7th sign / After a self-imposed retirement, Pearl Jam are set to read their world the Riot Act
Intervista a Eddie Vedder
di Michele Manelis
Juice Magazine | Gennaio 2003

Traduzione a cura di Angpo

Eddie Vedder sta ridendo, mentre racconta una barzelletta.
“Quanti membri dei Pearl Jam ci vogliono per cambiare una lampadina?” chiede.
“Uno, e non è divertente.”
Strimpellando una chitarra mentre si fa beffe dell’immagine seriosa del suo gruppo, il cantante col taglio alla moicana è l’immagine di un uomo felice. Oggi i Pearl Jam sono riuniti nella stanza di un albergo a Seattle per parlare del loro nuovo e settimo album, Riot Act, atteso per l’11 novembre, e il frontman è amichevole e disponibile a parlare. Si comporta come qualunque altra rock star chiacchierona, eccitato dall’ultimo gruppo di canzoni della band, e il fatto che lui sia semplicemente qui dice già molto.

Nel 1993 quando “Jeremy” era sullo stesso piano di “Smells Like Teen Spirit” e sembrava che Vedder fosse in grado di superare Cobain, i Pearl Jam quasi soffocarono sotto il peso del successo. 10 anni fa non avresti potuto convincere il gruppo a farsi scappare un sorriso per le foto o a preoccuparsi di fare un video. Come sono cambiati i tempi. I Pearl Jam sono scomparsi.

Fino ad ora. Registrato a Seattle con Adam Kasper, il produttore dei Foo Fighters, e mixato dal vecchio compagno Brendan O’Brien, Riot Act ha fatto eccitare il gruppo. È passato troppo tempo, dicono, e sono pronti a far vedere ai Creed chi comanda davvero. Liberi dalla pressione degli ultimi 10 anni, i Pearl Jam si sono rilassate e hanno imparato a divertirsi di più. C’è persino un video per il singolo “I Am Mine” – girato dal vivo ovviamente – e i piani per il tour sono in corso.

”A un certo punto abbiamo smesso di fare molte interviste e poi, lentamente, abbiamo cominciato a farene qualcuna in più ogni volta,” Gossard spiega della nuova disponibilità del gruppo ad aprirsi. “Penso che abbia a che fare con l’eccitazione del nuovo album. Tutti siamo ben predisposti e abbiamo voglia di parlare del disco, vogliamo che il disco vada bene. Se dobbiamo suonarlo dal vivo, vogliamo che la gente sappia che è uscito e che lo ascolti. Speriamo che sia eccitante per loro quanto lo è stato per noi.”

Juice recentemente si è imbattuta in Vedder e, in una rara e sincera intervista, ha aperto la sua mente su temi come la musica, l’inferno e Auckland.

Juice: Hai notato che l’America è diventata un po’ troppo politicamente corretta? Dall’11 settembre anche la musica è diventata troppo politicamente corretta?
Ed: Beh, l’industria musicale è esattamente quello – un’industria, una cosa che vende. E indipendentemente da quello che vende, loro sono molto felici così e hanno ogni diritto di esserlo. In questi tempi non è solo la musica che vende; la musica può vendere anche altre cose. Le giovani popstar vedono la Coca e la Pepsi ai ragazzini che faranno qualsiasi cosa il tipo o la tipa giusta con il vestito giusto dirà loro di fare.

J: Pensi che sia finito il tempo delle Boy/Girl Band?
E: Spero di no. Ho appena comprato un mucchio di quei vestiti! (ride)

J: Potrebbe non essere l’abbigliamento adatto a te
E: Ero pronto al top senza spalle (ride e si mette a strimpellare la chitarra)

J: Nel numero scorso di Juice si è detto che il rock è tornato grazie a gruppi come i Vines, gli Hives, i White Stripes. Sei d’accordo?
E: Beh, i White Stripes li conosco da tempo e ho sempre pensato che fossero grandi. È affascinante che ora raggiungano così tanta gente, e spero che si trovino a loro agio con questo e che non siano troppo travolti perché dovrebbero continuare a fare dischi. Hanno davvero molto talento e fanno delle grandi cose. Mi fossilizzo un po’ per quanto riguarda i miei gusti musicali – Mi attacco alle cose che ho sentito per anni. Mi attacco a questi gruppi. Gli Hives… chi sono quelli svedesi?

