Eddie Vedder intervistato da Tim Robbins

Hobo magazine | Gennaio 2007

 

Tim Robbins — Ciao, parla Tim Robbins 

Eddie Vedder. — Hey, buongiorno.

— Ci stanno registrando in questo momento?

— Sì, penso che ci stiano registrando, cosa non inusuale per le nostre conversazioni ( ride )

— Bene, vediamo, cominciamo dall’inizio .

— Da cinque miliardi di anni fa??

— Da cinque miliardi di anni fa. Quando la vita così come la conosciamo cominciò a esistere, che tipo di musica ascoltavi tu? 

— Musica sottomarina (ride) . Per lo più molti gorgoglii. Sì, le composizioni ritmiche della terra, i suoni delle bolle che salivano sulla superficie dell’oceano…

— Sai con che tipo di forma di vita ti manifestavi a quell’epoca? 

— Penso che fossi un trilobita. Penso che la maggior parte di noi lo fosse, forse. Non lo so, è che faccio questi sogni in cui vorrei avere ancora il guscio (ride) 

— Anch’io ho fatto quel sogno. Una copertura protettiva sarebbe pratica in questi giorni. Quindi ti sei evoluto attraverso i milioni di anni della storia della terra, e quando sei arrivato all’incirca, diciamo al 1975/76, che tipo di musica ascoltavi ?

— Beh, il 1978 me lo riesco a ricordare bene perchè era l’anno in cui uscì “The Last Waltz” su The Band [Vedder si riferisce al film “L’ultimo valzer”, diretto da Martin Scorsese, che documenta l’ultimo concerto dello storico gruppo The Band, n.d.t.] . Prima di allora vivevo in una casa comune, ‘Chicago Lake Bluff Home for Boys’ o qualcosa del genere. Avevano un giradischi nel seminterrato. La maggior parte dei ragazzi erano più grandi, e di diverse origini culturali, ragazzi neri, irlandesi, chiunque. C’erano molte cose della Motown, da Sly and the Family Stone fino a James Brown. Ero attratto dai Jackson 5 perchè mi potevo relazionare alla loro età – non alle loro capigliature afro – avevo l’invidia per l’afro, a quel punto. Ricordo che mio zio mi portò a vedere “The Last Waltz”, e c’era così tanto in quelle due ore di film, gente come Dylan, Neil Young, Ron Wood, Joni Mitchell, Van Morrison e Muddy Waters, quindi mi piantò dentro molti semi. C’erano tutti i tipi di piccole deviazioni nel blues ed era pieno ed emozionante. Potevi sentire l’emozione perchè era il loro ultimo concerto e, sai, Scorsese lo rese in modo grandioso. Lo vidi in un teatro praticamente vuoto a Chicago. Avevo tredici o dodici anni.

— Suonavi all’epoca?

— No, ma volevo suonare. Sto cercando di pensare alla cronologia perchè ricevetti la mia prima chitarra per Natale quando avevo dodici o tredici anni. Il mio compleanno è appena prima di Natale, così costrinsi i miei a riunire i miei regali nella forma di una chitarra elettrica. Loro pensavano che fosse meglio prendermi un’ acustica per vedere se mi piaceva. Penso che fosse l’inverno dopo aver visto il film.

— Che tipo di chitarra ricevesti? 

— Era una copia di una Memphis Les Paul. Risultava abbastanza goffo per un ragazzino della mia corporatura a quel tempo. Finchè l’anno successivo, all’improvviso, un giorno l’ho presa in mano e l’ho sentita come un amico. Mi andava bene, sai?

— OK, andiamo un po’ avanti. Quando ti sei trasferito a San Diego?

— Beh, vediamo, facevo avanti e indietro, da ragazzo. Sono cresciuto a Chicago, mi sono trasferito a San Diego quando avevo circa 10 anni e ho vissuto lì per un po’, poi sono tornato a Chicago quando avevo tipo sedici o diciassette anni. Poi mi sono di nuovo trasferito a San Diego verso la fine degli anni ’80.

— Oh, quindi alla fine degli anni ‘80? 

— Sì, quindi ero lì da ragazzo. Non sono riuscito a finire le scuole superiori.

— E’ stato agli inizi degli anni ’80 che il punk rock cominciò ad avere successo negli hinterlands. Eri consapevole di quella musica, quando cominciò?

