriti un po’ nel corso degli anni. Siamo piuttosto contenti di dove siamo ora, resi saggi dalla vita, e siamo eccitati, davvero, anche solo dal fatto di esserci ancora. Penso che siamo meno seri di quello che eravamo. Ed io sicuramente lo voglio”

Dietro il velo della sobrietà, come spesso capita, ci furono abbastanza stupidaggini da vecchio rock ‘n’ roll da creare a Mike almeno tanti problemi quanti ne aveva Vedder.
Su chi fosse il tipo più da feste quando la band è decollata, il chitarrista non ha esitazioni a confessare.

“Oh io, di sicuro. Sono sobrio da quasi tre anni ora, ma sono passato attraverso a tutti i casini. Ho fatto tutte le cose che hai sentito, bevevo troppo. E’ stato divertente per un periodo, poi mi è scappato completamente di mano. Sono stato vicino all’ammazzarmi alcune volte, con le pillole e cose così . Ero entrato con tutto me stesso nello stile di vita del rock, e alla fine l’unica cosa che fa è ucciderti. Così non lo raccomando a nessuno. Voglio dire, alcune persone riescono a gestirlo. Io no. Sono sobrio ora e molto felice. Non sbaglio le note, non mi dimentico gli intro, non salto per il palco. E va sempre meglio.”

Sfortunatamente, prima è diventato molto peggio. La disperazione immaginata dei primi anni novanta è diventata insignificante quando 9 fan sono morti calpestati durante il loro concerto al festival di Roskilde in Danimarca nel giugno del 2000. McCready descrive quell’evento come “il periodo più buio, più terribile delle nostre vite”. Una parte del processo di guarigione è stata tornare a suonare dal vivo pochi mesi dopo la tragedia, ma alle loro condizioni. “Non voglio assolutamente più suonare in un festival, punto,” dice. “Non ne vale la pena.”

I tre anni tra Binaural e Riot Act sono stati l’intervallo più lungo, e senza dubbio il più doloroso tra un album e l’altro dei Pearl Jam dal loro debutto nel 1991. Vedder dedica alla tragedia di Roskilde almeno tre brani: Love Boat Captain, il primo singolo I am Mine ed il lamento senza parole di Arc, anche se ha anche un pesce più grosso da friggere, Gorge Bush nella satira parlata di Bu$hleaguer.

Contro tutte le previsioni, o forse proprio grazie a queste previsioni, Roit Act rappresenta una rinascita che colpisce ed un nuovo impegno per una band che ha avuto la sua buona dose di dolori. Sono pronti i piani per un album di B-sides quest’anno, e sono state annunciate 50 date americane dopo la partenza australiana.

Qual è il segreto di questa resurrezione?

“Penso che fossimo semplicemente eccitati di rivederci. Perché non eravamo stati insieme per due anni e mezzo,” dice McCready. “E’ cominciata nel momento in cui ci siamo incontrati. Ognuno di noi è entrato nello studio a Seattle con cinque o sei pezzi che si sono unite facilmente. E’ stata una sensazione di ritorno a casa, fare le stesse vecchie battute, giocare di nuovo a ping pong…”

Battute? Ping Pong? Chi è il campione?”

“In questo momento? Devo dire che è probabilmente Eddie.”

Hmmm. Sembra che i ragazzi staranno bene.

Intervista ai Pearl Jam
Di Cameron Adams
 | Febbraio 2003

Cameron Adams parla con i Pearl Jam di democrazia, guerre nel deserto e del futuro.

La gente cerca nelle canzoni di Riot Act la vostra dichiarazione sull’11 settembre. La troveranno?
Eddie Vedder: Il momento più difficile quando abbiamo scritto le parole per questo album è stato che c’erano tante cose nel mondo di cui parlare. Dovevamo riuscire a farle stare in qualcosa di corto e… come una canzone e fare in modo che avessero un impatto di un certo livello. È stato bello buttare fuori dalla mia testa alcune di queste cose. È stato terapeutico perché quegli argomenti non erano su di me. È stato come avere un posto dove mettere la tua interpretazione della situazione, semplicemente come farsi una nottata di chiacchiere con qualche bottiglia di vino.

