Pearl Jam still voices independence: Intervista a Stone Gossard

Pearl Jam still voices independence

Special to the Journal Sentinel | 18 Giugno 2003

By Steve Knopper
Grazie ad Angpo per la traduzione

Sono passati solo 10 anni, anche se sembra un’eternità, da quando i Peal Jam erano il maggior gruppo rock del mondo.

L’album di debutto del quintetto di Seattle, Ten, vendette 6 milioni di copie, ed i video erano dappertutto su MTV. Il cantante Eddie Vedder appariva sulla copertina di Time e sostituiva Jim Morrison in una reunion dei Dorrs.

Poi il gruppo ha fatto sgonfiare la bolla. Lentamente, sistematicamente, i Pearl Jam hanno ridotto la propria fama e celebrità.

Il gruppo, che suonerà domenica all’ Alpine Valley Music Theater a East Troy, smise di fare video e di concedere interviste alle riviste principali. Ingaggiò una lotta con Ticketmaster, il padrone delle biglietterie e sospettato di monopolio, e cancellò un tour con i biglietti sotto i 20 dollari, in luoghi periferici in arene non controllate da Ticketmaster.

In questo periodo i Pearl Jam sono ancora abbastanza grandi da fare il tutto esaurito nei palazzetti del basket in tutti gli Stati Uniti, ma il loro ultimo singolo di successo è del 1998, ed è più facile che Time metta in copertina Justin Timberlake piuttosto che Vedder.

Ma Stone Gossard, il trentaseienne chitarrista del gruppo, non ha rimpianti.

“Se avessimo continuato a fare tutte che cose che la gente voleva che facessimo, saremmo comunque andati incontro ad un declino,” ha detto in una recente intervista telefonica. “Penso che non avremmo venduto molti dischi comunque.”

“In un certo senso è stata la decisione di fare molte piccole scelte che ha fatto sembrare che stessimo deliberatamente cercando di non vendere dischi o di non essere così grossi,” aggiunge.

“All’inizio dicevamo: ‘non facciamo un video per questa canzone.’ Oppure: ‘non facciamo più video perché ha funzionato l’ultima volta’. O: ‘Non incontriamo gente delle radio quando andiamo in quella città’.”

Musicisti indipendenti
I Pearl Jam non hanno avuto un grosso successo negli ultimi cinque anni, eccetto per Last Kiss nel 1998, versione di un oscuro brano soul vecchio di 35 anni, che in qualche modo ha fatto innamorare i programmisti delle radio in tutto il paese.

Mentre Ten ha venduto più di 11 milioni di copie, e Vs del 1993 più di 7 milioni, Riot Act è riuscito appena a superare le 500.000 copie.

Ora, come altri veterani, Jimmy Buffett, gli Eagle e gli Who, i Pearl Jam si sono trasformati quasi esclusivamente in un gruppo dal vivo. (il gruppo ha pubblicato CD di molti concerti dal vivo fin dal 2000)

L’asse del successo dei Pearl Jam si è spostata dai dischi alla musica dal vivo in un modo così grande che, dopo 11 anni con la Sony Music, il gruppo ha recentemente annunciato il suo intento di pubblicarsi indipendentemente.

“Abbiamo scoperto che dove facciamo soldi e abbiamo successo è dal vivo, e siamo stati piuttosto consistenti in questo,” dice Gossard.

“Per quanto riguarda il modo in cui i dischi arrivano nei negozi e nelle radio o come vengono disposti sugli scaffali, non dipende da noi. Non hai davvero molto controllo su questo. Semplicemente passiamo molto tempo a lavorare sulle cose su cui abbiamo il controllo.”

“Siamo tutti molto eccitati all’idea di fare nuovi dischi. Non sappiamo se abbiamo quello che una grande etichetta desidera in termini di dischi di successo,” aggiunge. “Diventare un po’ più indipendenti è qualcosa che eccita il gruppo. Ma non abbiamo ancora deciso nulla e probabilmente non lo faremo prima del prossimo disco.”