— Penso che avessi una specie di gusto ‘mainstream’ di periferia. Fu solo quando vidi “Rock ‘n’ Roll High School” [film del 1979 con i Ramones, n.d.t.] che ebbi il mio primo sentore che c’era un posto al mondo per i disadattati. Se ci ripenso, mi ci volle un po’ prima di ascoltare i Sex Pistols. Mi ricordo di aver visto suonare Elvis Costello al Saturday Night Live e sembrava intenso e come arrabbiato. Sai com’è lui, non sembra il tipo di persona che ti può prendere a calci in culo, ma il suo atteggiamento (ride)… non vorrei ritrovarmi contro di lui.

— Quindi fino a che età sei rimasto a Chicago? 

— Probabilmente ci siamo trasferiti sulla costa occidentale quando avevo circa otto o nove anni.

— No, intendo dopo .

— Oh, dopo. Beh, non fui in grado di arrivare al diploma. I miei genitori si separarono e io stavo lavorando. Vivevo con un paio di ragazzi, cercando di guadagnarmi da vivere in qualche modo, suonando in gruppi e cose così, e poi tornai a Chicago nell’82 o ‘83. Fu allora che cominciai ad andare a vedere i gruppi dal vivo, perchè avevo più accesso a questi vivendo in città. Vidi gli X per la prima volta solo allora, nel periodo di “More Fun in the New World”. Mi procurai la carta d’identità falsa di qualcuno ed era una grande cosa perchè altrimenti avrei dovuto aspettare altri tre anni prima di diventare maggiorenne e poter entrare in quei posti. Quello è stato probabilmente il mio avere più prezioso in quei tre anni.

— E quali altri gruppi hai visto? 

— Beh, mi sembrava ogni cosa. Dai Firehose ai primi Peppers…

— Hai visto i Black Flag o i Fear, o una di queste? 

— No, non ho visto nessuno di questi gruppi. Penso che se fossi cresciuto in centro, a San Diego, avrei avuto accesso a loro. Vivevo la mia vita seguendo la bibbia degli Who. Quello era come il mio fulcro principale. Ascoltavo e riascoltavo i loro dischi, ognuno di loro. Credo che finalmente li vidi dal vivo nel 1980 e questo mi cambiò abbastanza la vita.. non ho mai avuto accesso a gruppi come i Fear o i Black Flag. Una volta stavo parlando con Thurston Moore [dei Sonic Youth] a proposito di questo. Lui pensava che avessi l’età perfetta per essere uno skate punker e io gli ho detto una cosa tipo, ‘beh ai tempi indossavo una cravatta da Longs Drugs ( ride ), lavorando trenta ore a settimana, e poi tornavo a casa e ascoltavo gli Who’. Avevo la mia giacca militare e il mio skateboard, ma era il mio mezzo di trasporto. Ero più per Springsteen e per roba tipo cantautorato. Il lato punk aggressivo era come latente in me.

— Ho visto un documentario la scorsa notte, ecco perchè ti chiedo queste cose. Si intitola “American Hardcore”. E’ un nuovo documentario che parla di tutti questi gruppi che c’erano a quel tempo, e mi sono reso conto di averne persi anch’io la maggior parte . Ero a Los Angeles a quel tempo, quindi ho visto gli X e i Fear e…

— I Germs?

— I Germs. E penso di aver visto i Suicidal Tendencies ad un certo punto. Ho visto i Fear, i Black Flag e Jello Biafra. Stavo realizzando la scorsa notte che ho visto un mucchio di altri gruppi, ma mi sono completamente perso i Bad Brains. Mentre ascoltavo la loro musica la scorsa notte, mi dicevo, questi ragazzi sono grandi.
Era un documentario interessante perché parlava della relazione tra la musica e la politica a quel tempo. Di come c’era una reazione e di come c’era una certa estetica. E tutti questi gruppi hanno come fissato il tono per il futuro. Nessuno li capiva allora e ovviamente non c’era alcun passaggio radiofonico, per nessuno di loro, ma non è questo il punto.

— Wow. Nomini questi gruppi e sembra che siano passati secoli da quando ho visto chiunque…

— Giusto. 

— Sai, sono stato abbastanza fortunato da vedere i Pretenders e i Clash nelle loro formazioni originali. E’ incredibile come, in particolare nel caso di Jello, puoi sovrapporre quello che scriveva allora a quello che sta succedendo ora. E’ ancora perfettamente attuale. E’ disgustoso pensare a come il tempo non sia cambiato abbastanza o che siamo tornati indietro a quei tempi.