J: Gli Hives
E: Gli Hives – li ho visti di recente e ho pensato che non fossero male e poi il cantante mi fa una cosa alla Mick Jagger. Non l’ho mandata giù. Ma la musica era buona. Non posso lamentarmi. Almeno è vera musica – sono chitarre e batteria e vestiti che vanno d’accordo. Era abbastanza buono.

J: I Pearl Jam non sono noti per autopromuoversi – raramente fate interviste o video. Allora perché adesso?
E: Possiamo ancora avere vite abbastanza poco complicate ed essere abbastanza anonimi – normali persone – ma lasciateci far sapere alla gente che abbiamo fatto un disco. Vogliamo far loro sapere che ce n’è un altro, che abbiamo lavorato su un po’ di canzoni e che se vogliono possono darci un’occhiata. Non so se saremo sui canali musicali e non penso che saremo presto in qualche show di premiazione.

J: Ti interessa che tu venga considerato rilevante dal punto di vista musicale?
E: No

J: Ti ha mai interessato?
E: No, semplicemente non mi interessa. (Sorride) Siamo stati abbastanza popolari nei primi anni, specialmente in America, da rivoltare le nostre vite. E’ stato abbastanza per una vita intera. Ho avuto abbastanza input positivi e ho accesso ad altri musicisti con i quali ci piace suonare, siano loro Beck o Neil Finn. Non c’è davvero nulla che io voglia di più – un profilo più alto o maggior popolarità. Egoisticamente, che cosa mi darebbe? Assolutamente nulla.

J: Non farebbe vendere più dischi?
E: Se vendessimo più dischi, qualcun altro farebbe più soldi di noi, così se lavorassi duramente per vendere più dischi continuerei a vedere una percentuale inferiore di profitti.

J: Tornando a quello che dicevi sull’anonimato, è difficile credere che tu possa camminare per strada, specialmente a Seattle, senza essere disturbato.
E: Ci riesco abbastanza bene.

J: Indossi il cappello e gli occhiali?
E: Sembra che io abbia un livello molto salutare di anonimità e uno degli aspetti più importanti per cui vale la pena di preservarla è quello di poter mantenere una certa obbiettività come autore di testi. Come chiunque altro scriva mi domando: di cosa potrei scrivere? Di che cos’è essere una celebrità? (Ride) La tua percezione della realtà e dell’altra gente sarà questa se sei una celebrità – come potresti davvero capire quello che succede nel mondo reale? Scrivendo una canzone. Io sono solo un tizio con una macchina da scrivere. (indica una vecchia macchina da scrivere, nera).

J: Non scrivi sulle quelle vecchie macchine vero?

E: (ride) Sì! 10 dollari, 10 anni!!!

J: Non è ora di passare a un computer?
E: No. Non so mettere a posto i computer. So come sistemare una macchina da scrivere.

J: Puoi chiamare qualcuno a farlo quando ne hai bisogno.
E: Ma io non voglio parlare con nessuno. (Ride) Comunque, quanto ci vorrebbe? Cosa succede se io volessi chiamare qualcuno alle tre di notte? E’ allora che faccio molto del mio lavoro. Cambio semplicemente il nastro o sistemo un tasto; io piaccio a questa macchina da scrivere (Sorride).

J: Cosa provi quando vedi gruppi come Creed o Staind, che prendono molto dai Pearl Jam?
E: Beh dovresti chiedere a loro cosa provano, perché loro sentono i commenti che io sto sentendo qui tre o quattro volte alla settimana. Li sento da sconosciuti, e persino da zie e zii. Dovresti chiedere a loro come si sentono, se hanno qualche tipo di coscienza sporca. Potrebbero forse sentirsi meglio se mi mandassero il 5% dei loro diritti, e io farei in modo che andassero in beneficenza. (ride)

J: Guardando indietro ai primi anni ’90, faresti qualcosa in modo diverso ora?