La canzone Bu$hleaguer sembra essere la vostra dichiarazione sul presidente Bush, no?
Vedder: Ecco, è un po’ pericoloso. Potrebbe essere… non è solamente lui. Non so nemmeno cosa dire a proposito di questo. Mi ha dato forza sentire Howard Zinn, un professore che prese parte alla disobbedienza civile negli anni sessanta che ha scritto un libro che si chiama “Non puoi essere neutrale su un treno in movimento”. Lui dice che devi avere deòòe opinioni: non puoi venire etichettato come antiamericano o non patriottico se critichi il tuo governo. È proprio questo che definisce la democrazia. Mi sento come se stessi prendendo parte al processo democratico. Devi spalmarlo sulla musica, è un buon metodo per dare informazioni che possono portare ad un dibattito onesto.
 

Jeff, hai disegnato per il fanclub gli artwork per il singolo e sembravano la tua dichiarazione sulla guerra.
Jeff Ament: Sì, avevo avuto un’altra idea che poi non è stata usata. Era la prima pagina di un quotidiano che diceva”Bush annuncia la guerra” e stavo per farci sopra una c*g*t* e fotografare il tutto. È così che mi sono sentito. Che cazzata spendere fantastilioni di dollari e uccidere migliaia di persone per bombardare il deserto. Che spreco.

Per quello che riguarda la stesura dei testi, i Pearl Jam sembrano molto democratici.
Jeff: Questo aiuta la salute di ogni gruppo, specialmente quando ognuno scrive. Quando Sting parla del perché i Police si siano sciolti, dice “gli altri del gruppo decisero di scrivere i testi anche loro. Io ero l’unico che li scriveva veramente”. Ora è noioso. Ci sono una o due canzoni buone in ogni album e il resto è semplicemente noioso, indiscutibilmente Sting.
 

Sembra che voi abbiate un legame molto speciale con i vostri fan, che mi dite degli omaggi per i fan, i bootleg
Vedder: Sono orgoglioso di questo. È bello sentire quanta gente ha sentito qualche amico o addirittura i mariti o le mogli fare apprezzamenti su di noi. In qualche modo è una delle cose più importante che devono venire fuori da tutta questa cosa. 

Si è parlato dell’album di rarità dei Pearl Jam. C’è tanta roba inedita?

Stone Gossard: Beh, ne abbiamo una lista lunghissima e stiamo cercando di accorciarla. Ci sono singoli natalizi, b-sides uscite in Europa e forse 8 o 9 canzoni inedite.
 

E che mi dite di un BEST OF?
Ament: Penso che il BEST OF arriverà quando saremo finiti come gruppo.

Pensate al futuro dei Pearl Jam?
Ament: Meno ci pensi più probabilità hai di averlo, un futuro.
Matt Cameron: La durata di in gruppo è qualcosa di limitato. Se riesci ad andare indietro di 10 anni stai facendo qualcosa di giusto.

Vi rendete conto che sono passati 12 anni dal vostro debutto con Ten?
Ament: Quando guardo le foto del tempo mi sembra un secolo fa, eravamo dei ragazzini; se inizi a pensare a tutto quello che abbiamo fatto negli ultimi 12 anni, sembra una vita intera.

Come band non sembrate avere gli stessi problemi col successo come i membri degli U2…
Cameron: Riusciamo a passare inosservati. Ed è un po’ riconoscibile.
Ament: Quando andiamo nei club con Ed provo un forte senso di sicurezza. Mi sento come se dovessi badare a mio figlio. Tiro fuori gli scudi. È semplicemente un istinto. La gente lo guarda e cose del genere

Questo album è l’ultimo sotto la Sony?
Ament: Ehm. Ne abbiamo parlato molto. Stiamo specificando delle cose ora. Vogliamo un fetta più grande della torta, vogliamo libertà assoluta. Abbiamo molta libertà ora ma vogliamo fare uscire qualcosa quando vogliamo, per il fanclub, e più possibilità. Valuteremo tutte le opzioni e vedremo chi ci darà più libertà. Comunque quando firmammo il contratto per sette album pensavamo che non li avremmo mai fatti tutti. È bello essere arrivati fino a qui.
Cameron: Le etichette sono lì per sfruttare e fare soldi. Per loro rilassarsi e pensare ‘questa band sa cosa sta facendo’ è raro.
 