— Sì. Non volevano ascoltare allora e non vogliono ascoltare adesso. Nessuna sorpresa. Ma ti dovrei spedire questo documentario, è abbastanza interessante. Sai, alcuni di questi ragazzi avevano tipo quattordici o quindici anni quando misero su i loro gruppi. Roba davvero formidabile.
Quindi ti ho già detto cosa ne penso del vostro nuovo disco, ma te lo ripeto: penso che sia il miglior disco che voi ragazzi abbiate mai fatto. E l’ho riascoltato la notte scorsa ed è davvero, davvero grande. Penso che dovrei chiederti di parlarmi della sua genesi e di quanto ci abbiate lavorato su. Quali sono le idee e l’estetica dietro la sua realizzazione? Come ti senti al riguardo…

— Per quanto riguarda la stesura dei testi, mi sono trovato a gravitare verso un punto di vista più aggressivo e quello era il momento giusto e sembrava accordarsi all’atmosfera dell’America e a come mi sentivo personalmente. I testi sono quasi del tutto basati sull’osservazione e penso che questo sia stato un metodo di approccio salutare perchè a questo punto, non vuoi aggiungerti all’inquinamento sonoro solo per rabbia e indignazione morale. D’altra parte, ho pensato che fosse completamente superfluo aggiungerci a qualsiasi tipo di arte per intrattenimento, o a qualcosa che avrebbe solo facilitato vivere di più nel diniego.

 

— Giusto. 

— Mi sembrava che un posto da cui poter osservare fosse una buona zona neutrale. E molte canzoni – c’erano sei o sette versioni per ogni canzone – era come se mutassero da una cosa in un’altra. Continuavano ad andare in questi luoghi differenti. Alla fine abbiamo scritto qualcosa come ottanta canzoni per finire ad averne tredici. Doveva terminare, doveva finire, e doveva cessare oppure… non so se capita anche a te quando scrivi, ma queste cose ti occupano dello spazio prezioso nella testa e sono sempre lì e ti mangiucchiano, queste piccole zecche di ispirazione. Di solito ci mettiamo circa tre mesi a fare un disco, quindi sai che fa parte del processo. Ma quando va avanti per quattordici mesi, comincia a diventare un biglietto per la follia.

— Sì, perchè poi cominci a fare ipotesi su ipotesi oppure ad ultra analizzare qualcosa che non ha bisogno di essere ultra analizzato. Per me, la cosa migliore da fare quando scrivo una sceneggiatura è ascoltarla e poi cambiarla. In fin dei conti, come una canzone, non sai mai cosa ne uscirà finchè non la metti giù e la ascolti. Ho ragione? 

— Sì. Il metodo che utilizzo coi registratori e le macchine da scrivere consiste nello scrivere, registrare e ascoltare. Mi fumo un pacchetto di sigarette, la ascolto cinquanta volte e torno indietro. Può essere la settima volta che riscrivi la canzone ma poi ti viene una frase e ti dici ‘eccola, questa è la frase’, e così dopo aver lavorato su quella canzone per due mesi, all’improvviso quell’unica frase mi permette di scrivere l’intera canzone. Usando solo quella frase, la nuova frase, posso poi scrivere la canzone anche in otto minuti.

— Giusto. Ma a volte vengono fuori da sole. Non richiedono tutte dei mesi, vero? 

— Ce n’erano un paio, solo una o due, che sono semplicemente venute da sole. E per me, quello è il momento in cui il registratore diventa come il mio migliore amico e la mia cassa di risonanza, perchè quando questo succede devo prendere il tutto e fissarlo molto in fretta. E’ stato interessante perchè abbiamo finito un paio di settimane fa e ho avuto l’opportunità di prendermi una settimana libera e ho pensato ‘Wow, questa è la prima volta che non devo portarmi dietro la mia valigetta con il registratore’. Poi ho pensato ‘Me la porterò dietro lo stesso perchè abbiamo lavorato insieme per l’ultimo anno e mezzo ed è diventata come la mia ragazza, quindi forse dovremmo farci una vacanza insieme’. ( Tim Robbins ride ). Quando scrivo alcune canzoni… c’è una specie di luogo in cui l’arte, o la creazione dell’arte, esiste, ed è un posto che sta tra la realtà e lo spazio. A volte raggiungerlo, raggiungere quel posto esatto nell’universo per creare queste cose, richiede del tempo. E’ solo una questione di trovare quel luogo da cui poi poter creare.
Penso che anche quando mixiamo il disco raggiungiamo quel luogo. Penso che sia come il luogo che visitavi da ragazzo, quando ti mettevi le cuffie, al buio, con gli occhi chiusi. C’è come una specie di fulcro che si può trovare proprio di fronte a te oppure un milione di miglia lontano o da qualche parte nel mezzo. E raggiungere quel luogo, noi lo facciamo in modo che le persone, quando ascoltano il disco, capiscano che lo abbiamo assemblato con loro in mente. Non molte persone ascoltano la musica in questo modo, e chi lo sa come questa generazione ascolta i dischi al giorno d’oggi. Si scaricano una canzone dal computer. Noi facciamo ancora dischi per gente che li ascolta dall’inizio alla fine, con gli occhi chiusi, in quel luogo.