E: (lunga pausa) Non lo so. Penso che abbiamo preso quasi tutte le decisioni giuste. Non importa quanto difficile sia prendere una decisione, puoi sempre prendere quella giusta. Una volta che ti sei impegnato, devi proseguire. Sono sicuro che ci siano strade diverse che avremmo potuto prendere, ma siamo abbastanza contenti di essere un gruppo oggi.

J: Come una lunga relazione?
E: Sì, è come una lunga relazione. Sai cosa provano tutti gli altri e sei capace di comunicare come prima con meno parole.

J: Come una relazione, pensi che capirai quando è ora di finirla?

E: (sorride) Sì, penso di sì. Certamente non ci siamo ancora arrivati – nemmeno una volta. Nessuno di noi ha mai pensato che la propria vita sarebbe migliore senza il gruppo. Il gruppo non è la fine e l’inizio di tutto per nessuno di noi, penso che ci siano 5 individualità. Che il gruppo esista o meno, non cambierebbe molto nelle nostre vite. A questo punto, abbiamo fatto un disco e il gruppo sarà il nostro scopo per i prossimi sei mesi. Dopo torneremo ad essere individui che conducono una vita abbastanza normale, ma privilegiata, perché facciamo quello che ci piace per vivere.

J: Sei sempre stata una star riluttante. Non hai mai considerato di andartene definitivamente?
E: Beh me ne sono andato tutto l’anno scorso. Tutti l’abbiamo fatto. Ci siamo praticamente ritirati senza dirlo a nessuno; poi alla fine dell’anno eravamo pronti a fare ancora qualcosa. Non vedo nessuna ragione per fermare il gruppo. Gli Smashing Pumpkins si sono sciolti, devono aver avuto qualche ragione. I RATM, ci devono essere state delle ragioni. I Soundgarden, i Jane’s Addiction…

J: I Rolling Stones sono insieme da 40 anni, ti piacerebbe che i Pearl Jam fossero ancora in giro quando avrai sessant’anni?
E: Beh, loro suonano in posti giganteschi, io non voglio farlo adesso che sono nei trenta! (Ride) Preferirei suonare in un posto come St James – parlo ancora di Ackuland perché è stata una così bella esperienza giù in Nuova Zelanda. E’ una delle cose migliori delle sale, sentire realmente che la musica può riempire la sala sia che si tratti di una canzone lenta che di una veloce – Era una tale energia.

J: Ti andrebbe di esibirti a quell’età?
E: Non nello stesso modo, ma forse sì. Non ci sono ancora arrivato. Ma gli Who suonano in maniera aggressiva come sempre. Suoneremo a uno show di beneficenza con loro la prossima settimana e Pete Townshend è ancora assolutamente incredibile, può ancora fare cose che io non ho mai visto fare prima. Se potessimo mantenerci a quel livello allora sarei interessato.

J: Visto che hai una vita privilegiata, pensi di non poterti lamentare riguardo a nulla? Non mi riferisco ad affari mondiali, ma agli aspetti della tua vita.
E: Forse mi sentivo così anni fa. Ne abbiamo attraversate tante, specialmente negli ultimi due anni, che se ho un’opinione su qualcosa, dico quello che penso, e se qualcuno non è d’accordo con me ne ha tutti i diritti, ma finché non si trova nelle mie scarpe, non può capire. Penso che sia giusto farsi un’opinione e sostenerla. Puoi sempre tornare indietro e rivederla, e forse questo ti farà dire delle cose che sembreranno molto di sinistra a qualcuno… uno dei miei migliori amici è un repubblicano fervente, è nei Ramones, Johnny Ramone.

J: Dovete avere delle discussioni parecchio interessanti.

E: Oh sì! (Ride) Ridiamo molto. Le nostre opinioni sono così diverse che finiamo sempre a ridere istericamente su qualche argomento, ma penso sia positivo mantere questo canale aperto. Non c’è nulla di sbagliato nell’avere un’opinione.