È spaventoso pensare che avete venduto 30 milioni di album solamente negli Stati Uniti?
Ament: È quella la cifra? È pazzesco. Perché non ho più soldi in banca allora? Trenta milioni per 15$ è una cifra pazzesca. Pensala così e sei stato truffato!

È stata dura sopravvivere al successo immediato?
Gossard: Non riesci nemmeno a realizzare cosa sta succedendo, è un sogno. Sei lo stesso gruppo, fatta eccezione per il fatto che c’è gente appostata fuori dalla casa del cantante come se fosse un santuario. Questo è stato uno dei motivi che ci ha fatto decidere di non fare promozione. Puoi anche decidere di fare pezzi un po’ più di sfida o spigolosi che non rientrano esattamente in quello che la gente si aspetta da noi.

Vi sentite a vostro agio con questo livello di successo?
Gossard: Siamo carichi. La solidarietà nel gruppo è un sostegno perenne. Ci conosciamo da anni, ci vogliamo bene, ci piace suonare le canzoni di tutti noi. È come una coppia di coniugi che guardano tutta la strada che hanno fatto e che si amano ancora. L’unica differenza è che stiamo parlando di 5 uomini un po’ pelosi.
Mike McCready: Un po’. Io ho fatto un po’ di elettrolisi (distruzione di peli con trattamento diatermico (n.d.boo.)). Sulla schiena.

Non siete il genere di band che si sente obbligata a suonare tutte le hits a ogni show?
Gossard: Abbiamo passato un bel po’ di tempo senza suonare Alive e Even Flow. Anche Corduroy.
McCready: Alive è divertente da suonare, soprattutto quando non la suoniamo per un po’ e la folla inizia a cantarla. E poi mi piace il mio assolo.

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Pearl Jam – Circus Of Circumstance 
Intervista ai Pearl Jam
Rip It Up Magazine 
| Marzo 2003

Traduzione a cura di Angpo.

Il sole di Seattle, che splende sul vialetto di ciottoli che porta allo studio dei Pearl Jam, non è abbastanza intenso per illuminarne l’interno. Casse accuratamente etichettate sono accatastate fino al soffitto, gli strumenti sono allineati lungo i muri, e un mobile particolare abbellisce ogni angolo dell’accogliente studio. I divani nella cucina sono resi morbidi dall’uso, e non c’è neppure l’ombra di un eco nell’aria. Non c’è nulla da fare in questo spazio tranne che creare, e i cinque membri di questo misterioso, enigmatico grupppo lo hanno fatto per anni. Il loro nuovo progetto è un testamento pieno di sentimento dell’unificazione di grandi menti, del talento innato, e della consapevolezza sociale – oltre i muri che si sono costruiti attorno nel falso e cattivo mondo dell’industria musicale.

Spesso non capiti e sempre al di sotto dei radar, gli ideali e l’etica personale dei Pearl Jam hanno provocato più discussioni che alcuni degli album che hanno fatto uscire nei loro 10 anni insieme. Dalla molto pubblicizzata battaglia contro Ticketmaster, al loro rifiuto di fare video e di prestarsi a promozioni eccessive per i loro album, i fan hanno tutte le ragioni per amarli, ed i media trovano le ragioni per criticarli.

Il sogno del dissidente

Il gruppo è stato lontano dalla luce dei riflettori per un paio d’anni, così ci sembra naturale voler riempire qualche spazio bianco della loro controversa e raramente pubblicizzata carriera. Dopo aver perso la battaglia legale contro Ticketmaster, i fans si sono domandati come mai non avessero ricevuto più supporto dagli altri gruppi, che avrebbero facilmente potuto combattere insieme a loro una battaglia di cui tutti, probabilmente, avrebbero beneficiato. Il silenzioso sguardo fisso di Eddie Vedder suggerisce che sappia ciò che sta per arrivare, e i suoi occhi blu ardesia sottolineano ogni parola che gentilmente dice. “Pensavo che più persone ci avrebbero aiutato, all’inizio molti ci dissero che l’avrebbero fatto,” dice tranquillamente. “Ci fu chiesto dal dipartimento della giustizia di partecipare – non l’abbiamo iniziata noi – ci fu chiesto da loro, a molti altri fu chiesta la stessa cosa e inizialmente accettarono, ma poi si tirarono indietro. A quel tempo il problema era il ricarico sui biglietti – aveva un effetto sul modo in cui i biglietti venivano venduti, e questo almeno ha fatto in modo che la gente si rendesse conto che c’è un ricarico sproporzionato su ogni biglietto che compra, forse persino di 4 dollari su un biglietto da cinque.