— Giusto. 

— In realtà è chiedere molto, ma se la gente lo ascolta in quel modo, beh, quello è ciò per cui è stato creato.

— Beh, è un po’ lo svantaggio del progresso tecnologico dei CDs e dei computers. Rende possibile passare alla traccia successiva o saltare una traccia se non ti piacciono le prime due frasi di una canzone. Ora siamo nel mezzo di questa tecnologia che è così veloce e immediata, ma allo stesso tempo ci porta via la gioia di mettere la puntina sul solco e ascoltare il lato di un disco. Sai quando ascolti un intero album di qualcosa e non sembra davvero un album, sembra più una raccolta di canzoni, ma non un album. Sai di cosa sto parlando. Poi recentemente ho preso ‘Tumbleweed Connection’ [di Elton John]. Avevo ascoltato un paio di canzoni ultimamente e mi ero dimenticato di come suonasse il resto dell’album. Così l’ho messo su dall’inizio alla fine e concettualmente, esteticamente, funziona tutto insieme. E’ come una storia, come una sensazione. Ne sono rimasto colpito perchè non l’avevo più ascoltato seriamente come album da quando lo comprai la prima volta, quando uscì nel 1970…

— Uno.

— ‘71. Qualcosa del genere. Magari ascolti ‘Burn Down the Mission’ o qualche altra canzone, ma mi ero dimenticato di che effetto ebbe su di me la prima volta che lo ascoltai come un lavoro musicale, canzone dopo canzone. E c’è anche la pausa a metà. Sai, quella pausa a metà disco quando decidi se se girare lato oppure no – è come arrivare alla fine del primo atto e devi decidere se proseguire fino al secondo atto. 

— Sì, sì. E’ come la fine di un atto in uno spettacolo teatrale, in realtà.

— Sì. E poi il secondo atto ha un suo sentimento. Poi c’era questa cosa forte quando dicevi ‘Voglio ascoltare il primo atto di ‘Tumbleweed Connection’ e poi voglio ascoltare il primo atto di quest’altro album’, e poi avevi tre albums diversi accatastati sul giradischi…

— E’ vero (ride). 

— E poi li giravi e ascoltavi i secondi atti di tre dischi diversi. Questo mi manca. Ho comprato un giradischi recentemente – mi ci è voluto un’infinità per trovarlo – sul quale li puoi accatastare e li fa scendere uno dopo l’altro. 

— Già.

— Ma è così fragile ora, così sensibile, mi fa diventare matto. Devo trovare qualcuno che sappia come ricalibrarlo in modo che possa funzionare meglio.

— Mi ricordo anch’io che quando il secondo disco scendeva, ci impiegava un secondo per aggiustarsi. Sai, per aderire al disco che stava sotto (ride) . Di solito sfruttavo il mio al massimo. Non me lo dimenticherò mai perchè avevo l’abitudine di impilarne tipo sette o otto in cima. E ogni tanto due di loro scendevano. Sai, era come un jukebox a LP in realtà.

— Quindi voi ragazzi farete uscire il disco in vinile?

— Assolutamente sì.

— Bene. 

— Per una qualche strana ragione il vinile al giorno d’oggi costa, sai, trenta dollari…

— Sì, trenta bigliettoni… 

— Ero abbastanza giovane quando presi ‘Tumbleweed Connection’, ma ‘Captain Fantastic’ fu il primo disco di Elton John che ebbi. A quel punto ero solito scegliere i dischi in base al fatto che avessero la copertina apribile o no, perchè sapevo che ci sarebbe stato più artwork dentro e ‘Captain Fantastic’…

— Ohhh… vero! 

— … aveva un sacco di cose. E mi sembrava che se un disco non aveva la copertina apribile, non era abbastanza buono. Sembrava una cosa da quattro soldi (ride) .