Fare apparire Seattle sulla carta.

Quando nel 1991 Ten fu pubblicato, sembrò apparire dal nulla, scalando le classifiche mentre i conterranei Nirvana, Mudhoney e AIC stavano facendo scoprire al mondo la scena musicale di Seattle.

In realtà i componenti dei Pearl Jam avevano fatto parte per anni di gruppi musicali, prima con i Green River e iMother Love Bone poi, dopo che si unì Vedder, con i Mookie Blaylock e con il progetto Temple of the Dog.

Mentre registrava Ten, il gruppo cambiò nome in Pearl Jam. L’album, insieme con Nevermind dei Nirvana, il singolo dei Mudhoney Touch me I’m sick e il Lollapalooza, creò il Grunge, un movimento rock che comprendeva camice di flanella, capelli lunghi, chitarre rumorose e urla catartiche.

A differenza dei Nirvana, un trio autodistruttivo che scomparve quando Kurt Cobain si uccise nel 1994, i Pearl Jam sono sempre stati più un gruppo di rock classico. I loro eroi comprendono Neil Young e gli Who, con i quali i vari membri del gruppo hanno collaborato più volte negli ultimi 10 anni. Canzoni recenti dei Pearl Jam, come Do the Evolution e Love Boat Captain, non sarebbero state fuori posto in una scaletta delle radio negli anni ’70.

Infatti il gruppo continua a prendere lezioni d’affari dai loro predecessori, nel bene e nel male. “Ad un certo punto, quando gli Aerosmith erano al loro punto più basso e le compagnie discografiche non stavano avendo un grande successo, avrebbero potuto dire: ‘Abbiamo intenzione di fare dischi e di non provare a fare singoli di successo, di concentrarci sui concerti e fottecene dell’etichetta’,” dice Gossard. “Avrebbero potuto anche non farlo, ma quello mi avrebbe reso più eccitato all’idea di vederli dal vivo.”

Messaggio Presidenziale

I concerti dei Pearl Jam non sono davvero nello stile di quelli degli Aerosmith, del tipo suona solo i successi. Il gruppo può suonare i primi successi come Alive o Betterman, ma la scaletta pesca regolarmente nel materiale più recente e oscuro.

Gossard dice che Vedder fa “una prima bozza” della scaletta del giorno che in genere ha a che fare con “quello che non abbiamo suonato la sera precedente.” Negli ultimi concerti i Pearl Jam hanno suonato “Sleight of Hand,” “Driftin’,” “Red Mosquito,” “Rockin’ in the Free World” di Young e “Crazy Mary” di Victoria Williams.

Ma l’attenzione maggiore il gruppo l’ha ricevuta per Bu$leaguer, la divagante canzone sulle inadeguatezze del presidente Bush. A Denver, tre mesi fa, il cantante l’ha eseguita ballando con indosso una giacca dorata e la maschera di Bush; nel mezzo della canzone ha messo la maschera sull’asta di un microfono e l’ha sbattuta sul palco.

Era appena dopo l’inizio della Guerra in Iraq e, secondo quanto riportato dalla stampa locale, notizia che poi si sarebbe diffusa su quella nazionale, dozzine di fan se ne andarono per protesta.

“Da un lato la notizia è stata sensazionalizzata. Dall’altro credo che tutti nel gruppo pensino che sia stata una buona cosa che sia successo,” dice Gossard. “Ci tenevamo molto a quella canzone. E’ una canzone che abbiamo scritto prima della guerra ed è su George Bush, non sui soldati o sugli Stati Uniti. Era la visione personale che Ed aveva del presidente, era molto comica, una specie di teatrino.

“I media si sono così accalcati a sostenere questa guerra che Ed ha ritenuto che valesse la pena di sollevare tutto quel polverone per fare quella dichiarazione. Non posso dire che avrei fatto le cose nel suo stesso modo, ma sono orgoglioso che lui sia stato capace di fare quella dichiarazione e di rimanergli fedele.”