”Penso che ci siano stati alcuni cambiamenti,” continua. “Ma ora penso che abbiamo qualcosa di diverso – c’è una società che è proprietaria degli impianti, dei promoters, e delle stazioni radio. Ora non sono così preoccupato per quello che possono fare ai prezzi dei biglietti, non avendo concorrenza – sono più preoccupato che possano decidere quali concerti permettere – del modo in cui possono decidere quale musica ascolteremo – e che lo possano decidere senza ascoltare nulla che sia un minimo strano o che sia qualcosa di diverso… non lo so. Aiuteranno qualcosa che è controverso? Penso che questo crei un ambiente dove è possibile correggere e censurare la musica che poi uscirà.”

L’uomo dei Pearl Jam decise molto tempo fa che loro non si sarebbero traformati un una macchina da marketing. Decisero di stare lontani dai riflettori, e anche con un contratto con una major sono riusciti a fare a modo loro. Un certo risentimento per essere stato detto loro che avrebbero dovuto “riconoscere il loro ruolo” come band di successo li ha portati ad inseguire un equilibrio tra gli affari e l’arte.

“Ci avrebbe potuto far implodere,” spiega un allegro, ma momentaneamente serio Mike McCready. “Le vendite avrebbero potuto essere maggiori, ma ciò sarebbe andato a discapito della salute del gruppo.” Stone Gossard annuisce e continua. “Essere passati per tutto questo senza fare video, avendo fatto quella scelta, e poi essere ancora qui 10 anni dopo, più in salute che mai – è confortante. Anche se abbiamo fatto alcune scelte che hanno influito sulle nostre vendite, l’abbiamo fatto per i giusti motivi.”

Il bassista Jeff Ament sorride timidamente, aggiungendo che le pressioni subite per fare video sono state la sfida maggiore. “Penso che la nostra natura ci spinga ad accalorarci ancora di più quando qualcuno tenta di dimostrare il potere che ha su di noi.”
Matt Cameron, il pezzo finale della rotazione dei percussionisti del gruppo, pensa che l’approccio dei Pearl Jam alla loro carriera debba essere un’ispirazione: “Penso che se più gruppi prendessero al stessa strada dei Pearl Jam per quanto riguarda il controllo reale, ci sarebbero gruppi molto migliori. Penso che l’aver avuto successo abbia consentito a questo gruppo di avere un certo controllo perché l’etichetta discografica sapeva che comunque i Pearl Jam avrebbero venduto una certa quantità di dischi, ma ci sono un mucchio di gruppi che semplicemente si piegano quando c’è di mezzo un contratto discografico. Ci sono altre strade che puoi battere oltre all’avere semplicemente un contratto.”

Jeff si associa rapidamente al pensiero di Matt. “Quando Stone e io eravamo nei Mother Love Bone eravamo eccitati di avere un contratto, e per un po’ abbiamo seguito le regole – e dopo essere passati attraverso tutto quanto ci siamo detti ‘non faremo mai più una cosa del genere. Abbiamo speso una quantità pazzesca di soldi per qualcosa che non eravamo realmente.”

Eddie elabora il pensiero dei suoi compagni. “L’unica cosa che ha influenza sulla musica è quanta gente l’ascolta. Ovviamente se è in rotazione su MTV più gente l’ascolterà – voglio dire, molta più gente ha sentito Jeremy di quanta abbia sentito Wishlist o Evolution, ma noi non la pensiamo in questo modo. Noi abbiamo fatto uscire i nostri dischi con un’etichetta con cui ci troviamo bene. Li rispettiamo per quello che fanno, rispettiamo quello che è il loro lavoro – non usciamo dalla nostra strada solo per farli incazzare o cose del genere – ma diventa una cosa che riguarda più tu come persona che come musicista.”