— Beh un’altra cosa da dire sugli albums è l’arte che hanno dentro. Possono essere un’opera d’arte. Può essere una cosa interamente concettuale con la copertina apribile che quando la apri ti fa dire ‘Oh mio Dio, guarda quello che c’è dentro’. A volte poi era così fico anche nella copertina interna. C’era davvero parecchio ingegno in queste cose. Ora con i CDs, ho così tante fottute custodie di CD vuote e non ho la minima idea di dove siano i loro CDs (ride). Non ho mai perso un album in vita mia. E’ impossibile perdere un album. Puoi romperli, si rompono in modo fantastico quando odi davvero un album, sai, puoi buttarli contro il muro e vanno in frantumi. Questo è l’altro brivido che manca con un CD, non c’è modo di dimostrare in modo drammatico quanto tu lo odi (ride) . Anche con le cassette, potevi tirare fuori metri e metri di nastro. Mi ricordo una volta che stavo guidando verso il college con Frank, il mio amico Frank, e per qualche motivo stavamo ascoltando i Bread ed eravamo alla traccia otto. Mi ricordo che Frank afferrò il nastro, lo ruppe e lo gettò fuori dal finestrino! Disse, “Non voglio mai più ascoltare quella merda” (ride). Facevamo anche delle feste per distruggerli. Prendevamo tutti i dischi vecchi – sai, siccome era il 1977 ed ascoltavamo punk rock – c’era tutta questa musica che avevamo che andava distrutta. 

— I dischi erano fatti per essere distrutti. Ecco da cosa deriva.

— E’ vero. Non ci ho mai pensato. Ma non sto incoraggiando a distruggere l’arte, sto solo dicendo che, se per qualche motivo uno ha un album di Leo Stayer, non c’è ragione per cui debba occupare dello spazio (ride) 

— E’ molto difficile creare un artwork per CD che possa competere con uno per LP. Ci abbiamo provato un sacco e, sai, la dimensione conta. E’ molto difficile fargli avere quella stessa aria romantica. E’ diverso al giorno d’oggi.

— Un’altra cosa è anche la qualità del suono. Quest’anno, il giorno del Ringraziamento abbiamo avuto degli amici ospiti a cena e ad un certo punto ci siamo ritrovati di fronte al giradischi per circa un’ora e mezza, ad ascoltare albums dei Beatles e altri albums di quel periodo come ‘At Folsom Prison’ di Johnny Cash. Stavamo semplicemente apprezzando la distribuzione stereo, che non assomigliava a niente che avessimo ascoltato da CDs negli ultimi anni. Potevamo forse essere un po’ fatti ma, a prescindere da ciò, apprezzavamo il semplice starcene seduti lì ad ascoltare musica. Quanto spesso ti capita? Sai, sederti e dire, ‘Ascolta questo’. Ascolta come esce la musica dall’altoparlante a sinistra, e come dall’altoparlante a destra. Ti trovi ad una distanza equidistante tra gli altoparlanti e ascolti quello che succede. Penso che con i CDs non ci sia una giusta distribuzione del suono. 

— Senza menzionare la differenza tra alti e bassi, e il calore del suono. Stavo ascoltando Klaus Nomi, che ha questa incredibile voce alta. Avevo alcuni CDs, ma c’erano un paio di dischi che dovevo ancora trovare. Me li sono fatti spedire in vinile dalla Francia e li ho messi su ed è stata un’esperienza di ascolto completamente diversa. Su CD la sua voce non aveva la stessa qualità. Il picco alto di quello che cantava era maltrattato dal suono metallico o dal suono acuto che il formato digitale crea. Penso lo avrebbe irritato sentire la sua voce su CD.

— E poi c’era tutta questa cosa relativa alle cassette mix.. ti ricordi… ci voleva un po’ di tempo. Dovevi tirare fuori l’album, metterlo sul giradischi, testare la cassetta per vedere com’erano i livelli, se combaciavano con quelli della canzone precedente…

— Pausa e registra, poi fai scendere la puntina…

— Sì, fai scendere la puntina e assicurati che non salti… ci voleva del tempo. Ora ti puoi fare un Cd mix in circa 33 secondi (ride). Lo fai con il tuo Ipod e Itunes – ting ting ting ting ting – è diventato troppo semplice.

— Ora, dal momento che so che si fa così in fretta, quando accade qualcosa che allunga un processo che dovrebbe durare cinque minuti e lo fa diventare un processo di dieci minuti, mi incazzo (ride). 

— Sono stato un fanatico luddista in tutti i miei montaggi. Sono riuscito a realizzare tre dei miei quattro film semplicemente tagliando la pellicola del girato. C’è questa teoria che ho sulle scelte: se puoi fare venti scelte o quattro scelte nel tempo che hai a disposizione, non è meglio farne quattro in modo che tu abbia del tempo per pensare nel mezzo delle quattro scelte? Questa è la mio teoria a riguardo, comunque… non avete registrato in analogico vero? 

— Ad un certo punto tutto finisce su nastro, e poi di nuovo nel regno del digitale.

— Ma lo mettete su nastro? 

— Sì. Gli hard drives del computer e quelle cose creano più tracce tra cui scegliere, ma una volta che abbiamo deciso quella definitiva, finisce su supporto fisico.

