Uno, come il pubblico che ha assistito ai due concerti della band di Seattle. Un pubblico unico quello che si vede ai concerti dei Pearl Jam, che va dai quindici ai sessant’anni. Un pubblico simile, per certi versi, al popolo di Springsteen.
Due, come il numero degli stadi nei quali i Pearl Jam hanno suonato questa volta in Italia. La loro prima volta, da headliner, in strutture così enormi. In realtà c’è un precedente, ventun anni fa, come opening act dello Zooropa Tour degli U2, ma quella è tutta un’altra storia… una vita fa.
Tre, come le tre ore di durata complessiva di ognuno dei due show. Tre ore di puro rock, aggressivo (Spin The Black Circle, Corduroy, Animal, Deep), romantico (Sirens, Just Breathe, Thin Air, Come Back), generazionale (Alive, Jeremy, Black). I loro concerti più lunghi in Italia, finora.
Quattro, come l’ora citata nel primo verso di quella Better Man (“Waiting, watching the clock / It’s four o’clock, it’s got to stop”) che a Milano, come a Trieste, ha fatto cantare tutto il pubblico. Rendendo ben chiaro una volta per tutte qual è l’unica rock band che conta davvero in questi anni.
Cinque, come il numero di canzoni proposte – a concerto – tratte dall’ultimo lavoro in studio della band. Da quella Sirens presentata a sorpresa a inizio set e capace di commuovere tutti, all’aggressiva Mind Your Manners. Dall’epica Lightning Bolt, la title track del disco, alla potente Infallible, dalla tosta Getaway alla delicata Yellow Moon. Alla faccia di chi li vorrebbe confinati solo al passato.
Sei, come le sei volte che i Pearl Jam hanno suonato a Milano nella loro carriera. Al Sorpasso e al City Square nel 1992, al Forum nel 1996, nel 2000 e nel 2006. Dopo questi storici live è toccato allo Stadio San Siro, la Scala del calcio, ospitare il primo dei due concerti italiani della band di questo 2014.
Sette, come il numero di lettere che compongono Release, la prima canzone suonata a Milano, che ha liberato quell’enorme onda di emozioni che ci ha accompagnato in queste due indimenticabili serate.
Otto, come l’ottava traccia di Vs, Rearviewmirror, una delle migliori rock song del repertorio dei nostri, che grazie ad un outro esteso ha guadagnato una seconda giovinezza. Non male per un pezzo che ha ben ventun anni.
Nove, come la durata complessiva dell’epica cover dei Mother Love Bone, Chloe Dancer/Crown Of Thorns. Scartata dalla setlist originale di Milano, è stata proposta a Trieste dopo che la band aveva notato un ragazzo in prima fila con una t-shirt della band capitanata dal compianto Andy Wood. Forse il punto più alto di queste serate.
Dieci, come Ten, il disco di debutto della band, suonato quasi per intero nel corso delle due date italiane. Il disco forse più amato dalla maggior parte del pubblico che è accorso a vedere i suoi beniamini in questi concerti che sarà difficile dimenticare.

Nasce nel 1980 a Reggio Emilia. Crea pearljamonline.it nel 2001 e scrive la prima edizione di “Pearl Jam Evolution” nel 2009 insieme alla moglie Daria. Dal 2022, conduce due podcast: “Pearl Jam dalla A alla Z” e “Fuori Orario Not Another Podcast”. Ha collaborato con Barracuda Style, HvsR, Rolling Stone, Rockol e Il Fatto Quotidiano. Continua imperterrito a tentare di trovare “belle melodie che dicono cose terribili”.
Canzone preferita: Present Tense
Album preferito: No Code
Artisti o gruppi preferiti oltre i PJ: Tom Waits, Soundgarden, Ramones, Bruce Springsteen, IDLES, Fontaines D.C., The Murder Capital, Dead Kennedys, Mark Lanegan, Cat Power, R.E.M.