Il gruppo sembra essersi fermato nella sua ricerca di una vita tranquilla. “Hanno detto che una volta che la tua faccia è in televisione devi rinunciare ad un pezzo della tua privacy e della tua umanità,” dice Eddie. “In un certo modo noi ce le siamo riprese. Abbiamo provato a riavere indietro un po’ del nostro anonimato, abbiamo avuto un certo successo nel sabotare la nostra carriera, almeno dal punto di vista della produzione.”
Ride e continua: “Alcune persone più ciniche di noi hanno detto che nessuno decide di rinunciare al successo di propria spontanea volontà, ma io credo che noi l’abbiamo fatto, ed è bello. Ci sono molti modi in cui stare in un gruppo, e io sono felice di come è andata a noi. Voglio bene a questi ragazzi, sai. E anche a tutto il gruppo che ci segue e a tutta la gente che ci ascolta.”

Sotto l’influenza

Quando si tocca l’argomento degli imitatori dei Pearl Jam, un mormorio si leva nella stanza. I media hanno criticato duramente i cantanti di Creed, Nickelback e di altri gruppi per aver copiato lo stile vocale di Eddie Vedder, ma i Pearl Jam riescono a ricordare quando anche loro non erano accolti molto amorevolmente.
“Eravamo accusati di essere venduti, o di non essere vero grunge,“ dice Stone. “Questo genere di cose era doloroso, perché come gruppo cercavamo solamente di fare qualcosa di vero. Ci portavamo dietro tutte le nostre influenze, forse anche più di ora, c’era la percezione che quando facevamo qualcosa questo fosse calcolato – è stata un’esperienza dura. Ci saranno sempre gruppi che sono distintamente influenzati da altre band. Non ti preoccupi di quello che sta facendo qualcun altro. Noi dobbiamo solamente essere il gruppo migliore che possiamo. Stiamo ancora lavorando su quello che stiamo facendo, e preoccuparsi di quello che qualcun altro sta facendo, perchè a qualcuno piace e se stanno prendendo qualcosa da qualcuno – è solo una perdita di tempo.”

Le pupille di Eddie diventano della dimensione di un piattino e la sua bocca disegna un ghigno di divertimento contrariato. “Se siamo d’accordo che copiano il modo in cui io canterei – che non è neppure la mia opinione, ma l’ho sentito dire così tante volte da altra gente che, forse un anno fa, ho cominciato ad esserne stufo. Allora ho ascoltato le canzoni, e non mi hanno impressionato un gran che, il che ha aumentato un po’ la mia irritazione. Se ci penso davvero, imitano più il modo in cui cantavo nel primo disco, e credo di essere andato molto oltre quello – ho modificato un po’ il suono della mia voce per trovare il mio vero io. Non assomigliano necessariamente al modo in cui ho cantato negli ultimi dischi, in cui penso di aver trovato davvero la mia vera voce. E penso che prima o poi anche questi tizi faranno lo stesso. A dire la verità non sono troppo scocciato – sono solo i commenti degli altri che mi danno fastidio, il fatto di pensare che io possa aver scritto una canzone chiamata Bitch Witch (strega puttana),” ride.

Anni luce avanti

Il nuovo album ha uno strato di testi sull’altruismo e sulla preoccupazione per gli altri. Mentre presenta una vibrazione di pura integrità musicale. I testi ragionano poeticamente sulla mortalità del genere umano. Eddie è soddisfatto di non aver fatto dichiarazioni pubbliche dopo le tragedie dell’11 settembre, ma ha certamente sentimenti molto forti sul ruolo che gli Stati Uniti hanno avuto in reazione agli attacchi.
“È stato interessante l’anno scorso, quando credevi che esprimere un qualunque dissenso con questa amministrazione sarebbe stato visto come anti-patriottico o anti-americano, ora mi sento un po’ più libero di parlare, non abbiamo rilasciato nessuna intervista ai tempi. Il mio primo istinto è stato ‘noi non siamo i buoni’ – non quando diciamo al mondo come comportarsi essendo una superpotenza. Avresti potuto dirlo il 12 settembre? È stato un anno duro, ma credo che a questo punto tutti noi abbiamo pianto abbastanza – se una fottuta case esplode non cerchi forse di capire il perchè e come sia possibile fare in modo che non accada di nuovo? L’ho già detto – quando Bush si è rivolto alla nazione e ha detto che è successo perché noi non piacciamo alla gente delle altre nazioni a causa della nostra libertà, questa semplicemente è una risposta non accettabile.”