— Penso che alla fine ammetterò di dover montare coi computer il prossimo film che faccio, solo perchè sembra che fino ad un certo punto uno ha ragione, ma poi dopo un certo punto diventa solo un matto ( ride ). Un po’ come girare con la carrozza e il cavallo e venire sorpassato…

— Beh, diventa poco sicuro, davvero.

— Esattamente 

— Per il cavallo.

— (ride) Dunque vediamo, oh yeah, World Wide Suicide, Life Wasted, Marker in the Sand e Parachutes… questo fenomenale album è pieno di grandi canzoni. Ma prima di tutto, World Wide Suicide, so che la cosa potrebbe non piacerti, ma potrebbe essere una hit. Lo dico solo perché voglio che venga messo per iscritto.
Ora, tutte le canzoni – parlavi di come tu non volessi unirti al coro di negatività riguardo a cosa sta passando il mondo in questo momento – non penso che alcuna di loro sia negativa. Ma c’è una rabbia dentro. Penso che sia molto diverso dalla negatività ed è una cosa positiva. Come dicevi tu, si tratta di osservazioni sul mondo che ti circonda e di riflessioni. Ma hanno tutte, beh la maggior parte di loro, hanno un reale coinvolgimento in quello che sta succedendo. Non in un modo diretto, non con riferimenti specifici a politici o a nomi, ma di certo sono visivamente connesse a quello che sta succedendo e penso che molte persone lo capiranno e reagiranno. E’ incasinato. Quando dico questo, parlo di osservare dove ci troviamo ora in questo mondo, la nostra posizione in questo mondo, la nostra responsabilità nei confronti di questo mondo, e come ci adattiamo ad esso. Come ci adattiamo a questa violenza, a questa confusione, a questo patriottismo, a questa rabbia… penso che tutto ciò sia riflesso in queste canzoni. Ecco perché lo percepisco come un album, penso. E’ qualcosa che ha un inizio, un centro e una fine. E lungo tutto il suo svolgimento non è nichilista, cosa molto importante. Ha un tono di speranza, anche se le cose sono andate a farsi fottere, c’è dentro dell’ ottimismo. Una sfida più che dell’ottimismo. Tutto è andato a puttane ma non ne farò parte. Seguirò la mia strada. 

— Penso sia stato parte del percorso. Non era una cosa consapevole nemmeno nella fase in cui abbiamo fissato l’ordine delle canzoni, ma è successo questo, comincia parlando del mondo fuori e dell’atmosfera in cui stiamo vivendo. In un certo modo è molto simile a quello che è vivere negli Stati Uniti in questi giorni. E’ come andare in un bar e anche se non fumi, quando torni a casa sei ricoperto del fumo che c’era nel club. Sai che hai addosso questa porcheria, questo residuo su di te, e questo è ciò che si prova a vivere negli Stati Uniti in questi giorni. Per il semplice fatto di vivere qui, torni a casa con questo residuo di guerra addosso. L’energia mentale di essere un paese in guerra. Quindi il disco è come se cominciasse occupandosi di questo, tipo ‘cosa c’è sulla mia pelle? Me lo posso lavare via? E’ nei miei polmoni?’. E verso la fine del disco è più rivolto verso l’interiorità, verso il fare un qualche tipo di ricerca del proprio essere in mezzo a tutto questo. Quindi all’inizio è come se cominciasse proiettandosi verso l’esterno, e arrivato alla fine, all’improvviso ti trovi a fare i conti con l’interiorità. E penso che questo non sia solo simbolico, ma è ciò che davvero accade nella vita di ogni giorno di un Americano. Dai quotidiani alla mattina fino a quando tu e la tua famiglia non andate a letto la notte. Dopo cose come le ultime elezioni, ti veniva voglia di avvicinarti alla tua interiorità e fare i conti con te stesso perchè sentivi che non importava quali tentativi erano stati fatti per influenzare qualche cambiamento positivo, per diffondere un qualche tipo di pensiero progressista e per provare ad educare e ad attivare gli altri, perchè alla fine… c’erano i risultati frustranti delle ultime elezioni. Allora sembrava fosse arrivata l’ora di guardarsi dentro per vedere cosa potevamo fare con la nostra stessa vita e per quelli vicino a noi. Dove potevi sentire davvero di poter portare un cambiamento.