J: Quale pensi che sia l’idea più sbagliata che hanno su di te?
E: Non so proprio cosa si dice là fuori. Dimmelo tu.

J: Che sei mortalmente serio, cosa che non mi sembra oggi.

E: Sì, lo so. Come, “Quanti membri dei Pearl Jam ci vogliono per cambiare una lampadina? Uno è non è divertente.” (Ride) oppure “Quanti membri dei Pearl Jam ci vogliono per cambiare una lampadina? Uno ed è il mio assistente.” (Ride)

J: Come ti senti a proposito di questa immagine?

E: Non lo so. Ci sono sicuramente delle cose che ho letto con cui non ero d’accordo o che sapevo non essere vere. Hai una cerchia di amicizie e una cerchia di persone con cui lavori; al di fuori di questi non c’è nulla che tu possa controllare.
Una delle poche volte che sono stato su Internet, forse cinque anni fa quando avevo un computer, la prima volta che l’ho provato – poi dopo 3 mesi è stato rubato – ho controllato il sito del nostro gruppo. Questo tizio diceva di avere il testo definitivo di una canzone, penso fosse State of Love and Trust, ed era completamente sbagliato. Gli ho scritto animosamente dicendo: “Ho un amico il cui fratello è il fratello di Eddie e lui ha il testo giusto, eccolo.” Ho scritto il testo e l’ho corretto. Dopo due giorni ho avuto un email da questo tizio, pensavo mi volesse ringraziare. L’ho aperta e diceva solo “NO”. (Ride) quella è stata l’ultima volta che ho provato a correggere qualcosa che non era accurata.

J: Pensi che sia una cosa sbagliata, demistificare i musicisti rock?

E: Beh, qualcuno dovrebbe farlo. Almeno sono divertenti invece che noiosi – ci sarebbe una realtà ben peggiore da svelare. Tutti questi reality show, sono tutti un po’ noiosi. Mi piacerebbe pensare che ci sia qualcosa di più profondo.

J: C’è qualcosa in cui sei interessato che la gente sarebbe sorpresa di sapere?
E: Sto dipingendo un po’. Sono migliorato. Faccio onde o ritratti di gente all’inferno.

J: Qual è la tua visione dell’inferno?
E: Quella classica: fiamme e gente con gli occhi gialli. La mia versione dell’inferno è che la gente possa davvero pensare che l’amministrazione repubblicana di George Bush Jr parli a nome dell’intero paese.

Non accettate imitazioni
Intervista a Eddie Vedder
di Cameron Adams | Febbraio 2003

Traduzione a cura di Angpo

Eddie Vedder è appollaiato dietro il tipo di macchina da scrivere che potreste trovare coperta di polvere nella casa dei vostri nonni.
 Questo particolare pezzo di antiquariato meccanico è responsabile di tutti i testi e di tutta la corrispondenza che ha adornato gli album dei Pearl Jam, e ora tiene compagnia ad Eddie nel magazzino dove fanno le prove dei Pearl Jam a Seattle, mentre la band accoglie il mondo nel loro piccolo universo.
Per un gruppo che a fatto del non voler stare al gioco del rock un’arte (rare interviste, niente video), in confronto ora i Pearl Jam sembrano puttane dei media.
Per l’uscita del loro settimo album, Riot Actt, hanno fatto una settimana di interviste con la stampa internazionale e un’altra con quella americana.

C’è persino un video (anche se è una semplice ripresa dal vivo) per il primo singolo dell’album, I Am Mine, il loro secondo dai tempi di Jeremy nel ’92 (Do the Evolution era un’animazione). E Vedder sembra aver fatto più interviste per Riot Act che nel resto della sua carriera. “Oh si, sono davvero amico dei media ora,” dice freddamente, “sono andato a tutte quelle premiazioni, ho appena partecipato ad un episodio di Friends…”
Sì, dimenticatevi lo stereotipo lunatico, Vedder è divertente. Ma perché lo sta mostrando al mondo ora?
“Beh, era da tre album che volevamo agitare le braccia e far sapere a tutti che avevamo fatto un nuovo album”, dice Vedder.
“Ci sono stati periodi, con No Code per esempio, che non pensavo neppure che la gente sapesse che era uscito. Ci siamo resi conto che avevamo avuto successo nel sabotare il gruppo. (ride) Forse persino un po’ troppo.”