Per quanto riguarda la visione del mondo che risplende in tutto il nuovo album, Stone spiega l’approccio concettuale del gruppo. “Penso che ogni tipo di pensiero consapevole sul mondo sia negativo. Penso che il naturale processo creativo passi attraverso la perdita di questa consapevolezza. Penso che tutto il resto sia una distrazione. È una realtà di cui hai sentito parlare e che hai affrontato, e penso che le persone capaci di fare questo siano quelle che possono bloccare questa consapevolezza e continuare ad attingere a quella stessa energia che avevano quando hanno cominciato a suonare – quella specie di sensazione magica dentro di te che puoi legare ad una qualche energia e creare una connessione che sia spiritualmente importante.”

Tutti i membri hanno suonato con altri gruppi, ma Matt dice che c’è qualcosa di speciale per lui nell’essere nei Pearl Jam. “Con questo gruppo penso di star dando molto – canzoni, idee musicali – sembra che ci sia davvero una buona chimica. Come musicista in ogni situazione tenti sempre di portare le tue cose migliori. Conosco questi ragazzi da molto tempo, così non è stato come arrivare dal nulla. Eravamo tutti amici e questo ha aiutato. Ho contribuito di più rispetto all’ultimo disco perché volevo davvero che questo fosse il miglior disco possibile – non voglio dire che non ho lavorato nell’ultimo – ma con questo mi sono davvero sentito nel gruppo.”

Infrangere le regole

Indipendentemente da quello che diranno i critici, i Pearl Jam continueranno a fare le cose al loro ritmo, nel loro modo. Hanno detto chiaramente che apprezzano sinceramente i loro fan, ma sperano che se arriveranno nuovi fan, questo succederà per la loro musica e non a causa di un potente marketing. “Se arriveranno è fantastico,” dice calmo Eddie, “se non arriveranno, semplicemente non possiamo pensarci molto – a come vendere a una certa fetta demografica. Non siamo proprio capaci di fare questo. Ogni volta che si parla di questo, è troppo… “ fa una pausa e ragiona su alcuni pensieri.

“In pratica facciamo alcune interviste solo per far sapere alla gente che sta uscendo un nostro disco, e questo è abbastanza. Se la gente è interessata, se l’hanno saputo da qualche amico, se vogliono fare copie del disco da dare agli amici, grande – se va così a noi va bene. Penso che ci sia un modo naturale per raggiungere un certo numero di persone. Ci sentiamo bene solo a fare una certa quantità di promozione per far uscire il disco. Ci vuole molto per tenere il passo dei gruppi spinti dal marketing – e noi semplicemente non possiamo farlo. Ci cambierebbe come persone.”

“Penso che se una ragazzina ascolta Britney Spears ora, almeno sta ascoltando della musica. Esattamente come io ascoltavo i Jackson 5 – Sono passato dai Jackson 5 a James Brown a Sly and the Family Stone a Bob Dylan ai Beatles agli Who ai Ramones ai Sonic Youth ai Fugazi. Cresci e maturi, e i tuoi gusti con te. Forse in un certo momento qualcuno che sta sentendo della musica pop inciampa su qualcuna delle idee espresse in questo disco, e questo è grande.”

Considerando le influenze combinate, le esperienze condivise, il vasto spettro di gusti, la profondità delle percezioni, e il genuine affetto che li lega, non è un mistero che i Pearl Jam si siano trasformati in una squadra così coesa. I cinque uomini hanno affrontato le tempeste della loro carriera insieme, e stanno cavalcando verso il tramonto del loro contratto discografico da una grande altezza. Un futuro dopo i documenti legali che hanno tentato di influenzare la loro arte non è stato argomento di conversazione, ma silenziosi sorrisi ci assicurano che ci sarà ancora vita dopo il grande successo.