— E in definitiva è stato così incredibilmente frustrante avere questa consapevolezza nelle nostre teste, derivata da varie e legittime fonti, che anche se abbiamo perso le elezioni, non le abbiamo perse. L’idea che ora in America ci sia una tolleranza per le elezioni rubate… quando John Conyers, un deputato del senato degli Stati Uniti, scrive un libro in cui racconta come i voti dell’Ohio siano stati rubati, un libro basato sulle sue scoperte in seguito alle udienze e alle indagini che ha fatto, e questo libro non è recensito da nessun giornale negli Stati Uniti, cominci a realizzare che non solo non c’è alcuna ammissione di scorrettezza, ma che c’è una volontaria negligenza. E quando vivi in un mondo così e realizzi che non puoi fidarti dei giornali per comprendere la realtà, devi aggrapparti a te stesso e a quello che sai essere la verità…

— E fare il tuo personale dovere in modo diligente.

— Sì, e non sentirti come se dovessi essere legittimato da una maggioranza. Devi seguire il tuo personale percorso e penso che questa sia una cosa che sempre più persone stanno realizzando. Comincia a riflettersi in questi sondaggi che vengono fatti. Cioè, c’è una situazione per cui abbiamo un presidente che non piace al 65% della gente, a cui la gente si oppone davvero. E abbiamo un vice-presidente a cui l’88% della gente si oppone. Ha un tasso di approvazione tipo del 12% (ride). 
Ho nella mia testa questo sconvolgente parallelo tra l’America di oggi e la vecchia Unione Sovietica. Sai, tutto, dai Gulags alla gente detenuta senza processo fino ai mezzi di informazione sponsorizzati dallo stato che ti vendono totalmente una guerra basata su bugie (ride). Mi spiace, non so. Di cos’altro ci occupiamo ora? E’ strano parlare così con te…

— E’ abbastanza riservato! (Tim Robbins ride) Cioè, rispetto al solito, non che abbiamo mai detto nulla di indelicato…

— Oh, penso che lo abbiamo fatto.

— E’ che ci andiamo giù pesante in quasi tutte queste cose.

— Beh, sono canadesi. Possono gestirlo.. 

— Sai, è stato interessante andare in tour in Canada [questa volta] perchè non abbiamo fatto avanti e indietro tra i confini [tra USA e Canada] come facciamo di solito quando facciamo dei concerti lassù. Siamo rimasti lassù e abbiamo fatto questo tour lineare del Canada, e dopo circa due settimane ho capito quale grande differenza fosse essere in un paese che non era in guerra. Sai, ci si fa l’abitudine, così come uno si abitua a camminare con un bastone. Ci abituiamo a queste orribili notizie che ci arrivano ogni giorno. Pensiamo a dei modi per vivere le nostre vite. Era così interessante, la differenza. L’aria sembrava diversa. Il modo in cui le persone comunicavano, il modo in cui reagivano l’uno all’altro e l’uno con l’altro. Stavano passando attraverso determinati problemi, questo e quello politicamente, ma sembrava libertà. Sembrava la libertà che noi avevamo ma di cui ci siamo dimenticati.

— Esattamente. E poter dire qual cavolo che ti passa per la testa. Questo è proprio il nocciolo del discorso che stiamo facendo. Non è questa la libertà? Anche quando le persone dicono cose che non ti piacciono, sai, è un loro diritto. E noi in questo momento abbiamo un’idea così pre-confezionata e pre-fabbricata di democrazia e di libertà, che fa paura. Ma mi chiedo cosa ci vorrà per scuoterci e riportarci all’idea che noi abbiamo una voce e la responsabilità di usare quella voce per [eleggere] un governo che si suppone si controllato dalle persone. 

— Beh, anche questo è interessante. Se tu guardi alla nostra storia recente… esito a formulare un’ipotesi partendo da un evento o una situazione molto delicata, ma l’11 Settembre è stato usato come leva per la paura. E’ stato usato come arma per sviare il paese in modo che potessero realizzare alcuni grossi piani neo-conservatori che bollivano in pentola da decenni. E ancora, se torni indietro con la mente e pensi a quelle 2 o 3,000 vite che sono andate perse, e poi alla quantità di benevolenza che avevamo… quando tu dici “Cosa ci vorrebbe per portare un cambiamento?”, beh lì c’era un’opportunità, e quelle vite, se dovessero essere viste come un qualche tipo di, dio mi perdoni, sacrificio… avevamo il mondo dalla nostra parte. E quello che i nostri leaders avrebbero potuto fare con quel tipo di energia… mi ricordo di averti sentito parlare di come non solo sentivamo la simpatia e la compassione della gente di tutto il mondo e di paesi diversi, e di come abbiamo avuto consolazione da loro, ma anche di come tutto questo ci ha uniti ai nostri vicini. Non è stata solo un’opportunità sprecata, è stata un’opportunità che hanno usato per qualcos’altro. 3,000 persone. Le loro vite sono andate perse e poi il tutto si è evoluto in una situazione in cui le vite di 100,000 iracheni sono andate perse. E sai quante perdite per gli Stati Uniti, 25,000 feriti e 2,500 morti. Tutti si ricordano sempre [l’11 Settembre] come l’inizio del terrore, ma non si ricordano che è stata un’ adunata incredibilmente positiva non solo dei nostri compatrioti, ma anche del mondo.