Ma quando Vedder parla di sabotare i Pearl Jam, non scherzo.
“È qualcosa che ci divertiamo a fare,” dice citando un suo eroe musicale che una volta gli disse di mirare ad “un livello di notorietà gestibile”. “Penso che ci siamo riusciti,” dice orgogliosamente Vedder. “Vedi, pensavo che ci fossero delle canzoni che avrebbero potuto essere degli hit radiofonici negli ultimi album. Certamente non le abbiamo promosse.”
“Noi non facciamo video, che è il mottivo per cui la gente sente centinaia di volte un brano fino a che non gli si pianta in testa e gli piace, indipendentemente dal fatto che sia buono o meno.”

Vedder dice di avere un censore automatico per qualunque cosa suoni commerciale nella sua testa. “Mi ricordo di una canzone che stavamo scrivendo per Binaural. Ne è uscita una canzone che si chiama Light Years, ma suonava assolutamente come un hit. Così abbiamo dovuto stravolgerla. Doveva essere una sfida per noi.” 
Più tardi, Jeff Ament, il bassista, ci conferma che Vedder non stava scherzando. “Oh Ed ha sabotato un mucchio di cose. Cominciava a cantare una canzone e tu dicevi “WOW” e e lui vedendoti fare questo smetteva e diceva ‘Ok facciamo qualcos’altro’.”

Tornate indietro di 10 anni e la mania per i Pearl Jam era incontenibile. Ten, il loro album di debutto, è stato insieme a Nevermind dei Nirvana la Bibbia del grunge. Quello ed il seguito del ’93, Vs, hanno venduto più di 10 milioni di copie ciascuno.
Quando la band ha cominciato a fare le cose a modo suo (niente video, far uscire il vinile prima del cd, pubblicare dozzine di bootleg ufficiali) la loro fama non si è arrestata.
Ma negli ultimi cinque anni, le loro vendite sono crollate dagli 11 milioni di copie in USA di Ten al milione degli ultimi dischi. Vedder insiste a dire che a lui non interessano le vendite, alte o basse che siano.
 “Numeri,” Vedder mastica la parola come se fosse un pezzo di gomma. “Se fai in modo diverso e lotti per questa gigantesca popolarità, devi lavorare molto per mantenerla ed io non so cosa diventa tua vita se lotti per questo.”

A differenza della maggior parte dei gruppi che sono apparsi sulla scena con loro nei primi anni ’90, i Pearl Jam sono sopravvissuti. Nessuna quasi-morte, nessun cedimento nel controllo della qualità, nessuno scandalo di droga. È stata la morte di nove fan in un festival in Danimarca nel 2000 che li ha quasi fatti smettere: non suoneranno mai più in un festival. “E’ difficile da spiegare,” dice Vedder a proposito del segreto della loro longevità. “Abbiamo semplicemente tenuto un basso profilo e siamo rimasti concentrati sul fare dischi e sul farli nel moto più semplice possibile. Siamo passati attraverso a questo ed abbiamo preso delle decisioni piuttosto intelligenti. Che non tutti hanno capito ai tempi”

È un buon momento per menzionare gli imitatori dei Pearl Jam i cui stupidi album rock vendono i milioni di copie che non vendono i Pearl Jam.
“La gente dice ‘ho sentito questa canzone alla radio, sembravi tu ma i testi non sembravano qualcosa che tu avresti potuto cantare’ – sono così stufo di sentirlo. La quantità di volte che l’ho sentito dire, non ne posso più. Oltretutto non voglio che la gente si stanchi di ascoltare un certo tipo di stile vocale, perché certi altri gruppi ne abusano. Preferisco che la gente si stufi di ascoltare me piuttosto che un’imitazione.”