— Beh, siamo nella merda fino al collo ora. E il segnale che ci siamo dentro molto più a fondo di quello che, credo, nè io nè tu possiamo nemmeno immaginare è che i networks ora stanno veramente riportando qualcosa. E il fatto che questi stessi networks fossero dei così grandi sostenitori di questa impresa, e il fatto che ora devono tornare sui loro passi e ammettere alcune cose, è un segnale di qualcosa di molto peggio. Penso che la verità sia molto peggio di quello che stanno finalmente cominciando ad ammettere. E solo il tempo potrà dire a cosa questo ci porterà. Ma il risultato finale è che c’è un’enorme quantità di gente a Washington che sta cercando disperatamente di aggrapparsi a quello che è rimasto della Repubblica. E queste persone non sono democratici [fazione politica opposta ai repubblicani di George W.Bush]. E’ gente della CIA, gente dell’ FBI, diplomatici di lungo corso, gente di lungo corso del dipartimento di stato, che hanno visto cosa è successo, cosa è successo davvero, e stanno soffiando il fischietto più forte che possono, facendo trapelare più documenti che possono e stanno provando disperatamente a salvare la Repubblica. Perché lo stanno facendo? Perché siamo davvero a rischio ora. Quello che succedo con questo tipo di potere senza controllo è che il presidente ammette di aver spiato la gente, che il presidente dice di essere al di sopra della legge e al di sopra della costituzione, e che c’è un senato che è reclutante a perseguirlo o anche solo a rimproverarlo per aver infranto la legge. E se poi confronti quella situazione con quello che ha fatto Clinton, mentire su un pompino, non è nemmeno comparabile. Uno minaccia un matrimonio e l’altro minaccia seriamente il futuro della Repubblica. Ho solo paura di cosa succederà se sarà intrapreso il prossimo passo, che storicamente è qualche tipo di legge marziale o qualcosa del genere. E non penso sia eccessivamente paranoico perchè credo che manchi solo un grosso orribile evento prima che questo si realizzi.
Ma sai una cosa? Si fottano loro e si fottano le loro idee e i loro piani perché l’unico modo in cui saranno in grado di farlo è se diamo loro il potere di farlo. L’unico modo per cui questo possa accadere è forzando la gente a calci e urla. Quindi dico che sono senza importanza e sono dei pezzi di merda, e non hanno idea di cosa siano la libertà e la democrazia, quindi che si fottano.
Sai, quelli del giornale [HoBO magazine] volevano che ti chiedessi delle cose che non ti ho chiesto. Volevo solo dirtelo (ride). Perchè abbiamo già parlato di quelle cose, e conosco le risposte, e francamente sono noiose (ride )… sto solo scherzando.

— Tutta quella parte su ‘dove sono cresciuto’, era una di quelle cose?

— No, no, no, quello te l’ho chiesto io perché immaginavo che…

— Ok, perchè ho pensato che fosse noiosa. Scusa.

— Sì, penso che chiunque stia trascrivendo questa conversazione dovrebbe cominciare da dopo. Penso che la prima parte sui trilobiti fosse buona…

— Sì, quella era buona.

— E poi penso che se vanno avanti di qualche anno… ma non ti ho chiesto nulla sulla Ticketmaster o sui video musicali o quel genere di cose. Beh, fanculo, abbiamo fatto abbastanza. A chiunque stia trascrivendo quest’intervista, dovrai essere fottutamente esausto ormai. 

— Sì, ma si starà dicendo ‘Qua devo resistere perché potrebbero risolvere tutta questa cosa, potrebbero risolvere i problemi del mondo, continuerò.’

— Lei o lui si sarà annoiato molto durante tutta la sezione politica. Ora lei o lui sta sperando che diciamo qualcosa di divertente, buffo o che parliamo di sesso o di qualcosa del genere. Locali di spogliarello, comportamenti deviati, tendenze alcoliche, svenimenti per terra, niente di cui dobbiamo parlare perchè non è mai successo. Beh, almeno, non negli ultimi due giorni (ride). 
Ad ogni modo, ci sono un paio di cose di cui ti voglio parlare, ma non durante questa telefonata. 

— Va bene, allora ti richiamo.

— Grande. 

— OK Tim. Arrivederci Canada.